Sabato scorso noi di Badtaste.it siamo stati invitati alla conferenza stampa dell’acclamata serie tv Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer, serial killer noto anche come cannibale di Milwaukee che tra il 1978 e il 1991 ha torturato, ucciso e smembrato 17 uomini.

Presso l’ICON buidling di Netflix a Hollywood abbiamo incontrato Ryan Murphy (ideatore, showrunner ed exectuvie producer della serie insieme a Ian Brennan), Evan Peters (Jeffrey Dahmer), Niecy Nash (Glenda Cleveland, vicina di casa di Jeffrey Dahmer) e Richard Jenkins (Lionel Dahmer, padre di Jeffrey Dahmer).

Ryan, quando hai iniziato a lavorare alla serie, che domande ti sei posto sulla figura di Jeffrey Dahmer?

Ryan Murphy: Non ci interessava tanto il mostro Jeffrey Dahmer, piuttosto ci siamo chiesti: cosa ha creato il mostro? Chi è stato complice nella creazione del mostro? C’erano molte, molte cose da considerare e sapevamo che in ogni avevamo tra le mani una storia umana molto complicata. Senz’altro una delle cose che abbiamo sempre voluto è stata affrontare il razzismo sistemico, l’omofobia e abbiamo sempre tenuto un occhio di riguardo rispetto alle vittime.

Come hai gestito il cercare di attenerti ai fatti reali e a volte a dover romanzare?

Ryan Murphy: Beh, ci ho lavorato per 10 anni e sono contento che ci sia voluto così tanto tempo. Abbiamo avuto quattro o cinque ricercatori e si è dedicato molto tempo alla ricerca, alcuni personaggi si sono condensati ad esempio ma per la maggior parte, ci siamo attenuti alla realtà dei fatti.

Le famiglie delle vittime hanno criticato aspramente la serie.

Ryan Murphy: L’ho già detto pubblicamente, abbiamo davvero fatto il nostro dovere e abbiamo contattato 20 amici e familiari delle vittime e non abbiamo mai ricevuto risposta. Eravamo alla ricerca disperata di altri input. Così ci siamo basati su diverse fonti, articoli di riviste, libri e così via. Abbiamo cercato di essere il più veritieri possibile. Io personalmente come artista sentivo che questo era il progetto più grande a cui avessi mai lavorato che esplorasse la questione del privilegio dei bianchi. Questo ragazzo è stato praticamente beccato 10 volte! Volevo raccontare questa storia. Volevo raccontare una storia di omofobia, volevo raccontare una storia di polizia, volevo raccontare una storia di razzismo sistemico. Credo che fin dal primo giorno abbiamo tenuto una conversazione sul tema delle serie e sul motivo per cui abbiamo deciso di raccontare questa storia, che in estrema sintesi è il modo in cui è stato creato il mostro.

Dahmer - Courtesy of Netflix Vivian Killilea for Getty
Dahmer – Courtesy of Netflix Vivian Killilea for Getty

Come hai scelto il cast, partendo da Niecy Nash?

Ryan Murphy: Conosco Niecy Nash dal lontano 1998. Non solo è una persona solida, ma nel corso degli anni, da genio della commedia, ha dimostrato di essere un’incredibile attrice drammatica e io l’ho sempre saputo. Credo che tante persone se ne fossero accorte da un po’. Così, quando stavamo scrivendo il ruolo di Glenda Cleveland, ho chiamato Niecy e le ho detto: “Voglio che lo faccia tu questo ruolo”. E lei ha risposto: “Va bene”. Uno dei momenti più commoventi per me dall’uscita di Dahmer è stato quando l’ho chiamata la prima settimana e le ho detto quanto la serie stesse andando bene. E lei si è commossa parlando di Glenda.

Niecy, cosa hai provato quando hai ricevuto quella chiamata da Ryan?

Niecy Nash: Ho pianto come una bambina. E ho pianto come una bambina perché il mio desiderio è che l’anima di Glenda Cleveland stia riposando in pace e sono felice che finalmente si senta ascoltata. Finalmente sa che la sua storia ha fatto il giro del mondo. Questo è stato importante per me. Ne abbiamo proprio parlato di recente, io e Richard Jenkins, e lui ha chiesto: “Quando hai capito che il peso di quello che stavi facendo era più grande del tuo personaggio?”. La mia parte infatti riguarda ogni donna, ogni persona che non è mai stata ascoltata. All’inizio però non l’avevo nemmeno realizzato. Dopo aver iniziato le riprese, ho pensato che si trattasse semplicemnte della storia di una donna. Poi ho capito e mi sono detta: “Oh, conosco molte Glenda Cleveland, anche io sono stata Glenda Cleveland nella mia vita”.

