Prima che i parchi a tema della casa di Topolino riaprissero i battenti, a capacità ridotta e attuando le varie disposizioni anti-contagio, vi avevamo parlato delle preoccupazioni per il Coronavirus espresse dai cast member di Disneyland, il parco ad Anaheim, in California.

io9 aveva pubblicato un’interessante inchiesta, condotta sia tramite delle interviste ai rappresentati delle varie unioni sindacali che rappresentano gli impiegati di Disneyland che per mezzo delle dichiarazioni di alcuni cast member che, chiaramente, avevano parlato in veste anonima esprimendo scetticismo per la riapertura in mezzo alla pandemia del nuovo Coronavirus. Trovate tutto in questo nuovo articolo.

A quasi due mesi dalla riapertura sembra che le cose, in California, non stiano andando come nella “bolla” allestita al parco Disney di Orlando, un sistema di protezione che ha permesso anche la ripartenza del campionato NBA.

Il Daily Beast ha difatti pubblicato una nuova inchiesta che getta più di un’ombra sulla maniera con cui la Disney starebbe, o meglio, non starebbe seguendo la strategia delle Tre T (tampone, tracciamento e trattamento) necessarie a circoscrivere la circolazione del nuovo Coronavirus quando si riscontrano delle positività.

Nonostante i theme park di Orlando e di Anaheim abbiano aperto a pochi giorni di distanza hanno difatti lavorato impiegando risorse differenti. Il primo effettua dei test “in sede”, mentre il secondo no perché, stando a quanto da Bill Pace, direttore delle relazioni con i sindacati, sarebbero stati “non praticabili” e troppo inclini a “falsi negativi”. Le stesse misure dei contenimento dei visitatori sarebbero state implementate in maniera più blanda, tanto da favorire assembramenti di persone sottoposte al solo controllo della temperatura, anche se le note dolenti arrivano, appunto, dal contact tracing dei positivi.

Quattro differenti fonti informate sulla situazione, hanno rivelato alla testata citata che la Disney non avrebbe rivelato l’esatto numeri di casi di positività al nuovo Coronavirus, comunicando alle varie Unioni sindacali solo i casi di positività dei loro tesserati – comunicazioni che sarebbero avvenute in ritardo aumentando quindi i rischi di esposizione al virus – lasciando ai lavoratori il compito “d’indovinare” perché dei colleghi sparivano per giorni e giorni o perché 11 membri dei 12 che compongono il team preposto all’irrigazione orticulturale non si sono presentati al lavoro per una settimana.

Sulla questione “Coronavirus e trasparenza” Matt Bell, portavoce della UFCW Local 324, una delle svariate unioni dei cast member di Disneyland, spiega:

Vogliamo sapere se qualsiasi cast member sia risultato positivo, ma la Disney ha deciso per una politica di trasparenza relativa alle singole unioni: comunicano solo se uno dei nostri cast member è positivo. Quello che dovrebbe accaddere, o per lo meno si suppone dovrebbe essere attivato, è il tracciamento dei contatti: capire chi si è ritrovato in una posizione documentata di esposizione al virus e sottoporlo a quarantena. Ma non posso confermare che sia quello che è stato concretamente fatto.

La moglie di un dipendente (che ha scelto di restare anonima visto che il contratto di suo marito gli impedisce di parlare con la stampa) descrive la seguente situazione:

Fondamentalmente tutte le nostre informazioni relative al COVID arrivano grazie al passaparola. I colleghi si mandando dei messaggi, i colleghi si parlano e altre robe che magari mio marito può avere visto al lavoro. Dal management non trapela nulla perché non sta ufficialmente riconoscendo che tutto ciò stia effettivamente succedendo.

La donna, già prima della riapertura, non era particolarmente fiduciosa sulla possibilità di un riavvio in sicurezza senza l’effettivo impiego di quegli accorgimenti – test in loco, controllo elettronico della temperatura corporea, ispezione delle borse e protocolli di contact tracing – che, non solo a Disneyland, sono ormai diventati il pane quotidiano nella battaglia contro il Coronavirus. Specie perché fra la fine di giugno e l’inizio di luglio, i casi di Coronavirus nella Orange County stavano subendo una drastica impennata. L’8 luglio, 10 giorni dopo il ritorno al lavoro dei cast member e un giorno prima dell’apertura del Downton district, la donna aveva scritto dei messaggi sia all’amministrazione della città di Anaheim che al governatore della California Gavin Newsom evidenziando i fattori di rischio per conto di svariati cast member: “Inconsapevolmente i cast member stavano lavorando insieme a un dipendente che era stato esposto al COVID-19. Anche se l’Unione sindacale lo aveva esortato a non tornare, ha comunque lavorato per tutto il turno mettendo a rischio i suoi colleghi”.

Il Daily Beast ha anche pubblicato una serie di schermate di alcuni preoccupati (e preoccupanti) messaggi che alcuni dipendenti del parco Disney si sarebbero scambiati.

Potete vederli tutti cliccando la foto qua sotto:

disneyland covid

 

I problemi principali emersi dagli scambi di SMS sono, da una parte, incentrati sulla mancanza di chiarezza da parte della Disney circa il numero effettivo di lavoratori positivi, dall’altra sul fatto che alcuni cast member risultati positivi, sono stati richiamati al lavoro prima del termine dei 14 giorni di isolamento domiciliare e senza essere stati sottoposti a ulteriore controllo.

E i numeri sul contagio continuano a restare poco chiari anche per i dirigenti sindacali: nessuna delle undici unioni contattate dal Daily Beast è stata in grado di fornire dei numeri precisi circa il numero di contagiati nella forza lavoro.

Vi invitiamo a prendere visione di quanto indicato sul sito del Ministero della Salute in merito al nuovo Coronavirus.

Trovate tutte le notizie legate all’emergenza nuovo Coronavirus in questo archivio.

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