La scena si è svolta sostanzialmente così.

Approfittando di una pausa nelle interviste, decido di lasciare un momento la saletta dei Korda Studios deputata agli incontri con i talent di Sopravvissuto – The Martian, per rivolgere la mia attenzione al caffè e ai deliziosi pasticcini di pastafrolla dell’area ristoro a disposizione di giornalisti, maestranze e attori.

Dolcetti dall’ovvia natura magica, dato che non terminavano mai e i vassoi erano sempre pieni, nonostante i miei proverbiali e continui cali di zucchero.

A pancia nuovamente piena mi dirigo verso la meeting room e, subìto fuori di essa, vedo una figura già nota ai miei occhi, esile, ma molto alta e dinoccolata intenta a guardare un tablet.

Mi guarda, mi studia per qualche secondo e poi, in perfetto italiano con inflessione americana:

“Ciao amico italiano, come stai? Tutto bene? È passato un po’ di tempo!”

È Arthur Max, lo scenografo del film che avevo già intervistato sul set di Exodus – Dei e Re e con cui avevo scambiato qualche parola in italiano dopo che lui aveva appreso con entusiasmo la mia nazionalità. Saremo anche una nazione disastrata sotto svariati punti di vista, ma, evidentemente, riusciamo ancora a farci volere bene dagli stranieri più di quanto noi non ne vogliamo a noi stessi.

“Sì, grazie Arthur. Sai che anche se sono qua a Budapest per visitare questo set, ancora non ho visto Exodus che in Italia esce a gennaio? Pensa, non c’è ancora stata neanche la proiezione per la stampa”

“Davvero?”

“Davvero!”

“Queste robe di marketing io non le capirò mai. Comunque vedo che sta arrivando l’adorabile Jessica Chastain, meglio se vai dentro la saletta, tanto io passerò a trovarvi più tardi”

Ed eccoci arrivati al “più tardi” di cui sopra.


 

Salve a tutti, sono Arthur Max, bene, cosa vi posso dire…

Innanzitutto, cosa sono quelle luci lì [il collega indica il monitor dove vediamo il set e delle luci intermittenti]

Sono dei riferimenti usati per dare agli attori il senso della distanza. Per quanto grande, questo teatro di posa offre comunque la possibilità di esplorare un’area parziale del nostro Marte cinematografico. Che verrà creato anche con le riprese del deserto della Giordania che effettueremo una volta finiti i lavori qua ai Korda Studios. Sapete, se avete letto il libro poi ne sarete già a conoscenza, nel viaggi spaziali i vari materiali non vengono lasciati tutti a distanze enormi, ma di certo ben maggiori di quelle che possiamo riprodurre qua dentro.

In Giordania?

Giordania, sì.

E lì che andrete a girare poi?

Non lo so, l’ho già detto, non dovevo dirlo? [Arthur Max lancia un’occhiata alla publicist della Fox che sta già ridendo sotto i baffi]. Sì, situazione geopolitica permettendo andremo a girare gli esterni in Giordania.

Parlando delle scenografie, Exodus: Dei e Re sta per arrivare nei cinema e adesso eccoti qua su Marte. È strano passare improvvisamente da un progetto storico a uno spaziale?

Sai, alla fin fine è come viaggiare nel tempo. Passato, presente, futuro… Alla fin fine si tratta sempre di capire cosa fare, come fare e sopratutto fare bene con il particolare genere che stai trattando di volta in volta. Con Exodus il punto focale era “Come presentare il mondo antico alle platee di oggi?”… la monumentalità di quel mondo. Qua si parla di tecnologia, una tecnologia che conosciamo già parzialmente perché Sopravvissuto – The Martian è ambientato nel futuro, ma in un futuro prossimo, vicino a noi. Abbiamo lavorato a stretto contatto con la NASA, discusso del loro approccio, dei loro piani, delle missioni dei prossimi anni, proprio in riferimento a quelle su Marte, anche perché dovevamo ottenere la loro approvazione per impiegare il nome NASA nel film. Abbiamo parlato con ingegneri, abbiamo visitato i vari centri dell’agenzia spaziale, come il Johnson Space Center di Huston e ho, abbiamo avuto la facoltà d’interagire con tutti i responsabili della Missione Orion. Siamo anche stati alla JPL, che lavora in tandem con Huston perché questo di Pasadena è il distaccamento che si occupa di pianificare i viaggi privi di equipaggio umano, mentre a Huston si occupano degli aspetti umani del tutto. Ora che il programma Explorer è praticamente terminato, che per la maggior parte era in capo a Huston, JPL sta facendo il grosso dei lavori ora. Recentemente hanno costruito e lanciato una capsula, che è molto simile a quella che stiamo costruendo e che vi farò vedere dopo… Sono state consulenze preziose per dare forma al design a quello che vi mostrerò dopo nelle officine e negli uffici dell’art department perché fra il 2015 e il 2020 avverrà la prima spedizione su Marte priva di equipaggio. Con la nostra nave progettata per portare sei astronauti stiamo emulando esattamente quello che stanno progettando alla NASA con la Missione Orion. Dovranno anche scaricare su Marte dei materiali, mezzi robotici, che verranno poi impiegati nella missione e attualmente la roba più pesante scaricata da quelle parti è il Curiosity che arriva circa a una tonnellata. Avete visto nulla della Curiosity? È letteralmente incredibile. Comunque una missione su Marte viene concepita con questi lanci di materiali effettuati in una finestra antecedente quella dell’arrivo dell’equipaggio umano. Se tutto andrà a buon fine, da dopo il 2020 si passerà all’arrivo dell’uomo su Marte. E il nostro film parla esattamente di ciò. E di quello che potrebbe eventualmente accadere agli astronauti nel contesto marziano.

