La scusa ufficiale degli Studios, nel caso qualcuno lamenti, da qui in avanti, una flessione nella produzione di contenuti per la TV, potrebbe essere che l’accordo firmato con gli sceneggiatori in seguito allo sciopero che si è concluso dopo più di 140 giorni sia da considerarsi il chiodo sulla bara della Peak TV. La verità è che, in un mercato saturo come quello dell’intrattenimento, i network stavano già cercando da un po’ di arginare questo fenomeno e l’era dell’abbondanza della TV era già destinata a finire.

La parabola discendente della Peak TV

Coniato nel 2015 da John Landgraf, Amministratore Delegato di FX Networks, il termine Peak TV, definita anche come l’era d’oro della TV, indica un periodo in cui il numero degli show televisivi prodotti in un solo anno, ha raggiunto numeri impressionanti. Nel 2019 tra la TV generalista e gli streamer, negli Stati Uniti, sono per esempio state prodotte più di 500 serie televisive, nel 2022 erano salite a 599, quando 10 anni prima, il numero arrivava a malapena a 200.

Il fenomeno, dovuto sicuramente in parte alla comparsa di un numero sempre maggiore di piattaforme, con la necessità di avere dei prodotti originali da presentare al pubblico per attrarre sottoscrittori, sta ora lentamente evolvendo in una nuova formula che assomiglia molto da vicino quella della TV generalista da cui gli streamer hanno cercato per anni di distinguersi, con abbonamenti sempre più cari e l’introduzione della pubblicità in diversi piani.

A gennaio del 2023 lo stesso Landgraf aveva suggerito che la Peak TV fosse ormai agli sgoccioli, se non già bella che conclusa, sottolineando che, quando aveva coniato il termine nel 2015, non stava elogiando un’era dorata per la TV, ma stava mettendo in guardia i produttori dal rischio della saturazione, sottintendendo che, a prescindere da quanti servizi streaming o serie televisive fossero state offerte al pubblico, la fine di questo fenomeno era insita nel suo nome, dove c’è un picco c’è infatti una discesa, rappresentata in questo caso dal limite nel potere di acquisto delle famiglie, soprattutto a fronte degli attuali aumenti e restrizioni, come l’impossibilità di condividere un account tra più utenti.

Quello che bisogna aspettarsi adesso è un periodo di aggiustamento, con minori investimenti a fronte di un numero più gestibile di show (anche per gli spettatori stessi), una maggiore oculatezza da parte di network e streamer e molte più cancellazioni, in quella che, più che una frenata, potrebbe assomigliare all’implosione di un sistema durato forse più a lungo di quanti in molti si aspettassero, probabilmente anche a causa dello zampino della pandemia.

I risvolti più evidenti, al momento, oltre al fatto che non solo sono state cancellate molte serie che non sono nemmeno mai arrivate sul piccolo schermo, ma anche che da molte piattaforme sono spariti contenuti i cui diritti avevano un costo eccessivo per essere mantenuti a disposizione di un pubblico che non smaniava per guardarli, molti show che possono essere definiti di nicchia, con un affezionato, ma sparuto pubblico, che nell’era della Peak TV riuscivano comunque a trovare il loro spazio, oggi sono destinati a morte certa.

A fronte delle molte spese folli ed incontrollate che hanno caratterizzato la Peak TV, con una sovrabbondanza, in particolare, di reboot, ci siamo divertiti ad elencare alcuni dei peggiori che hanno caratterizzato l’era d’oro della televisione.

And just like that…

Nonostante la serie sia stata rinnovata per una terza stagione, sono in molti a concordare sul fatto che lo show abbia rovinato l’eredità lasciata da Sex and the City. Se era infatti divertente seguire la vita amorosa e professionale di 4 giovani donne nella scintillante New York della fine degli anni Novanta, non si può dire lo stesso delle stesse protagoniste ai giorni nostri, casalinghe un po’ annoiate (e noiose) nelle quale è difficile rispecchiarsi. Il reboot dell’iconico show non è riuscito a riprodurre l’umorismo e la leggerezza originali e l’assenza di Samantha non ha certo aiutato, come non lo hanno fatto i problemi fuori dal set di Chris Noth, che hanno portato gli autori a decidere di eliminare il personaggio.

