Marseille: la recensione
Descritta come l'House of Cards francese, Marseille, la serie distribuita da Netflix con Gerard Depardieu, non riesce a convincere
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Il sindaco di Marsiglia Robert Taro (Gerard Depardieu) si prepara, dopo venti anni di governo ininterrotto, a lasciare il posto al suo protégé Lucas Barres (Benoît Magimel). A ridosso delle nuove elezioni, tuttavia, il progetto di riqualificazione del porto storico, grande lascito della vecchia amministrazione a quella che si prepara a subentrare, porta a galla un insieme di ripicche, vendette, tradimenti. I legami politici lasciano il posto, o meglio si intrecciano, con questioni private lontane nel tempo, e tutto assume connotati sempre più oscuri. Il nucleo familiare di Taro ne viene scosso, con la moglie Rachel (Géraldine Pailhas), già costretta ad affrontare una malattia, e la figlia Julia (Stéphane Caillard) a gestire un triangolo amoroso dai risvolti drammatici.
Lenti deformate inquadrano dall'alto una città che si ripiega innaturalmente su se stessa, mentre il tema piuttosto carico di Alexandre Desplat sottolinea a più riprese ogni svolta drammatica o presunta tale. Ciò che accade in scena, intanto, non ha mai la forza dirompente che queste trovate sopra le righe vorrebbero suggerire. Le migliori serie europee – tra le quali anche alcune prodotte in Italia negli ultimi anni, non ultima Gomorra – riescono a sostenere comunque con difficoltà le esigenze di un ritmo particolare come quello televisivo. Un linguaggio che, per forza di cose, in America è assorbito e quasi dato per scontato, ma che si rivela tutto da perfezionare in altri contesti.Otto puntate dalla durata tutto sommato modesta (addirittura inferiore ai 40 minuti in alcuni casi) non riescono a sostenere una storia che non possiede il respiro necessario. Il conflitto fondamentale tra i due protagonisti ricade continuamente su se stesso, ripetendo azioni, situazioni e dialoghi, e stiamo parlando di quello che, anche grazie al carisma immenso di Depardieu, è il segmento più interessante. Il triangolo amoroso accennato sopra, dato anche il suo esito, è puramente al servizio del minutaggio. Procediamo quindi tra una scena di sesso di troppo (quasi fossero il marchio di un'opera matura), scene di calcio riprese come se fosse una partita in tv e momenti troppo espositivi a fronte di una narrazione fin troppo lineare.
Strano poi come la storia, che pure offrirebbe alcuni spunti e conflitti validi, sprechi il suo colpo di scena più interessante in modo quasi svogliato, o come – questo era un difetto anche di 1992 – si cerchi a tutti i costi di costruire dei collegamenti, alcuni dei quali troppo forzati, tra i protagonisti. Arriva un parziale riscatto in un finale abbastanza compiuto e soddisfacente. Piccolo spiraglio di luce, peraltro giocato su un momento di tensione e impotenza in un racconto di uomini che lottano per il potere, che però non può lasciarci convinti della visione. La Palma d'Oro della tv francese rimane saldamente nelle mani di Les Revenants, e non è un caso che si trattasse di un prodotto molto più legato a ritmi e situazioni più particolari e tipiche, quando qui invece sembra che Marseille abbia voluto inseguire modelli che non gli appartengono.