Esplode una polemica sul web su una scelta lessicale. Avviene che, su Action Comics #1002, Brian Michael Bendis metta in bocca la parola “autistico” a “Boss” Moxie Mannheim. Il criminale utilizza il termine come un insulto, rivolto a uno dei suoi uomini. Alcuni, su Twitter, non hanno preso bene il fatto che la definizione, che indica letteralmente una tragica condizione neurologica, sia stata utilizzata con scopo derogatorio, come troppo spesso accade nella vita di tutti i giorni, tra i parlanti meno attenti.

Bendis, interpellato e accusato direttamente, ha risposto così a chi ha indicato la sua decisione come inappropriata e di cattivo gusto:

 

Sì, si tratta di un insulto che nemmeno io sopporto. Lo hanno rivolto a me direttamente, a volte, e l’ho infilato nella mia sceneggiatura per mostrare quanto sia odioso tramite un personaggio odioso, che immediatamente dopo subisce il giusto castigo. Lo faccio in continuazione, nelle mie opere.

 

Pur trovando giustificabile l’utilizzo del termine, alla luce del dispiacere che molte persone toccate direttamente o indirettamente dall’autismo hanno manifestato, Bendis è corso ai ripari, come ha spiegato, sempre via Twitter, per quanto riguarda l’utilizzo futuro:

 

Vi capisco perfettamente. Ho chiamato i miei editor e ho detto loro di assicurarsi che la parola in questione non sia presente nelle prossime ristampe. Non ci sarà nelle raccolte. Il linguaggio è una cosa delicata. Quando cerchi di essere realistico, a volte rischi di ferire qualcuno. Sapete benissimo che non era mia intenzione, e mi avete aiutato a trovare un modo per correggere la cosa. Grazie a tutti.

 

Action Comics #1002, copertina di Pat Gleason

Materia delicata da commentare, ma ci proveremo. Per quanto comprensibile sia il fastidio di alcuni, soprattutto di chi è più attento alla problematica e ne è colpito da vicino, pare a chi scrive che, nella fattispecie, abbiamo assistito a un eccesso di tutela. I cattivi sono cattivi. Nelle storie a fumetti, dovrebbero permettersi di esserlo in maniera indubitabile, dato che, perlopiù, la dicotomia morale ed etica è immediatamente chiara.

Il criminale è malvagio. Lasciamo che sia. Mannheim, in particolare, non è un personaggio tridimensionale, ed è definito semplicemente dalla sua avidità, dalla mancanza di scrupoli e di compassione. Ripulire il suo linguaggio delle abitudini più grevi e odiose ci pare un eccesso di zelo che rischierebbe, se divenisse un comportamento generalizzato, di condizionare la ricchezza espressiva e la creatività degli autori.

Bendis ha deciso per la via più conservativa e veloce, risolvendo il problema e decidendo, saggiamente, di pensare ad altro, lasciandosi la questione alle spalle. Ma, se in questo caso tutto è bene ciò che finisce bene, resta la fastidiosa sensazione che le opinioni di pochi, sul web, abbiano ormai il potere di influenzare in maniera possente le scelte creative, sulla base di una censura etica non sempre commisurata agli eventi.

Il caso James Gunn è ancora fresco. In termini di dinamica non siamo troppo distanti.

 

 

Fonte: Comic Book Resources