Ryan, come mai invece hai scelto Evan Peters per la parte di Jeffrey Dahmer?

Ryan Murphy: Conosco Evan Peters da quando era un adolescente, dalla prima stagione di American Horror Story. E a dire il vero, all’epoca l’avevo scelto perché sembrava il figlio di Jessica Lange! Poi il primo giorno di riprese io e miei collaboratori sul set ci siamo detti: “Porca miseria, questo ragazzo sa recitare”. Quindi, per me, passare da quel momento a questo, in cui Evan viene paragonato a Robert De Niro, Marlon Brando e Leonardo DiCaprio… Non potrei essere più orgoglioso. Ad essere onesti, abbiamo fatto il casting per sei mesi e abbiamo visto molte persone. E c’era qualcosa che mancava. Ricordo di aver detto al mio direttore del casting: “Chiamerò Evan”.

Evan, cosa hai pensato quando Ryan ti ha chiamato per la parte?

Evan Peters: Ero terrorizzato, sono stato davvero indeciso se farlo o meno, sapevo che sarebbe stata un’esperienza estremamente oscura e che sarebbe stata una sfida incredibile. Ma Ryan mi ha consigliato di guardare l’intervista di Dateline fatta da Stone Phillips a Jeffrey Dahmer. In quell’intervista si vede davvero come parla di ciò che ha fatto. E ne sono rimasto affascinato. Volevo immergermi nella psicologia di quel lato estremo del comportamento umano. Così ho letto quanti più libri possibile, rapporti di psicologia, confessioni, cronologie, tutto nel tentativo di capire perché avesse fatto quello che aveva fatto. E poi, naturalmente, c’era la sua fisicità.

E per quella come ti sei preparato?

Evan Peters: Abbiamo fatto quattro mesi di preparazione prima dei sei mesi di riprese. Lui teneva la schiena molto dritta, non muoveva le braccia quando camminava. Così mi sono messo dei pesi sulle braccia e ho indossato i suoi jeans, i suoi occhiali, avevo sempre una sigaretta in mano, volevo che tutte queste cose esterne fossero una parte di me durante le riprese. Poi ho guardato molti filmati. Ho anche lavorato con un coach dialettale per modellare il suo timbro, il suo modo di parlare era molto distinto e aveva un accento. Ho creato un audio di 45 minuti con la sua voce, che mi è stato molto utile. L’ho ascoltato ogni giorno, nella speranza di imparare il suo modo di parlare, ma anche per cercare di entrare nella sua mentalità. È stata una ricerca estenuante, ho anche cercato di trovare dei suoi momenti privati, in modo da farmi un’idea di come si comportasse prima di queste interviste e di andare in prigione.

Ryan Murphy: E una delle cose che ricordo è che quando abbiamo finito di girare, Evan mi ha chiamato e mi ha detto: “Beh, ho dato il massimo, ho dato il 120%”, e devo dire che è davvero stato così. È interessante notare che questa è una delle prime volte che ci ritroviamo tutti insieme. L’altra sera Niecy durane una serata di promozione della serie si è presentata scherzando a Evan, dicendogli: “Evan Peters, piacere di conoscerti!”, nonostante abbiano lavorato insieme per mesi. E questo perché Evan è stato profondamente calato nel personaggio durante tutte le riprese.

Niecy Nash: È vero, quando lavoravo sul set di Dahmer le persone mi chiedevano: “Come è Evan Peters?” E io rispondevo: “Non lo so”. Evan aveva proprio un bisogno di mantentere le distanze con tutti in modo che quella tensione fosse poi palpabile sullo schermo. La prima volta che ci siamo incontrati prima di girare gli ho detto: “Hey, come va?” e lui: “No, no” e si è allontanato. Purtroppo quando rimani dentro un personaggio e ti leghi al materiale, la tua anima a un certo punto viene turbata, capisci cosa intendo? A un certo punto ho capito che si stava stancando. E ho pensato: “Lo terrò nelle mie preghiere”. Era una parte difficile da interpretare e lui voleva rendergli giustizia.

