L’ESRB, acronimo di Entertainment Software Rating Board, ovvero l’organizzazione che si occupa della classificazione dei videogiochi pubblicati nel Nordamerica in base al loro contenuto, attraverso fasce d’età o commenti sul tipo di proposta, ha annunciato l’introduzione di una nuova etichetta per segnalare la presenza di loot box e microtransazioni all’interno dei videogiochi.

Questione sempre spinosa, quella dei contenuti aggiuntivi a pagamento, che ha fatto piangere più di qualche portafogli per riscattare skin e altri contenuti spesso cosmetici, attraverso crediti da spendere negli store in-game o, in altri casi ancor più discussi, nelle loot box, scatole a sorpresa rettrici della polemica “paghi e non sai quello che trovi”.

La nuova pensata dell’ESRB, quindi, riguarda proprio un’etichetta da apporre sulle scatole dei videogiochi (o nelle descrizioni delle controparti digitali) per indicare la presenza di microtransazioni di vario genere all’interno del gioco che si desidera acquistare, evitando spiacevoli sorprese a giocatori (o genitori) poco informati.

 

 

Questa qui sopra, pubblicata sull’account Twitter ufficiale dell’ESRB, è l’etichetta in questione, presentata dall’organizzazione con le seguenti parole:

 

L’etichetta che segnala “acquisti in-game (inclusi oggetti casuali)” verrà assegnata a tutti i giochi che includono acquisti con elementi casuali, inclusi bottini, giochi di gacha, pacchetti di oggetti o buste di carte, ruote premio, forzieri e altro ancora. I giochi con l’avviso “acquisti in-game (inclusi oggetti casuali)” possono includere anche altri elementi a pagamento non randomizzati.

 

Sulla questione, Patricia Vance – Presidente dell’ESRB – ha dichiarato:

 

Sono sicura che tutti voi vi starete chiedendo perché non stiamo facendo qualcosa di più specifico per il sistema di loot. Abbiamo effettuato molte ricerche negli ultimi mesi, in particolare tra i genitori. Quello che abbiamo imparato è che la grande maggioranza dei genitori non sa cosa sia un bottino. Anche quelli che affermano di saperlo, non capiscono davvero cos’è una loot box.

 

Insomma, una decisione presa per aumentare la consapevolezza del consumatore e acquirente finale, sia questo un giocatore in prima persona che un genitore desideroso di fare un regalo al figlio. Una battaglia – quella contro loot box e contenuti aggiuntivi – che sembra aver trovato un buon compromesso, del tutto legato alla volontà d’informazione e trasparenza.

 

Fonte: Kotaku