Negli aggiornamenti di ieri sui Sony Leak e sulla cancellazione della release di The Interview abbiamo citato tanto le parole di un George R. R. Martin disgustato dalla codardia di Holywood quanto i messaggi di supporto che svariate celebrità hanno affidato ai loro account Twitter.

Eppure la domanda lecita da porsi in questo caso è “perché hanno (quasi) tutti atteso che il polverone raggiungesse l’apice e The Interview venisse cancellato prima di prendere le parti dello studio su Twitter?”. Per quale motivo le star e i potenti mogul della Mecca del cinema, a parte rare eccezioni collegabili a individui già coinvolti nella diffusione delle e-mail, non hanno fatto scudo intorno a Amy Pascal o Scott Rudin?

La risposta è alquanto scontata e ci viene data da George Clooney (via Deadline).

La paura. Il terrore di venir compromessi e coinvolti in questa fuga incontrollata di conversazioni private operata dai cyberterroristi. Tanto che nessun alto papavero di Hollywood ha aderito alla petizione lanciata da Clooney Clooney e dal suo agente alla CAA, Bryan Lourd.

Ecco la nostra traduzione di parte del Botta&Riposta in merito fra il sito e l’attore/regista:

D: come può essere accaduto tutto ciò? Che dei terroristi siano riusciti a far sì che una major cancellasse l’uscita di un suo film? Abbiamo osservato gli sviluppi della faccenda, ma quanti di noi hanno davvero capito che la Sony era sotto attacco?

R: Una buona porzione della stampa ha letteralmente abdicato, chinando il capo. Hanno suonato la lira mentre Roma bruciava. C’era davvero qualcosa sotto e sarebbe bastato scavare appena per capire da subito che dietro ciò non c’era probabilmente la Corea del Nord. Ma c’era proprio la Corea del Nord. Guardiani della Pace è una frase usata da Nixon durante una vista in Cina. Quando gli chiesero perché gli americani stavano aiutando la Corea del Sud lui risposte “Perché siamo i Guardiani della Pace”. E ora ci ritroviamo con un’altra nazione che decide cosa possiamo o non possiamo vedere. E questa cosa avrà delle ripercussioni non solo sul cinema, ma su tutti i business che abbiamo. Cosa accadrà se una redazione dovrà decidere se pubblicare una storia e si ritroverà a ricevere minacce da uno stato o un individuo o una corporazione di qualche tipo che non gradisce il tutto? Mettiamo da parte la questione dell hack informatico. Qualcuno minaccia di far saltare in aria un palazzo e tutti devono abbassare il capo. La Sony non ha cancellato il film perché aveva paura. Lo ha fatto perché gli esercenti cinematografici hanno deciso di non proiettarlo (…) Il risultato è che adesso ci troviamo di fronte a un nuovo paradigma.

D: È da una settimana che parlo della petizione in favore della Sony che hai fatto circolare. Che fine ha fatto? Come hanno fatto questi terroristi a  isolare del tutto lo studio dal resto della mandria?

R: È questa la parte brillante del loro operato. Prima mi metti in imbarazzo, in maniera tale da far sì che nessuno prenda le mie parti. Dopo la battuta su Obama chi avrebbe potuto difendere Amy Pascal? Ed ecco che tutti si sono rifugiati in collina. Senti, non giustifico la battuta di Amy perché è quello che è: un terribile errore. Tutto ciò premesso, si tratta di una frase che è stata usata come strumento per generare paura. Per portare il prossimo a non prendere le difese della Pascal, ma anche ad aver paura per sé stessi. Ognuno a Hollywood sa quello che ha scritto in una mail e è perfettamente consapevole, ora, delle ripercussioni di una eventuale diffusione delle medesime.

(…) Non farò nomi, ma Bryan l’ha spedita a tutti gli individui più potenti di Hollywood. E la risposta che otteneva era sempre “Non posso firmarla”.

George Clooney prosegue spiegando che questa spiacevole vicenda avrà pesantissime ripercussioni sull’industria del cinema e che pellicole dal sapore scomodo e troppo politiche avranno una vita produttiva sempre più dura e complicata.

Insomma, come affermato ieri dalla prima pagina del New York Post con un sagace gioco di parole, Kim Jong ha vinto.

New York Post