Molyneux stupisce con il suo nuovo esperimento multimediale…

Peter Molyneux è un personaggio molto difficile da categorizzare. Fra i designer più geniali della sua generazione, il buon Pete è diventato – forse suo malgrado, o forse no – l’emblema di un certo modo di fare marketing videoludico, vendendo sogni anziché progetti definiti e riuscendo, in maniera fin troppo abile, a muoversi su quella sottile linea che divide l’hype dalla truffa. Dai tempi di Settlers, fino alla trilogia di Fable, l’intera carriera del creativo inglese è stata un susseguirsi di grandi opere e altre meno riuscite, una continua tensione fra genio e cinismo, spingendo al limite il media videoludico e le sue iterazioni.

Dopo aver condotto una carriera al top, però, Molyneux ha deciso di cambiare. E l’ha fatto in maniera radicale; abbandonata la posizione di direttore generale in Microsoft Studios, il buon Peter ha deciso di reinventarsi nello sviluppo indie, fondando 22can, una star up che, come mission aziendale, si è posta quella di creare ventidue giochi a bassissimo budget che sperimentino nuove interazioni fra macchina e giocatore. Il primo progetto – arrivato sull’AppStore in questi giorni – è Curiosity, affascinante ibrido fra performance artistica e videogame puro. Ridotto ai minimi termini il gioco altro non è che un semplicissimo puzzle game in cui dovremo distruggere le tessere che compongono un cubo gigante cercando di colpirne il più possibile senza lasciare spazi tra una e l’altra. Spiegato così sembra poco più di un passatempo, tuttavia 22can ha costruito attorno a questa semplicissima azione un universo molto più complesso. Il cubo con cui abbiamo a che fare, infatti, è lo stesso per tutti i giocatori online in quel momento e, dunque, l’operazione di distruzione altro non è che una sorta di rito collettivo in cui – in maniera più o meno conscia – i giocatori si aiutano l’un l’altro per svelare il mistero che si nasconde al centro del puzzle.

Questa componente inserisce nel gioco una serie di dinamiche molto interessanti, alcuni si limitano alla distruzione pura, mentre altri stanno creando vere e proprie opere di pixel art, oppure scrivono messaggi, sigle e addirittura nomi. Ognuno può approcciarsi a Curiosity come meglio crede e il suo gameplay semplicissimo (ma non assente) permette davvero a chiunque di sentirsi parte di un’opera più grande. L’operazione di Molyneux è geniale perché, riducendo ai minimi termini l’interazione, sia in senso ludico che dal versante sociale, torna alle origini vere del gaming, ovvero il gusto per la scoperta, per l’imprevisto, per la sorpresa. Il sense of wonder, però, dura giusto lo spazio di mezz’ora ed è molto difficile riaprire il “gioco” dopo la prima partita, certo, la misteriosa ricompensa fa gola, ma, conosciamo troppo bene Peter per credere ancora nelle sue promesse.

Recensire Curiosity, dunque, più che difficile è inutile, il progetto di Molyneux non è prettamente ludico ma, ormai, si è spostato sui canoni dell’arte visiva e della performance moderna, dunque, va affrontato con gli strumenti critici e culturali di quel tipo di proposta, non con quelli – limitati – della mera analisi del gaming. Per questo motivo, per ora, sospendiamo il giudizio anche se – come sempre – Peter è riuscito, per l’ennesima volta, a far parlare di se.