Come è cambiata negli anni la tua relazione con Ridley? Mi riferisco a come tu prepari quello che poi lui andrà a riprendere, sì, insomma, la vostra collaborazione.

Non molto in realtà, cominciamo sempre con questa tempesta di immagini e suggestioni che buttiamo su carta mentre ce ne stiamo a discutere in una stanza e poi cominciamo a ricoprire le pareti con tutti questi bozzetti… Poi si fanno un sacco di ricerche, si confrontano le idee differenti e cerchiamo di intraprendere la strada che lo stimola di Arthur Maxpiù visivamente, si scansano via i detriti e ci focalizziamo su quello che funziona. Cambiano le tecnologie che hai a disposizione per fare un film, l’approccio al filmmaking è molto meno mutevole. Lavoriamo insieme da 30 anni e vi assicuro che la nostra relazione non è cambiata affatto.

E qual è stata la sfida più grande finora per questo film?

La tecnologia, senza dubbio. Mi spiego: qua si parla della NASA, di persone che pianificano e lavorano per anni a una missione che avverrà, magari, dopo un lustro, hanno fondi enormi a disposizione delle migliori menti. Noi abbiamo avuto 12, 13 settimane per allestire il set, mezzi, astronavi, strumentazione, ricreare la tecnologia della NASA è la sfida maggiore, il plasmare tutto ciò nel tempo che avevamo a disposizione senza sforare il budget. Con delle maestranze che sono principalmente freelance perché il cinema funziona così. Con alcune persone ho già lavorato diverse volte, con altre no. E poi non sai mai quali e quante persone saranno disponibili perché l’industria è parecchio movimentata e le persone tendono a essere indaffarate, quindi non puoi prevedere chi sarà libero per poter il tuo film. In Europa, in Inghilterra nello specifico, erano già tutti prenotati ed è anche per questo che abbiamo optato per Budapest. Parte della scelta si è basata su questo. Gli stessi teatri di posa… Pinewood e Shepperton non erano disponibili. Sapete nel primo stanno girando una roba… Star Wars mi pare che si chiami [risate, ndr.] Poi penso che abbiano anche finito Alice in Wonderland Ancora una Volta [risate, ndr.], Tarzan di Nuovo… Ed è qua che entra in gioco l’altro fattore a favore dei Korda Studios: lo Stage 6 che è il più grande d’Europa. Per il genere di film che stiamo girando, come avete potuto constatare con i vostri stessi occhi, è più facile controllare quello che si va facendo all’interno di un soundstage che all’aria aperta. Non puoi dare ordini al sole, al vento, al clima. Qua possiamo controllare tutto e, in più, il teatro di posa è così grande… Più del Bond Stage di Pinewood che, come qualcuno di voi magari ricorderà, non ci è bastato per Prometheus tanto che abbiamo dovuto estenderlo. Questo è più alto di un terzo, cinque o sei metri più alto di Pinewood. E quei metri in più ci danno tutto quello che ci occorre per dare vita al cielo di Marte in CGI, al panorama fatto di monti, di crateri. Ieri notte abbiamo esaminato le prime riprese fatte e siamo estremamente soddisfatti del risultato, è tutto così imponente. Poi con queste riprese col grandangolo… È li che ho capito una cosa: ecco come hanno inscenato la farsa dell’allunaggio negli anni sessanta! [risate, ndr.] Cosa ridete! È tutta una truffa! [risate, ndr.] Comunque, il cielo di Marte verrà abbellito con questo paio di lune, Phobos e Deimos, che peraltro sono più asteroidi che Lune. Lavorare negli interni ci permette di essere più efficienti perché possiamo controllare il “clima”, gli stunt, gli effetti da aggiungere in post-produzione. Ed è per questo che vi abbiamo fatto viaggiare fino a qua!

