Rare Beasts, la recensione | Venezia 76
Arrabbiata, determinata e pronta a sovvertire i consueti stereotipi di genere, Rare Beasts è una commedia d'esordio promettente
Gli uomini di Rare Beasts sono ostacoli e intrattengono relazioni tossiche con la protagonista, spesso proprio violente, di certo meschine ed odiose. Perché quello che Billie Piper odia è l’approccio violento alla vita, e a prescindere dall’età! Anche il figlio della protagonista è una zavorra, un polo di negatività che le funesta la vita, non diverso in fondo da questo fidanzato iper-conservatore, ridicolo e spesso così bisognoso e problematico da sembrare egli stesso un bambino (in una scena abbastanza chiara fa i capricci).
Su questi intenti Billie Piper fa un grande lavoro di cinema, perché ad alcuni momenti chiave di scrittura affianca una messa in scena determinata. In particolar modo impressiona la colonna sonora in stile Paul Thomas Anderson di Ubriaco d’Amore, composta da rumori, suoni, parole e stacchi con armonie classiche e romantiche (sempre più di moda nel cinema contemporaneo). La confusione nella mente della protagonista lavora prima di tutto nell’accompagnamento che la segue con una progressione confusa e incalzante di cori che alternano “Achievement! Progression! Money! Cock! Success!”, pura estensione musicale della sua testa.E anche quando Rare Beasts si fa massimalista negli attacchi, preso da una foga che non riesce a domare per tutta la sua durata, ha sempre il pregio di un’onestà indubbia, di una spinta, una pressione e un desiderio autentico di realizzare una commedia combattiva, divertente e piena di prese di posizione. Anche quando è più autoindulgente Billie Piper rimane indubbiamente una voce, una scrittura e nel complesso una scoperta della Settimana della Critica di Venezia da tenere d’occhio.