Lo scorso novembre ha preso il via una nuova iniziativa editoriale di Panini Comics pronta a dare – qualora ce ne fosse ancora bisogno – nuovo lustro a uno dei personaggi storici del fumetto italiano: Lupo Alberto, creato da Silver. Da allora, nel bimestrale Lupo Magazine, nuove avventure del buon vecchio Beppe e degli abitanti della fattoria McKenzie attendono appassionati vecchi e nuovi.

Non potevamo farci scappare l’occasione per intervistare lo sceneggiatore che da oltre vent’anni firma splendide storie di Lupo Alberto. Signore e signori, Piero Lusso!

 

Ciao, Piero, e benvenuto su BadComics.it!
Qualche mese fa ha fatto il suo esordio in edicola e in fumetteria “Lupo Magazine”, che ti vede coinvolto con nuove storie del personaggio. Prima di addentrarci nei contenuti di “Social Network”, ti andrebbe di raccontarci di quando hai appreso di questa nuova iniziativa?

Era un pomeriggio di fine febbraio dello scorso anno. Stavo seguendo in tv un emozionante documentario sui rapporti tra Chruščëv e la nomenklatura sovietica l’indomani del XX Congresso del PCUS, quando è suonato il cellulare. Era Silver.

– Ciao. Ricordi quel progetto cui ti accennavo? Si farà. Ci sarebbero da scrivere sei storie, lunghe. Ci stai?

– Certo. Quando?

– Subito.

Abbiamo avuto il piacere di incontrare Silver a Lucca Comics & Games 2017, e siamo rimasti impressionati dalla sua grande voglia di mettersi in gioco ancora una volta, imbarcandosi in quello che potrebbe apparire come un “salto nel vuoto”: quanto è stata contagiosa la sua determinazione per spingervi a seguirlo?

Lupo Magazine 1, copertina di Silver

Dopo l’annuncio, sono salito all’ultimo piano del grattacielo Mck e mi sono presentato nell’ufficio di Silver. Appena seduto davanti alla scrivania, sono scattati i braccioli bloccanti e Silver ha iniziato a parlare accarezzando il suo grosso persiano bianco. (Cioè, ho immaginato fosse lui dal lieve accento modenese, perché il faro puntato in faccia mi impediva di vedere bene).

Silver mi ha illustrato il progetto nei dettagli: numero di episodi, numero di tavole, compensi, royalties, penali, ritorsioni. Poi, credo per sottolineare che un mio rifiuto non era contemplato, ha lanciato il persiano nella vasca dei pirańas e ha iniziato ad armeggiare con un tasto sotto la scrivania. Ho accettato con entusiasmo e firmato il contratto rapidamente, nonostante mi sudassero le mani. Quando mi sono alzato ho capito di aver parlato con un ologramma, ma l’assistente robotico mi ha rassicurato che ci saremmo incontrati a fine missione e che la mia famiglia stava bene. (Ho scherzato. Raccontando di certe circostanze, si finisce sempre per cedere alla tentazione di romanzare un po’, e a questo punto tanto vale esagerare. La prossima serio, giuro).

“Lupo Magazine” è un attento osservatorio sul quotidiano e sulle tematiche che in certi casi – incredibilmente – rappresentano ancora dei veri e propri tabù. Nel primo numero avete parlato di sesso, mentre in questo secondo appuntamento di social network: è l’ironia l’unica strada per trattare temi che troppo spesso vengono veicolati da luoghi comuni e falsi miti?

In questi casi l’ironia non solo è preferibile, ma addirittura salutare. Ribaltare le prospettive rinforza il sistema immunitario della mente, ne cura le atrofie e può persino abbassare il colesterolo. Va però mescolata con dosi adeguate di autoironia e depurata di qualsiasi tentazione pedagogica, altrimenti diventa sarcasmo e sa di rancido.

Nello specifico, che tipo di approccio hai scelto per trattare al meglio un tema che si presta a tante speculazioni come quello dei social network?

All’inizio della serie mi sono confrontato con Silver – che in qualità di autore del personaggio e di editor sovrintende la parte creativa – per mettere a fuoco l’approccio generale, e poi ho lavorato come sempre in autonomia, consultandomi volta per volta. Riguardo le parti redazionali, ho trovato ottimo il lavoro di Diego Cajelli, che ha coinvolto firme eccellenti e prodotto un insieme di voci composito e interessante.

Nello specifico, riguardo a “LOL”, la mia intenzione era quella di mostrare certi grotteschi aspetti dell’universo social con un taglio graffiante usando l’estetica straniante di una prospettiva dall’interno. Il disegnatore italo-brasiliano Giacomo Michelon è stato bravissimo nell’ideare una perfetta sintesi grafica degna di un suprematista russo. La zoologia dei social è molto variegata, così non è stato difficile assegnare a ogni personaggio un ruolo adeguato, a partire dall’influencer – figura esistenziale che un giorno la psichiatria dovrà studiare – fino al critico-acritico, il sostenitore trinariciuto, il morto di fama e altre anomalie, ognuno col suo bravo tic comportamentale selezionato tra i mille che infestano i commenti sulle bacheche: arroganza, vanità, livore, piaggeria, egocentrismo patologico, narcisismo terminale, banalità spacciata per sagacia, conformismo spacciato per arguzia, sciatteria spacciata per arte.

