Brian Yuzna, membro della Giuria Asteroide dell’edizione 2019 del Trieste Science+Fiction Festival, ha avuto modo di riproporre all’evento cinematografico il suo esordio alla regia Society, uscito nei cinema nel 1989 e diventato nel corso degli anni un vero e proprio cult.

Il produttore, regista e scrittore si è occupato nella sua trentennale carriera di progetti di successo come From Beyond – Terrore dall’ignoto e diretto lungometraggi popolari tra cui Il ritorno dei morti viventi 3 e The Dentist, conquistando numerosi riconoscimenti e diventando uno dei nomi più apprezzati dagli appassionati di cinema indipendente e di genere.

Nella nostra intervista Yuzna approfondisce i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni nell’industria cinematografica e svela la sua idea per un atteso sequel con più di un punto di contatto con la realtà quotidiana in cui viviamo.

 

Society ha compiuto 30 anni e, nonostante il tempo trascorso, è ancora incredibilmente attuale, come è cambiata la reazione del pubblico nel corso degli anni?
Negli Stati Uniti è cambiata molto, in generale è diventato più popolare. Nel Regno Unito è invece, fin dall’inizio, stato sempre ben accolto e accettato, ottenendo un certo successo. In Spagna, Francia e Italia ha ottenuto un buon numero di fan… Negli Stati Uniti, però, è stato un completo disastro: le recensioni sono state terribili e arrivavano persino a insultarmi! Non è stato accettato in nessun modo, è quasi un film in stile cartoon, è ironico e ha delle immagini davvero grandi. Penso che uno dei motivi per cui è stato accettato nel Regno Unito sia stato perché la base delle battute, della mitologia, ha a che fare con la divisione in classi, non è un argomento tipicamente al centro dei film horror. I lungometraggi di genere abitualmente parlano di sesso, morte e religione. Quando ci si addentra in situazioni e dinamiche che riguardano la società, ci si sposta maggiormente nell’ambito della fantascienza o altri tipi di film. Nel Regno Unito non hanno alcun problema con tutto questo, lo capiscano perché socialmente hanno distinzioni e classi, così forti e rigide, vivono in quel tipo di mondo, non si sorprendono, apprezzano l’ironia di Society perché ne capiscono i riferimenti. In Spagna, Francia o Italia penso che siano situazioni maggiormente accettate, nonostante non siano così stratificati come nel Regno Unito. Negli Stati Uniti si è invece alle prese con una nazione giovane che è stata costruita da persone che non erano parte di un’élite ma sono state corrotte dal potere e da altri elementi, quindi la mitologia è che non esistano classi. Quando ho realizzato il film alla fine degli anni Ottanta era l’epoca di Reagan e abbiamo trascorso 20 anni a vivere nell’economia iniziata con la sua presidenza e finita nel 2008 con un generale collasso economico. Penso quindi che la generazione di quegli anni, che hanno vissuto in prima persona quel periodo perché avevano 18-20 anni all’epoca, improvvisamente abbiano avuto un diverso approccio nel vedere la distinzione tra i ricchi e chi non lo era così tanto, per questo il film è diventato più “accettabile”, non lo era in precedenza. Dal 2008, improvvisamente, ho iniziato a ricevere e-mail, chiamate, richieste per proiettare Society e ora è mostrato come mai in precedenza. Penso che sia grandioso: un grande disastro, un grandioso fallimento, 30 anni dopo inizia a sembrare un successo. Come si fa a non apprezzare una situazione simile?

Negli ultimi anni sono inoltre apparsi i servizi di streaming e video on demand, pensa che possano aiutare a riscoprire opere che magari all’uscita non hanno ottenuto l’attenzione che meritavano?
No, non credo davvero che possano aiutare. Lo streaming, secondo me, prometteva proprio questo: doveva essere il più grande negozio di film al mondo, dove trovare ogni titolo che volevi, in ogni momento. Puoi trovare molto, ma non tutto. Quello che rende possibile trovare un film oppure no è chi ne possiede i diritti. Molti, davvero tanti, film che sono indipendenti, di genere, a basso budget vengono acquistati da grandi società e iniziano a far parte di collezioni di film che vengono usate come garanzia per spostare capitali da usare e le società non si preoccupano di sfruttare quei lungometraggi, quindi vengono persi. Se un film non viene visto va appunto perso. Molti progetti che ho realizzato non possono essere visti perché sono della MGM e non vengono usati. Uno dei motivi per cui Society è “vivo” è perché lo possiedo io, ne ho i diritti e costantemente posso chiedere di produrre Blu-Ray, Dvd, se qualcuno ha bisogno di una copia in 35 mm posso inviarla. Possiedo alcuni lungometraggi e continuo a farli vedere e proiettare, ma altri titoli che ho realizzato… nemmeno io riesco a trovarli! Lionsgate possiede ad esempio i diritti di tutti i film della Fantasy Factory che ho realizzato in Spagna: li hanno comprati, li hanno sfruttati e ora è nel loro catalogo, ma non permettono di produrre altri Blu-Ray o Dvd. Tutto quello che è sul mercato è una concorrenza e la Lionsgate non ha interesse a vendere i propri film del passato, fanno affari realizzando i nuovi Hunger Games, i blockbuster… Non possono permettersi di avere il tempo di occuparsi di vecchi film, restaurarli, convertirli in 4K… è un lavoro! Se è il tuo film e ci guadagni pochi soldi va bene per una persona, ma quel tipo di società vogliono ottenere grandi somme di denaro, per loro sarebbe nullo, è una distrazione! Lo streaming, in teoria, dovrebbe dare maggiori opportunità, permetterci di vedere ogni film che abbiamo sempre voluto, in realtà non funziona così! Invece abbiamo sempre più film famosi e di successo, non sempre, e speriamo che in futuro cambi anche se non credo sia la grande soluzione.

