Come abbiamo già avuto modo di dire la scorsa settimana, un dato incontrovertibile che accompagnerà l’era della post Peak TV sarà quello che vedremo meno serie televisive e serie limitate e molte più cancellazioni.

Se l’era dell’abbondanza è (quasi) finita, gli streamer dovranno ora correre ai ripari e trovare un’alternativa possibile ad un modello di business che ha ormai esaurito tutte le sue carte. Ma come si rifletterà questo sull’industria dell’intrattenimento e come saranno le serie TV del futuro?

L’era post Peak TV o dell’austerità, potrebbe essere caratterizzata da serie televisive pensate per un pubblico più ampio, budget più contenuti, rilasci settimanali (arrivederci binge-watching) e stagioni più lunghe, insomma, come abbiamo già avuto modo di ribadire più volte, un vero e proprio ritorno al modello della TV lineare da cui i servizi streaming hanno tanto faticato per allontanarsi e distinguersi.

Al di là della creazione di abbonamenti ad un prezzo inferiore, ma con la pubblicità, un segno evidente che la strategia delle piattaforme fosse in fase di trasformazione, viene dalle parole di Bela Bajaria, responsabile dei contenuti di Netflix che, non molto tempo fa, aveva dichiarato come fosse intento della piattaforma produrre programmi che avessero successo principalmente nel mercato per cui sono realizzati, pur essendo inseriti in una piattaforma globale, il che – di per sé – è già un notevole allontanamento dal tentativo di perseguire successi globali (e rari) come Squid Game o Stranger Things, da considerarsi ormai più eccezioni che regola.

Come dimostrato dalle recentissime parole di Nicole Clemens, ospite del MIA Market, anche le serie limitate potrebbero vivere un periodo difficile. Secondo la Presidente di Paramount Television Studios, nel mercato americano la Paramount si terrà infatti alla larga da prodotti come The Offer, che racconta la storia di come sia nato Il Padrino, a fronte di una maggiore attenzione per le commedie o i prodotti esteri, in particolare provenienti da Corea, Regno Unito o Italia, di particolare appeal per il pubblico.

Se quindi l’intento delle piattaforme è quello di risparmiare evitando prodotti di nicchia, anche l’allocazione dei budget sarà protagonista di un notevole cambiamento. Se un tempo si era infatti disposti a spendere cifre significative su progetti che non sempre, però, avevano il ritorno sperato in termini di pubblico e sottoscrizioni, la tendenza nel futuro sarà quella di spingere su serie come The Night Agent o The Lincoln Lawyer che, pure senza spese folli, hanno dimostrato di essere un buon ritorno di investimenti. Insomma, in parole povere, si smetterà tendenzialmente, non del tutto, di cercare di produrre il futuro Lost o Game of Thrones e si tornerà a cercare successi come ER, Friends, The West Wings o Bones, il cui segreto – come d’altronde serie come Grey’s Anatomy insegnano da 19 anni – è soprattutto la fidelizzazione del pubblico.

Tuttavia, secondo quanto riportato dalla Luminate Film & TV, negli ultimi 3 anni la metà delle serie prodotte aveva 8 o meno episodi. Difficile fidelizzare chiunque con soli 8 episodi, il che significa che si potrebbe assistere ad una vera e propria inversione di tendenza per cui le stagioni si allungheranno. E sebbene questo possa tradursi in un aumento delle spese per la produzione di una serie (più episodi, significano più soldi spesi) è pur vero che molti dei costi si ammortizzerebbero, basti solo pensare semplicemente a quanto si risparmierebbe nell’usare per anni lo stesso set (laboratori, uffici, ospedali, etc.) se lo si paragona alle spese per gli allestimenti di un set che viene usato magari solo per 6 od 8 episodi e poi smantellato. Insomma, la parola d’ordine sarà “spazio alla normalità”. E questo new normal, se davvero si realizzerà, sarà anche un vantaggio per gli sceneggiatori che, secondo il nuovo contratto appena siglato vedranno aumentare il numero degli autori assunti per una serie con l’aumentare degli episodi prodotti.

