Bob Iger è quel tipo di persona che entra in un’azienda e se ne va lasciandola con una capitalizzazione di mercato accresciuta del 400%. Riassumere così la sua lunga carriera a capo della Disney sarebbe addirittura sminuente rispetto alla grande influenza che ha avuto sotto il profilo creativo. Come ha scritto nella lettera ai dipendenti al momento del termine del suo servizio (non chiamiamolo pensionamento), quello che conta per lui -e per i risultati economici- è di tenere sempre vivo il fuoco creativo, l’innovazione che aiuta a passare indenni anche nei periodi più difficili.

La pandemia alla Disney di danni ne ha fatti, e non certo di indifferenti. Con il lockdown sono crollati gli affari dei parchi a tema e delle crociere. L’azienda ha mandato in congedo non retribuito circa settantamila dipendenti. Come nota positiva, nel settore cinematografico martoriato da incassi, per forza di cose, molto limitati è stato il lancio della piattaforma Disney+. In queste condizioni Bob Iger ha traghettato l’azienda in un delicato passaggio di consegne verso il nuovo CEO Bob Chapek.

Come è arrivato fino a qui?

Sono tanti i successi ottenuti nel corso di 15 anni di presidenza, ma all’epoca non fu semplice convincere il board ad eleggerlo. Persino Jeffrey Katzenberg (allora capo dei Disney Studios) gli disse di rinunciare alla lotta per diventare il successore di Michael Eisner. La sua reputazione non era in linea con le aspettative, ma la sua determinazione e gli anni di esperienza maturati gli vennero in aiuto. Iger infatti naviga nel complesso mondo dei media sin dall’età di 23 anni quando lavora per la ABC conoscendo il capo, e oggi suo mentore, Tom Murphy.

Quello che fece alla Disney fu molto di più che portarla fuori da una lunga e inesorabile crisi. Rilanciò la capacità innovativa dell’azienda, riallineandola con lo spirito avanguardista del suo fondatore. Lo fece da un lato riorganizzando l’azienda e affidandole le redini ai creativi, e soprattutto operò una serie di acquisizioni titaniche. Pixar, Marvel, Lucasfilm e 21st Century Fox rinnovarono il catalogo di proprietà a disposizione (essenziale in un mondo che sempre di più si contende le library) e hanno dato nuova linfa alla filiera dell’intrattenimento costruita dalla Casa di Topolino.

Propenso alle novità, Bob Iger stimolò a trovare nuove soluzioni e nuove tecnologie per espandere i contenuti creativi. L’attuale Disney+ è infatti un approdo coerente con l’azienda che nel 2005 fu la prima a mettere i suoi contenuti su iTunes. Fu lui tra i primi a ventilare l’opzione di una progressiva diminuzione delle finestre di sfruttamento dando l’esclusiva alla fruizione domestica per un certo tipo di film (mentre per altri la sala resta essenziale). Ovviamente attirò a sé grandi polemiche in anni in cui internet e le piattaforme over the top non avevano ancora preso piede. Oggi il suo pensiero appare quasi profetico, come lo è stata l’intuizione di aprire la Disney al mercato cinese e consolidando quello internazionale. Fu lui a volere fortemente l’inaugurazione del Disneyland Resort di Hong Kong nel 2005 e dieci anni dopo quello di Shanghai.

A 71 anni dice di non avere (più) ambizioni politiche, nonostante molti lo vedano bene in quelle vesti, ma di voler offrire la propria esperienza come consulente o sostenitore economico alle innovative società emergenti. 

Intervistato da Variety Bob Iger ha spiegato quello che per lui è la gestione di un colosso come la Disney. Un peso sulle spalle da portare che non gli ha mai permesso di godersi un momento di relax o di distanza dal suo lavoro ma che, a suo dire, può essere gestito con relativa facilità:

Non è difficile se si applicano alcuni principi chiave. Prima di tutto devi rispettare molto i creativi e il loro processo e non essere invasivo. In altre parole: non fare danno. Devi essere presente come un capo della tifoseria per incoraggiarli, spingere e richiedere l’eccellenza e l’innovazione. Il fondamento di una leadership creativa di successo è la fiducia. Fidarsi delle persone per fare la cosa giusta alla fine. 

Rispetto alla sopravvivenza delle imprese media rispetto alle possibili acquisizioni di grandi imprese tech come Apple o Google la sua posizione riconosce una grandissima competizione. Sostiene infatti che in un mondo in così rapido cambiamento non ci sia spazio per errori o momenti di pausa. È qui che c’è il maggiore rischio per queste realtà: smettere di innovare, adagiarsi sugli allori, significa rischiare di uscire dal mercato come è successo con Xerox o con la Kodak. Riconosce che tra le società che esistevano nel 1923 ad oggi solo la Coca-Cola e la Disney sono ancora considerati tra i principali brand globali.

Quando gli viene chiesto di cosa sia più orgoglioso non ha dubbi, ma ha un lungo elenco di fatti:

Posso citare una serie di esempi. Black Panther probabilmente sarebbe vicino alla cima della lista. Tagliare il nastro del parco a tema a Shanghai e offrire così la quintessenza dell’esperienza Disney nella città e nel paese più popoloso del mondo. Firmare il contratto in questo ufficio con George Lucas per acquisire la Lucasfilm. Stare in piedi vicino a Steve Jobs alla Pixar, ricevere la lampada Luxo jr e dire a un centinaio di persone che l’avrei usata per illuminare il castello (simbolo della Disney NdR). Un momento incredibile è stato l’acquisizione della Marvel, ovviamente, è qui in cima, e guadagnare l’accesso non solo all’enorme tesoro di personaggi ma a così tante persone di talento che conoscono bene il brand Marvel e il suo potenziale narrativo. 

Fonte: Variety

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