Proprio a causa di questa realtà, nella sua carriera ha mai dovuto abbandonare un’idea a cui teneva molto perché non trovava chi fosse disposto a sostenerla e a realizzarla?
Ovviamente! Il 99% del lavoro del cinema è sviluppare idee che non riesci a realizzare a causa dei finanziamenti. A meno che tu non abbia di tuo dei soldi per girarli, anche se è troppo rischioso e quasi nessuno vuole spendere i propri fondi per realizzare film. Non sono riuscito a realizzare molti progetti, ma quelli che ho fatto sono sempre stati basati sull’aver ottenuto dei finanziamenti. Ora sono più anziano e nessuno ha intenzione di investire in una persona come me perché è molto rischioso, 20 anni fa potevo girare film uno dietro l’altro, per molte persone diverse, poi cambia la situazione. Quando ho iniziato a lavorare c’erano molte più fonti per trovare sostegno economico e si poteva vedere chiaramente come si poteva guadagnare: dovevi solo vendere un numero preciso di videocassette. Successivamente siamo passati ai Dvd, poi è iniziato lo streaming e internet, e negli ultimi 5-10 anni le persone si sono abituate a vedere i contenuti sui computer, sui cellulari e possono andare su YouTube e vedere i film gratis, o piratarli senza pagare. Quando ti abboni a Netflix per 15 dollari al mese puoi vedere tutti questi film, praticamente gratis! Credo che questo abbia reso tutto più difficile per chi lavora in modo indipendente: come guadagni con i tuoi film? Non ci sono videocassette, non vendi copie fisiche. Se hai qualche centinaia di migliaia di euro puoi fare un film, come fanno molte persone che poi arrivano ai festival, ma poi devi pensare a come venderlo e Netflix non è nemmeno interessata a parlarti perché vuole collaborare con chi ha tanti film e ad alto budget. Come fai quindi? Non puoi venderlo in Blu-Ray o Dvd perché difficilmente con le vendite rientrerai nei costi, puoi metterlo tra i video on demand ma come faranno le persone a saperne l’esistenza? Quando vuoi vedere qualcosa e dai un’occhiata ai titoli, se non li riconosci difficilmente li guarderai. Ed è per questo che esistono sempre più festival come questo di Trieste, specializzati in film di genere, e le persone li frequentano per scoprire opere e autori nuovi, è quasi una specie di marketing indipendente. Il problema è che questi eventi non pagano in realtà e molti registi devono invece investire una cifra per far vedere il proprio film ai festival. Se sei in concorso e sei un autore nuovo non pagheranno nemmeno per inserire il tuo film in programma, ed è difficile emergere e farsi notare se non vinci. Non è come mettere il proprio film in negozio e vendere qualche copia in VHS. Tutto è diventato molto complicato e se guadagni qualcosa vuol dire che le persone sono riuscite a vedere il tuo film, ma se non accade è come se non esistesse e non crea alcun profitto, dando vita invece a frustrazione e alla terribile sensazione che il tuo lavoro non esista, non avendo un pubblico.

In passato ha parlato spesso della possibilità di creare un sequel di Society, è un progetto a cui sta ancora lavorando?
No, ci sto lavorando! Ho scritto dei trattamenti e sto cercando di ottenere un accordo per riuscire a realizzarlo. Ho semplicemente pensato che attualmente i protagonisti di Society non scapperebbero da quella situazione, ne vorrebbero far parte perché penso che nella cultura narcisistica in cui ci troviamo, all’insegna dei selfie e persone che sono disposte a mostrarsi nelle situazioni peggiori solo per avere più visualizzazioni, c’è chi sarebbe disposto a far parte di quella realtà ed è l’ironia del mondo contemporaneo!

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