Un altro passo che gli streamer potrebbero compiere, come già fatto con grande successo di pubblico da Paramount+ con Paramount Network questa estate, con Yellowstone e 1883, potrebbe essere concedere in licenza i propri show alla TV lineare, il tutto sempre con l’intento di creare quel genere di fidelizzazione che lo porterebbe poi ad iscriversi al servizio streaming per continuare a seguire quella stessa serie TV.

In quanto ai rilasci settimanali, ad eccezione di Netflix, è già evidente da tempo che il trend sia già diretto da tempo in quella direzione, con Amazon Prime Video, Disney+, Hulu e molti altri streamer che hanno rinunciato al binge watching, rendendosi conto che rilasciare un episodio a settimana, significa mantenere gli utenti iscritti alla propria piattaforma per più tempo.

Il troppo stroppia sempre

Se da una parte la Peak TV ha regalato qualche perla rara al pubblico, per lo più da incasellare in quella che viene definita la Prestige TV, cioè serie o più spesso miniserie con attori famosi come protagonisti, che a volte si prestavano per la prima volta al piccolo schermo, caratterizzate da un certo tono di serietà e da un a comune atmosfera rarefatta, quasi a sottolinearne l’indiscutibile qualità (nonché le prime che potrebbero essere colpite dalla nuova era dell’austerità assieme a prodotti più eccentrici e di nicchia), dall’altra è caratterizzata da un eccesso di serie che cercano di sgomitare condividendo il medesimo spazio senza fare più alcuno sforzo per cercare di distinguersi l’una dall’altra.

È successo nel passato innumerevoli volte e sta succedendo oggi, per fare un esempio recente, con la pletora di serie che raccontano la crisi degli oppiacei negli Stati Uniti dopo il successo di Dopesick.

Chiariamoci, replicare i risultati di una serie che riesce a raccogliere un elevato numero di spettatori non è un evento nuovo in TV che, ciclicamente, sembra affezionarsi a certi generi televisivi riempiendone i palinsesti (militari, ospedali, pompieri), ma ciò che è successo con la Peak TV è diverso, perché la strategia degli streamer, dal mero tentativo di imitare i risultati altrui, ha finito per sconfinare nel qualunquismo e nel parossistico tentativo di creare un programma per ogni genere esistente, al fine di accontentare tutti con tutto, con un’evidente ricaduta sulla qualità dei prodotti finali.

Chi, d’altronde, non ha sperimentato almeno una volta la frustrante sensazione di non riuscire a trovare il programma da guardare pur avendo a disposizione almeno 3 abbonamenti a diverse piattaforme?

Anche il modo in cui certi franchise sono stati spremuti come limoni (Marvel, Star Wars, DC Comics…), tanto da disaffezionare il pubblico di appassionati, è un diretto effetto dell’era dell’abbondanza televisiva cominciata con Netflix, che – ironicamente – entrò nel mercato della produzione di contenuti originali nel 2013 con House of Cards, che debuttò avendo già ottenuto il rinnovo per una seconda stagione, al fine di dimostrare ai creativi di essere un’alternativa valida e seria alla TV lineare. Se solo avessero potuto leggere il futuro!

Da allora le cose sono prepotentemente cambiate, perché in gioco sono entrate realtà come Disney o Warner Bros., con decenni di prodotti da riversare sulle proprie piattaforme, o Apple e Amazon Prime che controbilanciavano la mancanza di contenuti con una disposizione di budget quasi illimitata, facendo alzare l’asticella ogni anno di più e portando all’inevitabile crash dell’attuale sistema.

Il presidente di FX John Landgraf ha definito questo momento come “l’inning intermedio” dell’industria televisiva, in cui, con tutti i cambiamenti in atto, gli streamer cercheranno probabilmente di schiacciare il pedale del freno e mandare avanti gli altri, possibilmente a sbagliare per primi, così da non ripetere gli stessi errori. Un momento sicuramente delicato che ci porterà verso una nuova epoca e che, se da una parte rimedierà agli errori della Peak TV, dall’altra potrebbe privarci anche di certe produzioni eccezionali che non avrebbero probabilmente mai visto la luce se non grazie all’era dell’abbondanza della TV.