Ma quindi che ruolo avrà il green screen?

Diciamo che in parte si basa anche su una questione di costi. Entrando sul set avrete notato questi giganteschi teloni bianchi e neri perché, a seconda di quello che dobbiamo gorare, impieghiamo o meno il green screen. Prima di girare la tempesta, che si svolge di notte, abbiamo lavorato a una scena diurna quindi lì ad esempio serve perché la scena deve estendersi per miglia e miglia. Qua stiamo lavorando a un passaggio con delle condizioni atmosferiche così sfavorevoli che nel momento in cui potrete gustare la versione finita e arricchita digitalmente non sarete in grado di vedere oltre il vostro naso. Oggi ci avete visto al lavoro su ciò e il green screen non serve. E torniamo alla decisione di girare parte del film al chiuso: all’aria aperta non avremmo mai ottenuto la densità ambientale di cui avevamo necessità. Sia che l’avessimo girata in un backlot che in una location.

È un film di Ridley Scott quindi mi aspetto un po’ di nebbia, per così dire. Quanto c’è di attinente alle vere condizioni marziane?

Guarda, chiaramente ho chiesto consulenze alla NASA per ogni aspetto del film, tempesta compresa. Mi hanno mostrato delle immagini spaventose, su Marte le tempeste possono arrivare a 300 chilometri di altezza. Masse di polvere e nubi gigantesche. E se ti addentri per appena un miglio trovi vento burrascoso, lampi, tuoni. Non vorrei dire ancora una volta che la nostra sarà una tempesta… epica, ma davvero, dopo un po’ finisci le iperboli a tua disposizione. Le tempeste marziane sono differenti dalle nostre perché c’è più polvere e perché la gravità è diversa. E si formano queste nuvole enormi che avvolgono ogni cosa. Ma nella maestosità della nostra messa in scena l’accuratezza sarà tutto fuorché assente perché ogni cosa è stata esaminata dalla NASA. E se vedete il loro logo un po’ ovunque nel film è perché siamo riusciti a ottenere la loro approvazione per via della precisione con cui abbiamo ricostruito Marte. Abbiamo superato i loro esami. Tutti all’agenzia spaziale hanno fornito un validissimo supporto per la realizzazione di Sopravvissuto – The Martian. Tutti i tecnici. James Green che è il project engineer della JPL, Rob Manning, il loro test engineer, Brad Drake della Orion Mission… Sono stati fondamentali per ogni cosa anche per le patate. Avete già visto la nostra piantagione di patate?

No.

Oh davvero? Non avete idea di quello che vi state perdendo! Sapete tutti delle patate?

No, io non lo so [Frosty di Collider.com ammette la sua ignoranza in materia]

Le patate sono ciò che permette a Mark di sopravvivere in questo lungo periodo di attesa in cui deve attendere, o per lo meno lui spera che sia così, la missione di salvataggio. Non penso di potervi raccontare l’intero script, ma…

No! Non si può! [interviene ridendo la publicist della 20Th Century Fox]

Comunque, Mark trova alcune patate e le patate sono coltivabili. Mi sa che l’abbiamo fatto tutti da piccoli… Mettere una patata nell’acqua e aspettare che germogliasse. Ecco, in Sopravvissuto – The Martian Mark capisce che, in un modo che non vi starò qua a svelare, può coltivarle. Quindi avevamo bisogno di parecchie patate a differenti stadi di crescita. Ve le farò vedere! Fidatevi, questa sì che una roba spettacolare, non dovete assolutamente perdervela! Tornando al discorso di prima, per il nostro film è fondamentale avere l’appoggio di tecnici, anche qua sul set c’è un addetto dell’ente spaziale europeo, un ex astronauta, che segue passo passo quello che facciamo. Perché è un film e dobbiamo conciliare la voglia, la necessità di concederci qualche piccola licenza insieme alla consapevolezza che non possiamo stravolgere le leggi dell’universo. La pressione, la gravità, l’atmosfera o la mancanza della medesima… Quello che lui architetta per sopravvivere in un ambite fortemente ostile come quello marziano. È complicato. Ma come si suol dire in questo film “Dio è nelle piccole cose!”, ci siamo davvero dannati l’anima per essere precisi in ogni più piccolo aspetto perché la scienza è davvero dappertutto. Questo è un film tutto basato sul lodare lo spirito umano, sul non lasciarsi andare di fronte alle avversità, sul fatto che quando la via davanti a te sembra buia e oscura, non devi perderti d’animo e magari aggirare la cosa facendo il giro più largo perché questo è ciò che ci distingue dagli animali della giungla.

