Visti i bagni di folla delle varie fiere videoludiche, il seguito sui social e l’ammirazione degli addetti ai lavori, pare quasi impossibile pensare che c’è stato un tempo, più buio di un sotterraneo di Pitfall, in cui essere un game designer non era tutto rose e fiori.

Anzi.

Poteva benissimo capitare di lavorare per una compagnia sulla cresta dell’onda come l’Atari.

Un colosso che macinava un quantitativo imbarazzante di milioni di dollari senza riconoscere nulla ai propri creativi di punta. E per nulla non intendiamo tanto royalties su cartucce che, nella seconda metà degli anni ’70 e nei primi anni ’80, venivano vendute a 25-30 dollari l’una. Non siamo così esagerati. Parliamo di semplicissimi crediti, attribuzioni di merito. Avete presente, no? Quella lunga sfilza di nomi che – come nei film – compare nel momento in cui riuscite a portare a termine il videogioco in cui vi siete cimentati (o cimentate), la testimonianza di chi ha fatto cosa ...