Una mamma per amica – Di nuovo insieme

La Rory che il pubblico amava non era più la stessa alla fine di questo revival e questo dovrebbe bastare a lasciare perplessi anche i più accaniti dei fan dello show, che si conclude con la storia della madre che si ripete con la figlia, lasciandola completamente allo sbando: incinta dell’ex, (non si sa bene quale, perché quale migliore idea se non concludere con un simile cliffhanger una serie che potrebbe non essere mai più ripresa?) e senza il lavoro dei suoi sogni, per cui aveva lottato per una vita.

Veronica Mars

Un’adolescente con la risposta pronta e l’atteggiamento battagliero, amante del mistero e della verità, non fa lo stesso effetto di un’adulta che sembra per la maggior parte del tempo solo saccente e poco educata, se a questo si aggiunge la decisione di far saltare in aria Logan, non c’è rimasto molto da guardare nel revival della Veronica Mars che il pubblico un tempo amava.

The X-Files

Nonostante alcuni episodi del reboot siano stati un colpo di genio, The X-Files 2.0, per usare un eufemismo, non è stato molto generoso con il personaggio di Gillian Anderson, aggiungendo la storyline di una gravidanza di cui non si sentiva particolarmente la necessità. Invece di aiutare poi a sciogliere la matassa di alcuni dei misteri del passato, il revival ha complicato ulteriormente le cose aggiungendone di nuovi e complicando i vecchi.

24: Legacy

24 fa parte della storia della TV, non solo grazie al suo carismatico protagonista, ma anche per il modo originale in cui era stata concepita, con ogni episodio che raccontava un’ora della vita dei personaggi ad un ritmo davvero incalzante, il periodo storico del post 11 settembre, era poi quello perfetto per raccontare le avventure di un uomo che combatte contro i terroristi. Il revival non aveva un protagonista altrettanto accattivante, non cadeva nello stesso ideale periodo storico e non è riuscito a rinnovare in alcun modo la serie, tanto da essere durato una sola stagione di cui tutti si sono presto dimenticati.

Dallas

La serie originale, andata in onda tra il 1978 ed il 1991, che raccontava la storia della famiglia di petrolieri, gli Ewing, è un classico della TV. Il reboot del 2015, che racconta invece quella della generazione successiva, riportando nello show molti volti noti del passato, sin dal suo debutto ha dato l’impressione di essere più una passerella di moda per bellocci, che uno show con qualcosa di nuovo da dire o quantomeno da aggiungere rispetto al suo predecessore, un aspetto che si è riflesso in rating penosamente bassi che hanno portato poi alla sua cancellazione dopo la 3^ stagione, in buona parte anche per la morte del compianto Larry Hagman e quindi della conseguente uscita di scena del suo iconico personaggio J.R. Ewing, quasi a sottolineare come il Dallas del passato sia sempre stato migliore del suo reboot.

Streghe

La serie originale, andata in onda tra il 1998 ed il 2006, è stata riportata in vita con un reboot nel 2018, andato in onda su The CW con protagoniste Melonia Diaz, Madeleine Mantock e Sarah Jeffery. Sebbene comprendiamo l’istinto di sfruttare un successo del passato per replicarlo, il problema dei molti reboot dell’era della Peak TV è stato lo stesso, che difficilmente sono riusciti a riprodurre la magia (in questo caso letteralmente) della serie originale, introducendo nuovi protagonisti che sembrano le brutte copie di quelli originali. Se a questo aggiungiamo una tendenza, soprattutto degli show rivolti ad un pubblico più giovane come Streghe 2.0, a forzare la mano sul “politically correct“, a discapito di storyline e dialoghi, il disastro è servito. E con dei rating come quelli di questo show è un miracolo spiegato solo dal fatto che andasse in onda su The CW, che la serie sia sopravvissuta per ben 4 stagioni.