Dal punto di vista creativo hai più limitazioni, coercizioni con un film dove questo in cui devi essere scientificamente rigoroso rispetto a Exodus: Dei e Re dove, malgrado l’ambientazione storica, hai comunque potuto prenderti delle libertà narrative, come mi hai detto tu stesso mentre chiacchieravamo sul set spagnolo?

No, non più di tanto. Avevamo una vera e propria Bibbia della NASA. La NASA ha la propria iconografia, il suo stile. La nostra prima conversazione con loro è stata con il responsabile della National Space Administration a Washington, una miniera inesauribile di informazioni. Lui è stata la prima di una serie di persone che ci ha detto “Vorremmo che ci deste qualche idea!” perché loro guardano i film per avere spunti… Sono ingegneri, hanno una concezione alquanto limitata del concetto di stile. Lavorano sulle formule, sui calcoli, la telemetria e lo fanno guidati dalla funzionalità di quello che devono progettare. Non basano il loro operato sull’estetica. Cito direttamente quello che le mie orecchie hanno udito “Noi guardiamo quello che fate voi a Hollywood affinché le robe che progettiamo siano più cool!”. Amano letteralmente Prometheus, per esempio. Ci hanno detto che alcuni delle loro stazioni di monitoraggio sono state progettate impiegando come punto di riferimento il ponte di controllo dell’astronave Prometheus! Un bel complimento direi. Diciamo che abbiamo cercato di aggiungere un po’ di stile alla funzionalità degli equipaggiamenti della NASA. Li abbiamo resi belli da vedere al cinema.

Hai detto che le luci intermittenti sul set sono usate anche per dare dei riferimenti agli attori, che altro hanno a disposizione?

Ognuno di loro ha una luce sul casco della tuta, che aiuta a vedere attraverso la polvere. Anche se stando con la testa in una sorta di palla per pesci ti becchi inevitabilmente dei riflessi. Ora non so se posso dirvi quello che sto per dirvi, ma forse già siete stati sul set e avrete visto… a ogni modo oggi lavoreremo alla parte più pericolosa della scena della tempesta in cui useremo un sacco di detriti e naturalmente per rendere più semplice la vita degli attori abbiamo pianificato tutto con estrema cura. Poi sul set ogni attore ha quattro persone pronte a prestare aiuto in qualsiasi momento, per rimuovere subito l’elmetto se c’è bisogno, c’è sempre del personale medico… Ma finora non c’è stato bisogno e si stanno divertendo. D’altronde, chi non vorrebbe andarsene in giro vestito con una tuta spaziale! Per lo meno io da piccolo avrei voluto. Quando ero piccolo ero fissato con la serie tv di Flash Gordon degli anni ’30… Era una replica, che credete! Non sono così vecchio! [Risate, ndr.] Era davvero la mia preferita e lo è stata per parecchio tempo, da bambino volevo diventare Flash Gordon, fino a che poi non ho scoperto il Lone Ranger. Chissà, magari un giorno lavorerò a un film western.

E Ridley chi vorrebbe essere?

Suppongo il Re dell’Universo!

Lavori con Ridley da un sacco di tempo, ti è mai successo di venire al lavoro e litigare con lui, pensare qualcosa tipo “Oh, diamine, basta, vai a quel paese!”, o di pensare “Santo cielo questo set è una follia” o “Come spera di ottenere quello che ci ha chiesto?”.

Credo sia accaduto il primo giorno sul set di Exodus: Dei e Re. Stavamo ancora costruendo il set, le macchine venivano posizionate sulle gru e dovevamo iniziare a girare, tutto sembrava andare al fotofinish. E questo è successo sia a Pinewood che ad Almeria. Siamo stati davvero al limite del non essere pronti in tempo. Ma anche qua è parecchio dura più che altro per la questione riguardante la tecnologia di cui vi ho già parlato. Da un certo punto di vista Prometheus è stato più semplice perché era fantascienza futuristica in senso stretto, una storia ambientata nello spazio dai toni più fantastici. C’erano più licenze creative, potevamo inventare più cose e adattare tanto te stesso quanto la tecnica impiegata. Qua dovevamo attenerci alla Bibbia della Nasa. Dovendo raccontare la storia di un uomo che tenta di sopravvivere su un altro pianeta avevamo bisogno di tutto il supporto necessario. Siete stati nell’HAB?

[Interviene la responsabile della major] La visita è in programma, ma non sappiamo ancora se possiamo accedere all’area.

