Kevin Feige, l’architetto dei Marvel Studios, la mentre dietro le menti dell’Universo Cinematografico della Marvel, ha partecipato all’Awards Chatter Podcast dell’Hollywood Reporter, una lunga chiacchierata di circa 45 minuti in cui ha toccato un enorme quantitativo di argomento collegati all’UCM. Dalla nascita del progetto, con tutti i rischi di morte prematura dovuti alla recessione economica della seconda metà del primo decennio del duemila, fino ad arrivare alla risposta alle recenti critiche di Martin Scorsese ai cinecomic della Casa delle Idee.

Per maggior praticità, riportiamo a seguire, per punti, le questioni più interessanti affrontare dall’executive.

L’assenza iniziale di Spider-Man e degli X-Men ha garantito il successo sul lungo termine

All’inizio del viaggio noto come UCM, i Marvel Studios non potevano utilizzare quelli che, a conti fatti, erano le principali icone fumettistiche dell’azienda, ovvero Spider-Man e gli X-Men, personaggi noti anche a chi non masticava pane e fumetti a colazione.

Quando stavamo studiando le varie maniere per distinguerci da quanto fatto in precedenza, pensavamo principalmente a produrre e terminare Iron Man rendendolo un’esperienza il più possibile unica. C’erano stati svariati film tratti dai personaggi Marvel fino a quel giorno e volevamo distinguerci in maniera chiara. E uno dei modi per farlo era proprio quello rappresentato dal fare un film che non fosse basato su uno dei personaggi principali. Il criterio per stabilire se un personaggio fosse da intendere come “principale” si basava sulla risposta alla domanda “Negli anni appena trascorsi, è stato protagonista di uno show tv, di un film o di una serie animata?”. I personaggi che rientravano nella categoria erano già stati dati via su licenza. Ma avevamo tutto il resto.  E avere tutto il resto significava poterli fondere insieme e costruire un universo cinematografico nella stessa maniera dei fumetti. Non si è trattato di chissà quale epifania, ma della “semplice” replica sul grande schermo di un’esperienza ben nota ai fan dei fumetti. Che si basa proprio sul piacere di veder sbucare fuori un personaggio di un albo in quello di qualcun altro. Credevamo davvero nel personaggio di Tony Stark. Eravamo sicuri di essere in grado di confezionare una versione di quell’eroe inedita per le persone: l’arco di redenzione che ha attraverso nel film, la nozione che non si tratta di superpoteri, ma del fatto che lui è come un veicolo che a volte funziona altre no. E che il suo vero superpotere è il suo intelletto, un punto che ci sembrava molto interessante.

 

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La recessione del duemila poteva uccidere sul nascere l’UCM

Se volete rivivere la storia delle origni del Marvel Cinematic Universe v’invitiamo a leggere questo approfondimento della nostra sezione Comics in cui viene spiegato nel dettaglio anche l’aspetto economico della cosa, di come (prima dell’acquisizione della Disney) i Marvel Studios abbiano dovuto ragionare come una qualsiasi start-up trovando un investitore che fornisse la liquidità necessaria all’avviamento del progetto.

Secondo Kevin Feige se la richiesta di cash alle banche con un investimento a rischio zero (in caso di flop a rimetterci sarebbero state le stesse banche) fosse avvenuta qualche anno dopo, quando la Grande Recessione sarebbe effettivamente cominciata, i Marvel Studios non avrebbero mai e poi mai ottenuto il denaro necessario ad inaugurare il viaggio. Fattore, questo, che ci porta direttamente al prossimo punto.

