L'ex presidente di Nintendo si è spento oggi all'età di 85 anni, il nostro ricordo…

A Kyoto, nel 1949, non c’erano neon, negozi luminosi e strade asfaltate. La capitale d’ovest, per secoli dimora del Tenno era stata risparmiata dai bombardamenti alleati, tuttavia, come nel resto del paese, la fame e la miseria mordevano anche le famiglie più benestanti. Fu proprio in quei giorni, quando il Trono del Crisantemo sembrava soffrire la sua ora più oscura, che il giovane Hiroshi Yamauchi si trovò a dover assumere una delle decisioni più difficili della sua vita. Suo padre era morto durante la guerra e il nonno, all’epoca presidente di una piccola fabbrica di carte da gioco, aveva appena avuto un violento infarto. In Giappone l’etica è una cosa seria, dunque fu naturale per Hiroshi abbandonare gli studi universitari e dedicarsi anima e corpo all’impresa di famiglia.

La prima decisione che prese fu cambiargli nome, la chiamò Nintendo.

Yamauchi non ha avuto bisogno di morire per diventare una leggenda, i suoi tratti somatici, lo stile imperiale con cui ha governato Nintendo per quasi cinquant’anni, il suo amore per i giochi sono entrati nella storia della nostra industry già da ben prima della sua staffetta con Satoru Iwata. Le cronache d’epoca raccontano che Yamauchi decise di abbandonare le carte da gioco ed investire nell’elettronica quando, dopo un viaggio negli Stati Uniti, scoprì che il più grande produttore di carte del mondo era una piccolissima impresa con sede a Cincinnati. Mosso da un’ambizione sfrenata, Yamauchi decise che no, la sua azienda non sarebbe stata così “piccola”, lui avrebbe costruito un colosso.

Il resto, come si suol dire, è storia, l’incontro con Gunpei Yokoi, l’assunzione di un giovane di nome Shigeru Miyamoto, la creazione del NES e del Super Nintendo, il litigio con Square e il progetto del Nintendo 64, il presunto (e forse un po’ artefatto) scambio di battute scatologiche con Steve Ballmer, questi eventi e molti altri hanno contribuito a costruire la sua figura di shogun imperioso ed imperiale, poco incline ai compromessi e ancor meno paziente con chi non raggiungeva i suoi – elevatissimi – standard di qualità.

Tuttavia, andando a scavare, la grandezza di Yamauchi non si trova nei suoi successi o negli errori che ha commesso, si trova nella sua visione, nell’aver trasformato un’oscura fabbrica giapponese in uno dei maggiori conglomerati mondiali che operano nel settore dell’intrattenimento. Yamauchi, mentre il resto del mondo guardava a un presente fatto di fatica e ricostruzione ha avuto la forza di sporgersi oltre, di vedere il futuro, di immaginare un mondo in cui l’elettronica e i computer avrebbero rivoluzionato anche mercati che sembravano rigidi come adamantio. Circondandosi di pochi collaboratori geniali, l’ex presidente di Nintendo non ha mai lasciato che Nintendo diventasse come gli altri o che gettasse al vento le sue tradizioni per inseguire le mode del momento. In alcuni casi sbagliò clamorosamente come quando regalò a Sony i brevetti su Playstation, in altri – per esempio quando scommise sul mercato americano – anticipo di anni alcuni trend che il mercato avrebbe confermato solo molto dopo.

Con i suoi tratti appuntiti, lo sguardo severo e le sue proverbiali sfuriate contro i dipendenti (pare che il primo colore del Famicom, rosso, sia stato imposto da lui in persona solo perché aveva una sciarpa dello stesso colore), Yamauchi è stato un degno erede della tradizione nipponica, un vero signore della guerra, uno degli ultimi shogun.

Sit tibi terra levis.