Il primo iPhone del dopo Steve Jobs traccia il sentiero su cui Apple si incamminerà nei prossimi anni…

 

Come spesso accade sono i particolari – a tratti insignificanti – la chiave di lettura che permette di capire al meglio i grandi eventi mediatici. Apple non è più l’azienda sull’orlo del fallimento del 1997, ma non è neppure più la straordinaria fusione di genio e tecnica che Steve Jobs aveva creato negli anni, illuminati, del primo decennio del duemila. La Apple moderna è l’azienda americana con la maggior capitalizzazione in borsa, ha trentamila dipendenti e domina quattro mercati: quello dei computer, quello degli smartphone, quello dei tablet e quello dei lettori musicali. Ormai dunque non stupisce più che il design finale di iPhone 5 fosse apparso su internet settimane prima della presentazione ufficiale, così come il rituale officiato da Tim Cook ha perso molto del fascino che emanava quando a salire sul palco erano il dolcevita e i jeans di Steve.
 
Ma i tempi cambiano e, come sempre, bisogna adattarsi per sopravvivere.
 
 
iPhone 5, così come la nuova serie di iPod e le novità annunciate per iOS ed iTunes non sono apparecchi rivoluzionari o, almeno, non lo sono nel senso classico di Apple. Laddove con il passaggio dal 3GS ad iPhone 4, anche solo guardando i due device si poteva leggere lo sforzo dei designer, degli sviluppatori e degli ingegneri per creare qualcosa di davvero nuovo e diverso, in iPhone 5 notiamo l’evoluzione di un concetto ormai rodato, come se i tempi delle sperimentazioni avessero lasciato il passo a un più noioso rafforzamento delle fondamenta su cui è costruito l’enorme impero di Cupertino.
Se qualcuno crede ancora che Apple sia un’azienda tecnologica, dopo questo keynote, dovrà ricredersi in maniera definitiva: la trasformazione è completa. I device sono passati del tutto in secondo piano, l’obiettivo di Cook e soci, ora, è quello di uniformare il più possibile l’esperienza d’uso dell’intero ecosistema Apple. Laddove con i Mac la cosa è ancora abbastanza complessa (e infatti Mountain Lion non ha abbandonato del tutto l’approccio da sistema operativo classico), sul fronte degli iDevice, possiamo dire che la visione avuta dieci anni fa da Jobs e dai suoi dirigenti si sia ormai compiuta.
iCloud, insieme ad iTunes rappresenta, ad oggi, il più importante fornitore a livello mondiale di servizi di entertainment online, proponendo videogiochi, film, musica e libri in un’unica grande libreria sempre accessibile e sincronizzata. Non è un caso che i competitor più importanti di Apple, dopo decenni di sfida con Microsoft, siano diventati Amazon e Google. Con il primo lo scontro è ancora in una fase preparatoria, Bezos e Cook sanno benissimo che la guerra aperta indebolirebbe entrambi, ma fra qualche anno il passaggio alle maniere forti (leggasi: il predominio assoluto nel mercato musicale, video e librario online) sarà inevitabile; con i ragazzi di Mountain View, invece, Apple è ormai allo scontro frontale, iOS 6 (che non integra né GoogleMaps, né YouTube, né Google come motore di ricerca predefinito) segna il punto di non ritorno del divorzio fra le due aziende e, con tutta probabilità, lo scontro tecnologico/legale su Android andrà avanti ancora per molto.
 
 
In mezzo a tutto questo si inserisce una nuova generazione di iDevice che avrà una vita tutt’altro che facile: iPhone 5, sulla carta, è un ottimo smartphone, tuttavia ormai il pubblico è diventato esigente e, soprattutto, informato; conosce le alternative e sa valutare i prezzi. Certamente la risposta, almeno nelle prime settimane, sarà come sempre entusiastica, tuttavia le contromosse di Samsung, HTC e Nokia non si faranno attendere molto. Arrivati a questo punto, però, è chiaro come Apple non punti più alla superiorità tecnologica o all’innovazione a tutti i costi: Tim Cook non vuole che compriamo i suoi telefoni/lettori musicali/iPad, vuole che scegliamo, in modo più o meno consapevole, di entrare nell’ecosistema Apple e di non uscirne più. Android continuerà ad essere più libero e, forse, più evoluto, tuttavia l’azienda di Cupertino vuole venderci – a caro prezzo – la certezza di avere a che fare con l’eccellenza assoluta, la perfetta integrazione con gli altri strumenti e, soprattutto, l’accesso in un sistema dove tutto è semplice ed elegante.
 
 
Tim Cook aveva (ed ha) un compito difficilissimo, far sopravvivere l’azienda all’uomo che l’ha creata e forgiata a sua immagine e somiglianza. Un impegno che avrebbe messo in crisi manager decisamente più esperti, l’ex vicepresidente, invece, ha saputo tratteggiare una sua via, forse meno flamboyant di quella proposta da Jobs, tuttavia solida e precisa. Certo, seguire i keynote non ha più lo stesso sapore di una volta, tuttavia il risultato è sempre lo stesso. In redazione l’iPhone 5 lo bramiamo già.