L’acquisto della Marvel da parte della Disney è stato una manna dal cielo

Era la fine di agosto del 2009 quando la Disney comprava la Marvel con una transazione azionaria e monetaria da 4 miliardi di dollari. Un’acquisizione che Kevin Feige definisce come:

La miglior cosa che potesse capitarci. Hai tirato fuori l’ipotesi del “Cosa sarebbe accaduto se Dave Maisel non avesse ottenuto quel finanziamento prima della crisi?” e probabilmente non ce l’avremmo fatta. E se la Disney non ci avesse acquistati non avreste visto i film che abbiamo fatto da quel giorno. È garantito. Non sarebbe stato possibile. È stato meraviglioso avere una Casa Madre che è concentrata al 100% su quello che facciamo e bada bene che prima avevamo un grande studio come partner (la Paramount, ndr.). Avevano un ottimo team marketing ma, a un certo punto, se devi vedere cosa ti conviene fra una cosa dove, a prescindere da quanto ti piaccia e quanto sia valido il prodotto, hai “solo” una percentuale e una cosa che è tua al 100%… Ma è stato comunque bello collaborare con loro, erano persone davvero intelligenti e sono convinto che abbiano davvero fatto il loro meglio con noi. Infatti i film hanno funzionato e ci hanno portato dove siamo oggi, ma, appunto, ora è diverso perché abbiamo una casa. E quando la tua casa si chiama Walt Disney Studios, anche prima di questi ultimi otto anni di tremendo successo, è davvero speciale avere una persona come Bob Iger che ha speso un sacco di soldi per investire nel nostro successo. È una differenza non di poco conto perché senti di essere in ottime mani.

Kevin Feige smetterà mai di dedicarsi ai supereroi?

Certo, è uno scenario che mi è capitato d’immaginare. Lo immagino dal giorno stesso in cui ho cominciato questo viaggio. E ogni tot anni mi domando se voglio restare o se voglio andarmene. La verità resta sempre quella, ovvero me ne andrò quando mi sarà annoiato. Ora come ora stiamo facendo talmente tante cose, in modi così variegati e con tantissimo supporto. Essere parte di Disney+… Sono appena tornato dal set di WandaVision che è qualcosa di completamente differente da qualsiasi cosa i Marvel Studios abbiano mai fatto.

La saga di X-Men ha contribuito al lancio dell’UCM

Prima di diventare il boss dei Marvel Studios, Kevin Feige ha avuto modo di collaborare come produttore associato o esecutivo, ai vari film basati sulle IP Marvel prodotti dalla Fox e dalla Sony.

E, secondo Feige, è stata proprio la saga di X-Men a “lastricare la strada” del successo dell’UCM.

Il produttore Avi Arad credeva davvero moltissimo in questi personaggi, nel loro potenziale cinematografico […] C’erano alcuni personaggi Marvel che erano già stati portati sul grande schermo e non avevano brillato molto. Film che non avevano ucciso il personaggio, ma che erano comunque scadenti. Oggi come oggi puoi osservarli e dire che “erano figli di quegli anni” e potrei anche discutere di svariati aspetti divertenti che avevano, ma non si trattava di lungometraggi capaci di lasciare un segno. Avi però era convinto che il nostro scopo fosse proprio quello di lasciare un segno e X-Men è stato il primo film che gli ha permesso di osare di più. Si spostò a Los Angeles full time perché, fino a quel punto, veniva solo qualche giorno alla settimana visto che stava a New York. Ebbi modo di conoscerlo proprio durante la produzione di X-Men 1. Ero diventato la persona da contattare sul set durante la produzione, quella che stava sempre nel loop delle informazioni e che doveva essere contattata per questa ragione. Ed ero felice di tenerlo in questo loop di aggiornamenti sullo stato dei lavori. A quel tempo non si usavano espressioni come “Universo Cinematografico” e robe del genere. E in un certo qual modo c’era una certa semplicità: sapevamo che film dovevamo fare per il budget che avevamo a disposizione che era alquanto basso e non solo in termini di dollari attuali, lo era anche per quei giorni. Motivo per cui c’erano molte cose che non potevamo fare. E, retrospettivamente, è stato grandioso perché le ristrettezze economiche ci hanno obbligato a focalizzarci sui personaggi, sulle loro emozioni, sul loro pathos e sui loro tormenti interiori, caratteristiche che rendono grandiosi gli X-Men, una saga tutta basata sulle analogie sul diverso, su chi si sente diverso o è obbligato a sentirsi così, problematiche con cui tutte le persone possono mettersi in relazione. È di questo che parla X-Men ed è per questo che ha avuto successo. E ricordo di quando avevamo delle discussioni – come abbiamo sempre avuto e abbiamo tutt’ora – al motto di “Non sarebbe fico se, un giorno, avessimo la possibilità di fare un film su X, Y o Z?”.

