Seconda parte dell’intervista a Christopher Priest di Newsarama, riproposta per voi in traduzione nei suoi passaggi chiave. Lo sceneggiatore che ha modellato Pantera Nera a fumetti alla fine degli anni Novanta, trasformando un personaggio ignorato dalla Marvel e lontano dai radar degli appassionati e del grande pubblico in un cult, divenuto potabile per il Cinema e celebrato dal film di Ryan Coogler che sta impazzando nelle sale di mezzo mondo, parla della sua esperienza di scrittore del personaggio.

Si riprende da un argomento interessante: le fonti della sua revisione di Black Panther e il suo rapporto con le pietre miliari che lo hanno preceduto, a partire dalle storie pubblicate su Jungle Action, le prime che videro T’Challa come protagonista.

 

Jungle Action #23, copertina di Gene Colan

Non leggevo Jungle Action quando la Marvel lo pubblicava. Era un nome abbastanza stupido per una serie a fumetti, con tutto il rispetto per Archie Goodwin e Stan Lee, che credo fossero a capo della baracca, a quei tempi. Ed era di una sufficienza insopportabile. Io, ragazzino di strada di New York, non ero interessato alla giungla. A me piacevano gli Eroi in Vendita, anche se non potevo immaginare chi avesse creato il ridicolo modo di parlare di Power Man. E pensavo che Pantera Nera fosse noioso, perché non aveva poteri e la Marvel pretendeva di mostrarne il coraggio facendoci vedere che veniva colpito e accoltellato e colpito alla testa. La versione di Kirby, per me, era ancora meno apprezzabile.

Una volta che ho iniziato a studiare il personaggio, da professionista, ho iniziato ad apprezzare il Pantera Nera di McGregor più di ogni altra versione. La sua scelta di affrontare in maniera logica i problemi del continente africano e il modo in cui aveva portato alla vita il Paese del Wakanda erano stupefacenti, le sue storie sono pezzi di grande valore, per la Marvel. Il suo ampio primo arco narrativo è considerato come la prima graphic novel della Casa delle Idee ed è un vero dono. Io non vedevo alcun motivo per rettificare e ignorare il lavoro di McGregor e del suo successore, Peter McGillis. L’universo di Pantera Nera che avevano creato era incredibilmente dettagliato e io concordavo con la maggior parte delle sue caratteristiche: ero immensamente grato per gli strumenti che mi consegnava.

La visione di Denys Cowan e Dwayne Turner di quel che era il Wakanda, così come una sorta di parco a tema ipertecnologico africano, mi aprì gli occhi e mi mostrò possibilità inesplorate. In pratica questi due uomini, entrambi afroamericani, avevano dato vita a una specie di Asgard del Vecchio Continente, assieme allo scrittore Peter B. Gillis. E io ero incredulo.

Dove si crea una divergenza tra la mia visione del Wakanda e quelle precedenti? Nel personaggio di T’Challa. Non posso parlare per Don McGregor, che non conosco, ma la mia impressione è che lui vedesse Pantera come la personificazione ultima del potenziale umano estrinsecata nel coraggio e nel desiderio di rischiare la vita al servizio degli altri.

Ed è così che anche io vedo T’Challa, ma in ossequio a Stan Lee, il cui contributo fondamentale al personaggio è stato mostrarlo mettere nel sacco Reed Richards e combattere corpo a corpo con la Cosa. Queste note fondamentali erano ciò che mancava al Pantera Nera di McGregor, e per me Stan è come Mosè: le sue idee originali sono le tavole della legge del Fumetto moderno.

 

Ecco perché rendere il suo costume antiproiettile e dipingerlo come un personaggio che usa la tecnologia per semplificarsi la vita. Nonostante le proteste di una parte importante dei lettori.

 

Fantastic Four #52, copertina di Jack Kirby

“In effetti, non compriamo e non compreremo Black Panther, ma come osi rendere il personaggio più intelligente e tecnologicamente avanzato? Riporta indietro il costume di spandex e liberati di tutti i gadget.” Questo era il tono. Ad alcuni, sembrava che io stessi compiendo cambiamenti senza senso e irrispettosi del personaggio di Stan. Il pubblico Marvel si era assuefatto a una versione del personaggio che io consideravo la vera deviazione dall’idea di Lee. Inoltre, chi si lamentava, era gente che non aveva letto le storie di McGregor, né le mie. Io usavo Stan e solo lui come riferimento, anche se nel carattere il mio Pantera era più laconico, alla Batman, e misterioso, rispetto al suo amichevole monarca un po’ gregario. Vedevo Pantera Nera come un personaggio che parla poco, e penso che Batman parli troppo, forse ancora oggi. Pensavo che Pantera potesse e dovesse essere il Batman della Marvel, quel tipo di personaggio che mancava al suo pantheon, e i motivi di T’Challa erano abbastanza diversi da quelli di Wayne da proteggerlo dall’accusa di plagio.

Ciò che impedì a T’Challa di riempire quel vuoto e diventare quel tipo di personaggio fu, in tutta onestà, la Marvel stessa. Che sia consapevole o meno, la loro visione di Pantera Nera è quella di un personaggio connotato dal punto di vista razziale e pertanto meno puro narrativamente di un qualunque Drax il Distruttore o Sub-Mariner. Non lo intendo in senso razzista, ma nel senso di una considerazione dell’elemento razziale nella personalità del personaggio, che il pubblico dovrebbe sempre riconoscere.

Per farvi un esempio: è stata espunta una battuta che ho scritto recentemente, per il mio contributo al matrimonio di Deadpool, perché gli editor Marvel temevano potesse offendere i lettori di colore. Ho spiegato loro cosa sarebbe successo, ma mi sono passati sopra. Cosa che mi crea qualche problema, perché io sono di colore e stavo spiegando che i lettori afroamericani non sono così sensibili a certe cose quanto credono. Hanno il senso dell’umorismo, e Deadpool se la prende con tutti quanti. Era una violazione del suo personaggio censurarlo, come se si tirasse indietro di fronte a una battuta sui neri.

 

 

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