Boardwalk Empire (quarta stagione): recensione
Tra pallottole e alcol, la serie prodotta da Martin Scorsese si conferma come uno dei migliori prodotti al momento in televisione
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L'affascinante contesto storico, quello degli anni '20, nel quale si svolgono le vicende di Boardwalk Empire ha sempre avuto un'importanza fondamentale nell'economia della serie. Prima di essere una serie d'epoca, lo show della HBO è soprattutto una serie "su" un'epoca: quella del Proibizionismo, dei gangster, delle lotte tra bande rivali. È il riflesso dell'ultimo capitolo di quella mitologia moderna che gli Stati Uniti hanno costruito a partire proprio dal cinema d'epoca (Scarface, Nemico Pubblico), quello che Scorsese adora e che ha omaggiato in più di un'occasione (Quei bravi ragazzi, Casinò). Nulla di sorprendente quindi nel fatto che la narrazione proceda, quest'anno come mai negli anni scorsi, attraverso una serie di percorsi paralleli, che a volte si sfiorano, che a volte non si incontrano mai. È un tipo di narrazione totale e corale nella quale il network si è sempre ritrovato (senza citare serie già terminate, basti pensare a Treme o Game of Thrones).
Il nucleo della vicenda ovviamente gravita sempre intorno al personaggio di Nucky Thompson (Steve Buscemi), al suo impero che dal traffico di alcolici si è esteso, dopo gli sconvolgimenti della scorsa stagione, anche all'Onyx Club gestito con il socio Chalky White, per finire con un'insolita e pericolosa alleanza che lo trascinerà fino alla gestione di un traffico di eroina. È solo il piccolo riassunto di una delle sottotrame di una vicenda troppo lunga per poter essere qui raccontata. Una vicenda che è una scommessa continua e che Boardwalk Empire vince episodio dopo episodio, alzando la posta e riuscendo al contempo a tenere benissimo le fila di ogni storia, di ogni personaggio, gestendo il minutaggio in maniera perfetta e, va detto, migliore di quanto fatto da Game of Thrones nell'ultimo anno.La serie vive di mutamenti continui, di amici sacrificati e di soci acquisiti, di tormenti che non sono mai urlati o sottolineati, ma lasciati alla comprensione dello spettatore, di personaggi che riescono ad essere al tempo stesso iconici, affascinanti eppure assolutamente umani. Scopriamo che la tensione storica emersa tra i gruppi di boss realmente esistiti come Al Capone, O'Banion, Johnny Torrio o Joe Masseria riprende, romanzando, eventi reali e li fonde con le storie inventate di personaggi altrettanto potenti come Van Alden (Michael Shannon) o Richard Harrow (Jack Huston) e che questa mitologia moderna così incredibile di per sé si presta bene alla fusione con situazioni mai accadute.
Un difetto (che in realtà non lo è) dello show è l'incapacità di arrivare ad uno status di serie cult, quell'attributo invece conquistato dai vari Game of Thrones, The Walking Dead, Homeland che permettono a queste serie di affacciarsi ad un pubblico più vasto. Peccato, perché Boardwalk Empire è probabilmente, dopo Mad Men, la miglior serie in onda al momento, un capolavoro di tecnica, interpretazioni, scrittura, ricostruzione. Coinvolgente ed emozionante, curatissimo in ogni suo aspetto. Orfani di Breaking Bad, dirigetevi da queste parti e non ve ne pentirete.