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Sulla separazione dalla Marvel Entertainment di Ike Perlmutter

A settembre del 2015 i Marvel Studios “divorziarono” dalla Marvel Entertainment diventando direttamente controllati dal Walt Disney Studios. Di fatto fu la fine delle ben note “battaglie intestine” fra la divisione cinematografica della Casa delle Idee e la divisione editoriale, battaglie che portarono alla realizzazione di svariati film mediocri, alla ben nota “lotteria dei registi” e alle resistenze sul portare al cinema determinati personaggi (si veda il caso di Black Panther) poi diventati di enorme impatto commerciale e sociale.

Feige spiega:

Sì, le posizioni di Ike hanno contribuito alla cosa. Ovviamente ci sono sfaccettature della storia. Se vuoi puoi leggere il libro di Bob Iger, The Ride of a Lifetime: Lessons Learned from 15 Years as CEO of the Walt Disney Company per saperne di più (ve ne abbiamo parlato in questo articolo). Avevamo già fatto una decina di film a livello di gestione manageriale e c’era un’altra maniera per farli. Un altro momento chiave è stato quando Iger ha assunto Alan Horn come capo dei Walt Disney Studios. Alan è un leader e un mentore incredibile. È salito a bordo subito prima – o subito dopo – l’uscita del primo Avengers ed è stato sempre di notevole supporto a quello che stavamo facendo, è stato una vera e propria guida per noi. Legge ogni bozza di sceneggiatura e esamina ogni montaggio. E non ha, come noi, una grande dimestichezza con la mitologia della Marvel, un elemento di fondamentale importanza per noi perché così sia lui che Alan Bergman sono le nostre “cavie” per capire come non allontanarci troppo dal pubblico.

Il successo di Avengers: Endgame è ancora difficile da elaborare

Avengers: Endgame è diventato il maggior incasso cinematografico di sempre (dato non aggiornato all’inflazione, ndr.) e viene spinto dalla Disney in svariate categorie degli Oscar, da quelle principali a quelle tecniche.

Rispettare le aspettative e, in molti casi, superarle? È qualcosa che sto ancora elaborando, a essere onesti. Per cinque anni, il nostro obbiettivo principale era rispettare la promessa di un finale che non fosse atteso, o meglio, previsto dal pubblico. E osservare come il pubblico di tutto il mondo abbia risposto alle vicende di questi personaggi con cui abbiamo vissuto per più di dieci anni, è stata un’esperienza emotiva impagabile.

La risposta alle critiche di Martin Scorsese

Chiudiamo la rassegna con la risposta di Kevin Feige alle ben note critiche di Martin Scorsese sui cinecomic Marvel che “non sono cinema, sono parchi a tema che non si prendono dei rischi”.

Penso non sia vero. Credo sia un’uscita infelice. Io stesso e tutte le persone che lavorano a questi film… noi tutti amiamo il cinema, amiamo i film e amiamo andare al cinema per vivere un’esperienza collettiva in una sala piena di gente. E per noi è uno spasso poter sfruttare il nostro successo per assumerci dei rischi e avventurarci in luoghi nuovi. Ogni persona ha una sua definizione di cinema. Ogni persona ha una sua idea su cosa sia arte. Ognuno ha una sua definizione di rischio. Alcune persone pensano che non siano cinema e tutti hanno diritto ad avere un’opinione così come tutti hanno diritto di ripeterla. Di scriverci degli editoriali. Io stesso guardo in avanti per vedere cosa accadrà in futuro. Ma, nel mentre, continueremo a fare film.

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti!

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