Oh dovreste davvero! È splendido. È tutto completamente basato sulle facility e i progetti della NASA. I progetti che abbiamo visto erano basati su un habitat per un solo astronauta e noi abbiamo dovuto ampliare gli spazi per

Matt Damon e Jessica Chastain alla premiere del film a Toronto. (Fonte: Facebook Ufficiale di Sopravvissuto - The Martian)

Jessica Chastain e Matt Damon alla premiere del film a Toronto.
(Fonte: Facebook Ufficiale di Sopravvissuto – The Martian)

accogliere sei persone e abbiamo dovuto ricreare ogni cosa, l’ossigenatore, le strumentazioni, con un certo rigore. D’altronde lì dentro non avrebbero ossigeno se non lo creassero con l’apposito macchinario, hanno i pannelli a energia solare… E quando arriva la tempesta… Oh santo cielo, posso dirlo?

La responsabile della Fox annuisce.

Ecco, Mark ha bisogno di continuare a impiegare questi strumenti e poi, quando deve iniziare a spostarsi su Marte [guardando la responsabile aggiunge] è tutta roba che sta nel libro eh! Sono informazioni accessibili a tutti! Comunque, deve portarsi dietro parte di queste attrezzature e farle funzionare. Abbiamo a che fare con tre film diversi. C’è la parte alla NASA/JPL, ambientata logicamente sulla Terra in cui cercano di trovare un modo per salvarlo, abbiamo l’equipaggio della Hermes, che sono i cinque astronauti che abbandonano Marte in seguito alla tempesta in quanto sicuri del fatto che Mark non possa essere sopravvissuto. E poi abbiamo la parte che si focalizza su Mark e i suoi tentativi di far fronte alla situazione poco agevole in cui si trova, di non morire e di raggiungere un posto in cui è più facile il suo recupero. E per lui sarà tutta una questione di Ingegneria Inversa perché dovrà mettere “su ruote” queste macchine atte a consentire la vita. Spero davvero che possiate vedere quella parte di set perché è davvero il cuore della storia. Non avete idea della “guerra” in corso in materia di esplorazione spaziale e spesso sono compagnie private che devono fornire alla NASA progetti per capsule, habitat spaziali. Ci sono colossi che stanno puntando un sacco di soldi e risorse su questo business. Ma è un affare rischioso, ultimamente ci sono stati svariati fallimenti sia della NASA, che della Virgin. E la nostra storia parlerà proprio di rischi, di esplorazione, di sopravvivenza.

In Gravity il personaggio di Sandra Bullock sta a spasso nello spazio solo per qualche ora, Matt Damon presumo che trascorrerà su Marte ben più di una mezza giornata…

Circa un anno…

Ma la tuta comincia… sì, ecco… tipo a puzzare? Avrà tipo dei rush cutanei?

Sì e sì. Ve l’ho detto prima: Dio è nei dettagli.


 

 

BadTaste.it visita il set di Sopravvissuto – The Martian in esclusiva italiana.

Ecco tutti i nostri articoli:

Con un cast di eccezione composto da Matt Damon, Jessica Chastain, Jeff Daniels, Sean Bean, Kristen Wiig, Kate Mara e Sebastian Stan, la produzione della pellicola si è svolta, nell’arco di 4 mesi, tra Giordania (vallata del Uadi Rum) e Ungheria (Budapest, Korda Studios).

Damon interpreta un astronauta che viene misteriosamente abbandonato su Marte dal suo equipaggio. Dovrà cercare di sopravvivere per tutti e quattro gli anni necessari perché un nuovo equipaggio venga a recuperarlo, senza possibilità alcuna di comunicare con la Terra.

Simon Kinberg, Aditya Soodb e lo stesso Scott hanno prodotto la pellicola.

Questa la sinossi del film:

Durante una missione su Marte, l’astronauta Mark Watney ( Matt Damon ) viene considerato morto dopo una forte tempesta e per questo abbandonato dal suo equipaggio. Ma Watney è sopravvissuto e ora si ritrova solo sul pianeta ostile. Con scarse provviste, Watney deve attingere al suo ingegno, alla sua arguzia e al suo spirito di sopravvivenza per trovare un modo per segnalare alla Terra che è vivo.

A milioni di chilometri di distanza, la NASA e un team di scienziati internazionali lavorano instancabilmente per cercare di portare “il marziano” a casa, mentre i suoi compagni cercano di tracciare un’audace, se non impossibile, missione di salvataggio.

Il film è basato sul romanzo best seller “The Martian” di Andy Weir.

Il film uscirà il 1 ottobre.

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