La cosa che più mi ha divertito è stato saccheggiare dal web i commenti più idioti e riportarli sulla carta nella loro desolante esattezza. Un grande momento di verità e una lucida operazione sul linguaggio, che un critico attento potrebbe definire iperrealista, postmoderno o addirittura dadaista, se mai spingesse lo sguardo oltre il modaiolo; e c’è persino una forma di fumetto aumentato, che i più curiosi avranno notato e il critico attento eccetera.

Per una lettura più consapevole della storia, consiglio di seguire questa semplice regoletta: più il testo apparirà incredibilmente cretino, più probabilmente sarà VERO, direttamente dagli abissi di Facebook.

Il Lupo

Sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti il dibattito intorno a fake news, complottismi vari, terrapiattisti, anti-vax e così via. Hai deciso di ironizzare anche su questi argomenti?

Poca roba. Non mi piace vincere facile. L’ammiccamento indignato-derisorio contro l’ignorantume generalizzato può aumentare l’autostima, ma ormai è diventato un gioco di società. Nessuno – a meno di qualche rarissimo caso di sospensione dell’incredulità patologica – può essere seriamente preoccupato da un inverosimile tracollo della civiltà causato da orde di analfabeti armati di forconi e deficit immunitari. Sono pochi, contano poco e vivono confinati nelle loro tetre convinzioni che la terra sia piatta e i farmacisti serial-killer. In quanto sottoprodotto dell’eccesso di comunicazione, possono tutt’al più ricoprire qualche utile funzione sociale, come rinsaldare il senso di appartenenza tra normodotati illudendoli di far parte di qualche moderna intelligencia, o ispirare nuovi sottogeneri della letteratura post-apocalittica dove improvvisare invettive dai toni profetici.

Qual è il tuo rapporto con i social network, in particolare con Facebook, forse il più utilizzato dai nuovi fumettisti che intendono far conoscere il proprio lavoro?

Non sono iperconnesso, frequento Facebook da non troppo tempo e in modo frammentario. Nonostante questo, temo di accusare già spero in forma non virulenta alcune delle alterazioni che mi sono divertito a satireggiare nella storia di questo numero. Facebook assomiglia un po’ a una via di mezzo tra Hyde Park e Auchan: un luogo di dialogo e di scambio dove approfondire conoscenze umane e culturali, ma anche un bazar dove il bravo bottegaio può esporre la propria mercanzia. Facebook è popolato da strane forme di vita. Alcune, probabilmente normali nella vita reale, durante il flusso dei dati subiscono strane mutazioni regressive e si abbandonano a comportamenti animaleschi; altre, come gli auto-cosplay, sembrano recitare una versione aumentata di se stessi e sembrano costretti ad alimentare la propria mitologia personale esponendo quotidianamente le loro più intime masserizie. Ma anche se abbonda, sulla rete non c’è solo disagio: a volte emergono picchi di originalità e vi si trovano interessanti punti di vista, benché mai superiori allo 0,4 percento.

Lupo Magazine: LOL, anteprima 01

Sono anni che scrivi storie di “Lupo Alberto”. Come nasce una nuova avventura del Lupo? È in qualche modo cambiato il tuo approccio creativo per questa nuova veste magazine del fumetto?

La prima domanda andrebbe vietata dalla Convenzione di Ginevra. È la più temuta dagli autori, perché sanno che con tutta la buona volontà non riusciranno mai a rispondere in maniera accettabile. I più modesti si avviteranno in contorte ricostruzioni di processi ignoti anche a loro stessi. I più arroganti farneticheranno di meccanismi mentali sofisticatissimi millantando nozioni di musica atonale o di fisica delle particelle per apparire di un’intelligenza sovrumana. Io ho scelto la terza via, glissare.

Giunti al miracolo, unico modo corretto per definire il brodo di coltura e la lenta sedimentazione che precedono la nascita di un barlume di originalità, giunti quindi all’IDEA, il lavoro procede seguendo un sistema consolidato. Sinossi, soggetto e – dopo l’approvazione – la sceneggiatura vera e propria, momento cruciale in cui lo scalpello può finalmente cesellare la forma partendo da un solido contenuto. Se l’idea è perfetta, la forma è accurata e c’è lo spazio per un po‘ di sperimentazione stilistica, si può tentare il capolavoro.

Il mio approccio creativo è sempre lo stesso, indipendente da formati, committenti e forma psicofisica: caotico all’inizio, strutturato a metà, disperato a tre quarti, maniacale alla fine, tarantolato alla consegna. Tra gli argomenti preassegnati, il tema della morte è quello che ho definito per primo, dato che avevo un soggetto adatto approvato fin dal 2010. Una storia di taglio autoriale a cui tenevo molto e che ho riesumato – è il caso di dirlo – e ridefinito con grande piacere. Già al tempo era immaginata per le mani robuste e sapienti di Cannucciari e ora, come nei migliori horror, dopo averlo atteso al varco per anni è finalmente in lavorazione (e come sempre con Bruno, sarà uno spettacolo).

 

 

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