Christopher Priest sostiene che Marvel e DC Comics dovrebbero smettere di preoccuparsi delle lettere di lamentela e delle accuse di pochi per dar voce a una maggiore libertà creativa, dando la precedenza al rispetto dell’identità dei personaggi sopra a ogni altro genere di considerazione.

 

Pantera Nera: Nemico Pubblico, copertina di Joe Quesada

Pantera è un personaggio che ha molto in comune con Namor, che pur non essendo un uomo bianco appare come tale e può quindi muoversi più liberamente nello spirito del tempo della Marvel. T’Challa è un re, un tipo di persona completamente diverso dal resto della gente, e io non avevo mai visto il governo degli Stati Uniti reagire in maniera sensata a questa caratteristica, nelle versioni precedenti del personaggio. Non era onorato come un re o monitorato come un capo di Stato straniero dovrebbe essere quando gira per Brooklyn. Questo atteggiamento di sufficienza fu portato da Everett K. Ross, quando arrivò al La Guardia sulla sua Mazda Miata per prendere il Re di una nazione sovrana all’aeroporto. Per me, Ross incarnava anni e anni di mancanza di rispetto non per T’Challa e Pantera, ma per Stan Lee, che aveva creato un misterioso monarca di un regno nascosto, rispettato dagli FQ e proveniente dall’Africa, che però tutti trattavano come Pinco Pallino. Re T’Challa non è Pinco Pallino.

Quindi ho dato forma alla mia irritazione per l’atteggiamento della Marvel, per come avevano marginalizzato il personaggio, attraverso la plateale idiozia di questo nuovo agente del Dipartimento di Stato. Ross vedeva Pantera Nera per come era stato trattato dalla Marvel: un tizio qualunque che gli altri eroi potevano quotidianamente mettere in ombra. Reificare le basse aspettative sul personaggio all’interno della storia era il mio primo obiettivo, e Ross era la punta del mio fioretto. Se levassimo la razza dal personaggio e la preoccupazione narrativa che si porta dietro, non ci sarebbe motivo per non fare di Pantera Nera uno degli eroi più di successo della Casa delle Idee. Non è così solo perché nessuno è in grado di cancellare quell’idea, né la Marvel né i lettori di fumetti, specialmente quando il nome del supereroe in questione contiene la parola “Black”.

E, tuttavia, il mio intento non è mai stato dimenticare il passato. So benissimo come ci si sente, quando arriva un nuovo sceneggiatore e, improvvisamente, cancella tutto quel che è successo fino a quel momento. Credo che parte del divertimento, per un lettore, sia vedere come gli scrittori risolvono problemi all’interno delle regole e della continuity dell’universo narrativo. In questi giorni, sembra che vada di moda dare una scossa alle cose e fingere che nessuna storia sia mai stata raccontata prima, cancellare il passato come da una lavagna magica. Entrambe le major stanno cercando di rilanciare le vendite con questi scossoni alla continuità narrativa.

Io mi sono forse spinto troppo lontano nella direzione opposta, nella speranza di salvare dagli abissi le precedenti versioni di Pantera, persino quella ridicola di Kirby, che ci piace chiamare “Pantera Nera con i mutandoni buffi”. La versione di McGregor non era esattamente la mia tazza di tè, ma Don aveva fatto un sacco di lavoro egregio nel rendere reale Wakanda e dar vita al cast di supporto del personaggio. Quindi non vedevo alcun motivo per un reboot completo, anche se mi avevano dato l’occasione di farlo. I personaggi di contorno di Don funzionavano benone e il suo approccio terra terra mi faceva decisamente più piacere rispetto a quello che mi mostrava una specie di Uomo-Gattino che se la faceva con gli Avengers. Senza voler offendere Roy Thomas e gli altri. Semplicemente, nessuno credeva davvero nel personaggio. Nemmeno io, finché Quesada e Palmiotti me lo proposero.

 

 

Fonte: Newsarama