Dahmer - Courtesy of Netflix Vivian Killilea for Getty
Dahmer – Courtesy of Netflix Vivian Killilea for Getty

Evan, e come sei uscito da ruolo?

Evan Peters: Il mio obiettivo era dare il massim quindi mi sono portato dentro molta oscurità e negatività. Cercavo di tenere a mente l’obiettivo finale, cioè arrivare alla fine delle riprese al termine delle quali sono riuscito a respirare, a lasciar andare e mi sono detto: “Ok, ora è il momento di fare entrare nella mia vita gioia e leggerezza, di guardare commedie e storie d’amore. Sono tornato a St. Louis a trovare la mia famiglia e i miei amici. Tra le commedie divertenti che ho guardato Stepbrothers (Fratellastri a 40 anni).

Ryan, come è stato invece il processo di scelta di Richard Jenkins nel ruolo del padre di Jeffrey Dahmer?

Ryan Murphy: Conosco Richard da quando l’ho diretto insieme a Julia Roberts in Ama Prega Mangia nel 2010. Quando gli ho mandato la parte non avevo molto aspettative, mi rendevo conto che non era un personaggio facile da accettare. Poi un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: “Sai una cosa? Lo faccio”.

Richard Jenkins: Ryan mi ha mandato la bozza che avevano scritto dei primi tre episodi e mi ha subito interessato primo perché sono padre e secondo perchè si tratta di un essere umano incredibilmente complesso, uno dei personaggi più completi che abbia mai interpretato. Poi continuavo a chiedermi: se Jeffrey Dahmer fosse tuo figlio, smetteresti di amarlo? Come affrontreresti il fatto che Jeffrey Dahmer è tuo figlio? Ti daresti la colpa? Non hai fatto caso a qualcosa? Lionel Dahmer ha scritto “Storia di un padre”, un libro bellissimo. Ed è un ammonimento per dire: ho ignorato i segni, se avete dei figli, non ignorate i segni. Ascoltate i vostri figli quando cercano di dirvi qualcosa.

Niecy sei stata in un certo senso la rappresentante della comunità che non è stata ascoltata. Che responsabilità hai sentito?

Niecy Nash: Ho sentito la responsabilità di farlo bene. Sentivo che per me, in un certo senso, tutti dovevano vivere la serie attraverso gli occhi di questa donna, perché lei aveva visto tutto. Era l’annunciatrice della città, era, e lo dico con tutte le buone intenzioni, la vicina ficcanaso. Probabilmente il momento in cui ho realizzato la sua importanza è stato quando è arrivata la polizia, che ha riaccompagnato il ragazzino (il 14enne Konerak Sinthasomphone, ndr) nell’appartamento di Jeffrey. Perché continuavo a chiedermi: “Davvero è successo questo?”. Perché è una donna di colore a lamentarsi, e qui vediamo il razzismo, perché c’era una relazione omosessuale, e qui l’omofobia. Ci sono stati molti giorni in cui me ne sono andata a casa con le lacrime agli occhi.

Ryan, quale è stata la tua scena preferita?

Ryan Muprhy: Una delle mie scene preferite è stata la scena del sandwich, quella tra Niecy ed Evan. È stata molto, molto difficile da girare. Non ho diretto nessuno di questi episodi, ma sono andato sul set per quella scena. E ricordo di aver pensato: “Non vedo l’ora che questi attori la girino”. È stato un momento di una potenza incredibile.

Quali sono i motivi del successo di Dahmer?

Ryan Murphy: Credo che la prossima settimana Dahmer raggiungerà 1 miliardo di ore di streaming, il che lo rende uno dei più grandi successi della mia carriera, nel 25° anno della mia carriera, ed è qualcosa che nessuno di noi si aspettava. Personalmente ho due teorie. Penso che il mondo sia un luogo oscuro e che le persone cerchino un posto dove scaricare la loro ansia, e questa è una motivazione. L’altra è che, dal COVID in poi, le persone siano molto più interessate al tema della salute mentale e nello show ogni personaggio ha un momento in cui ne parla. Credo che la gente sia davvero molto interessata a questo aspetto.

Trovate tutte le informazioni su Dahmer nella nostra scheda.

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