Come quasi tutte le cose che circondano la dinastia da diversi decenni a capo della Corea Del Nord anche la storia di The Interview è iniziata in barzelletta ed è finita in amarezza.

Il film con Seth Rogen e James Franco, in cui i due interpretano dei giornalisti che si improvvisano assassini per uccidere il dittatore nordocreano Kim Jong-un, aveva da subito sollevato l’ira del regime che si era espresso attraverso il ministro degli affari esteri (l’aveva definito “un atto terroristico e di guerra” con sprezzo del ridicolo) e poi aveva chiesto l’intervento dell’ONU per bloccare la pellicola che oltraggia il loro leader. A quanto pare quando il resto del mondo ha smesso di ridere la Corea del Nord ha agito da sola scatenando i suoi hacker. Al collettivo noto come Guardians of Peace infatti dobbiamo il gigantesco leak Sony al quale stiamo dando ordine in questi giorni (così tanto è il materiale che ci vuole tempo per leggerlo ed esaminarlo tutto), nonchè la presenza nei circuiti pirata di film come Fury. Un danno non da poco, una vendetta non trascurabile.

Tutto è avvenuto (dichiaratamente) come ripicca e con l’obiettivo di fermare il film. Spaventati da mille minacce e dalle oscure manovre della rete diverse catene di cinema statunitensi hanno deciso di non programmare il film. Si parla di centinaia di migliaia di schermi e quando i primi hanno cominciato a dare il diniego ne sono arrivati altri a pioggia fino a che Sony non ha ritirato il film dalla distribuzione in sala e, a quanto pare, anche da qualsiasi altra forma di sfruttamento. Per Sony quel film non esiste più. Che cosa temessero gli esercenti non è ancora noto, se kamikaze che si fanno esplodere o attacchi hacker ad kim jongpersonam, hanno agito per timore condizionando la politica Sony.

Queste sono le ore della forte protesta interna ad Hollywood e degli scenari apocalittici. Tutto questo però non deve sorprendere nè spaventare.
Non solo la cyberwarfare (cioè la guerra a mezzo internet) non è una novità, anzi è in giro da così tanto tempo che anche il fatto che sia usata per un simile scopo non è strano, ma anche la questione che alla fine sia stata la paura degli esercenti a causare il ritiro del film è l’ennesimo esempio di come questa categoria sia tra le più pavide di tutta la filiera. Non c’è nessuno scenario apocalittico da prefigurare nè le sorti di Hollywood sono in mano agli hacker.
Quello che tutta questa storia ci insegna è tuttaltro.

La prima cosa è la rilevanza del cinema nell’immaginario mondiale.

Nonostante non abbia più la centralità di cui godeva tra gli anni ‘60 e ‘70, l’ira dell’apparato politico della Corea Del Nord dimostra come i film, specie se americani, siano ancora in grado di spostare opinioni (specie in quelle parti del mondo) e costituiscano una delle armi di comunicazioni più affilate (troppo nazionale la televisione, troppo censurato e vasto internet). Il “cinema che è in grado di cambiare il mondo” è un’espressione vetusta che fa sorridere, ma in questi momenti sembra quasi reale. Ed è un bene.

La seconda cosa che questa storia insegna o insegnerà al mondo (e soprattutto ai nordcoreani) è quello che andiamo dicendo da anni, ovvero che la sala non è più il luogo di visione primario dei film e le case di distribuzione non sono più gli unici proprietari dei loro film. La Sony infatti non distribuirà The Interview né nei cinema né online, ma sappiamo tutti che comunque il film finirà in rete e dato il grande baccano che ha generato sarà visto molto di più di quanto non sarebbe stato visto in altre condizioni (lo ha spiegato con efficacia anche Judd Apatow in un suo tweet).
In altre parole l’attacco alla Sony ha provocato grossi danni allo studio, ma non ha assolutamente fermato il film, anzi gli ha dato una forza propulsiva che non avrebbe avuto in nessun altro caso. Non c’è nulla oggi che possa bloccare un film, nessuna censura nè minaccia, The Interview sarà visto molto più di prima, diventerà il film “che non volevano farci vedere”, il film che ha fatto adirare Kim Jong-un (senza che l’avesse visto), la pietra della guerra informatica tra USA e Corea del nord e via dicendo. Tutte definizioni esagerate che comunque saranno incollate ad un film che forse (lo sapremo solo quando lo vedremo) nemmeno è divertente.

The interview ora è diventato un successo garantito, solo che la Sony non ci guadagnerà un soldo per la pavidità degli esercenti.