La Disney è nell’occhio del ciclone da alcuni giorni a causa di una controversa legge denominata “Don’t Say Gay or Trans” che si appresta ad essere varata in Florida: la multinazionale, e in particolare il suo CEO Bob Chapek, vengono accusati di non essersi attivati abbastanza pubblicamente nelle ultime settimane per opporsi a tale legge.

Che cos’è la legge Don’t Say Gay or Trans

La House Bill 1557, detta anche Dont’ Say Gay or Trans Bill, è promossa dal partito Repubblicano (a cui appartiene il governatore Ron DeSantis) e riguarda tematiche o persone appartenenti alla comunità LGBTQ+. Due settimane fa la camera della Florida ha approvato la legge con 69 voti a favore e 47 contrari, e martedì il senato l’ha approvata con 22 voti a favore e 17 contrari. DeSantis dovrebbe firmarla a breve.

Nel dettaglio, la legge vieta alle scuole pubbliche fino al terzo anno di elementari insegnamenti o contenuti che facciano riferimento all’orientamento sessuale o l’identità di genere, o più in generale che ne parlino “in una maniera che non sia adeguata all’età o allo sviluppo degli studenti” (i critici ritengono che questa terminologia possa estendere la validità anche agli anni scolastici successivi). Tra le conseguenze della legge, per esempio, il fatto che non potranno più essere citate famiglie omosessuali in problemi di matematica (“Sally ha due madri o Johnny ha due padri”), come sottolineato da uno dei suoi promotori, il senatore Dennis Baxley. Grazie a questa legge, i genitori potranno fare causa alle scuole in caso ritengano che i loro figli stiano ricevendo un’educazione che cita l’orientamento sessuale o l’identità di genere. I critici ritengono che tale legge possa andare contro il Primo Emendamento e ledere la libertà di parola degli insegnanti, o anche solo creare problemi ai bambini appartenenti a famiglie LGBTQ+.

La proposta ha causato un acceso dibattito che si è esteso a livello nazionale, provocando anche manifestazioni studentesche, nel frattempo almeno altri 20 stati stanno prendendo in considerazione legislazioni simili.

Di che cosa è stata accusata la Disney

Negli Stati Uniti uno dei modi più utilizzati per fare leva sui legislatori, anche e soprattutto quando si parla di diritti civili, è il coinvolgimento delle multinazionali e della loro capacità di fare lobby. Alcuni esempi recenti riguardano lo stato della Georgia: nel 2021 per una legge sulle restrizioni nel diritto di voto ai cittadini afroamericani, nel 2019 per una legge sull’aborto contro la quale si scagliò anche la Disney assieme a tutta Hollywood e non solo.

Come noto, la Disney ha un ruolo fondamentale nell’economia della Florida grazie ai suoi parchi di divertimento. Impiega ben 80 mila persone nello stato, e sta progressivamente spostando la maggior parte delle proprie attività della divisione Parks, Experiences and Products dalla California del Sud a un nuovo campus nel centro della Florida. Molti si aspettavano quindi una presa di posizione netta contro la legge, eppure l’unico a sbilanciarsi sui social nelle ultime settimane è stato l’ex CEO Bob Iger, che ha lasciato definitivamente la Disney a dicembre:

Sono con il Presidente! Se questa legge dovesse passare, metterebbe le persone giovani e vulnerabili appartenenti alla comunità LGBTQ in pericolo.

Silenzio assoluto invece dall’attuale dirigenza. Secondo l’Hollywood Reporter, Bob Chapek (che al contrario di Iger non si è mai sbilanciato sul proprio posizionamento politico) intende imprimere un approccio più imparziale all’azienda a meno che non abbiano un’impatto sull’azienda stessa e i suoi affari. Impatto che, a livello di immagine, negli ultimi giorni ha iniziato a esserci. Qualche giorno fa la nipote di Walt Disney e figlia di Roy Disney Abigail Disney – spesso molto critica nei confronti della compagnia – si è espressa molto chiaramente Twitter, affermando che “quando vengono promosse leggi così odiose e cariche di pregiudizio non c’è neutralità. Non dire nulla significa dire moltissimo”. Ha anche criticato la Disney per le numerose donazioni al partito repubblicano (il 25 febbraio Orlando Sentinel ha infatti rivelato che l’azienda ha finanziato politicamente ogni singolo promotore della legge):

Non potrei essere più scontenta delle loro attività politiche, sia in termini di chi finanziano che di come svolgono le attività di lobby. Vorrei ci fosse una legge che impone a tutte le aziende di rivelare tutti i finanziamenti e le loro mosse lobbistiche.

Alla fine della settimana scorsa, la Disney ha risposto alle proteste con un comunicato su Good Morning America:

L’impatto più importante che possiamo avere nel creare un mondo più inclusivo è attraverso la produzione di contenuti che siano d’ispirazione, la creazione di una cultura aziendale di accoglienza e le numerose organizzazioni che sosteniamo, incluse quelle che rappresentano la comunità LGBTQ+.

Lunedì, appena prima che la legge venisse votata dal senato della Florida, il CEO Bob Chapek (che per anni ha guidato la divisione parchi) ha mandato un memo ai propri dipendenti spiegando la posizione dell’azienda:

Come abbiamo visto varie volte in passato, le dichiarazioni corporate pubbliche fanno molto poco per cambiare le cose o le idee. Invece, spesso vengono strumentalizzate da una parte o dall’altra per dividere e infiammare il dibattito. Semplicemente: possono essere controproducenti e minare azioni più efficaci che possano provocare un reale cambiamento. Ne parleremo meglio nel summit Reimagine Tomorrow ad aprile.

[…] Non voglio che qualcuno fraintenda l’assenza di una dichiarazione come una assenza di sostegno. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo: un mondo più tollerante e rispettoso. Potremmo però avere tattiche diverse su come raggiungerlo.

Le “dichiarazioni corporate” vere e proprie dell’azienda sarebbero prodotti come Encanto, Black Panther, Pose, Reservation Dogs, Coco, Soul, Modern Family, Shang-Chi, Summer of Soul, Love Victor. “Sono storie più potenti di qualsiasi dichiarazione o tweet o attività di lobby”, ha spiegato il CEO. Infine, si è anche impegnato a rivedere le donazioni politiche dell’azienda, aggiungendo:

Abbiamo scelto di non prendere una posizione pubblica su questa legge perché pensavamo che sarebbe stato più efficace lavorare dietro le quinte, comunicando direttamente con i legislatori di entrambe le posizioni politiche. […] Non abbiamo donato soldi a politici riguardo a questa vicenda, ma abbiamo contribuito alle campagne di politici repubblicani e democratici che poi hanno preso posizioni su questa vicenda.

La reazione di alcuni impiegati Pixar

Deadline ieri ha riportato una lettera interna firmata da un gruppo di impiegati Pixar appartenenti alla comunità LGBTQ+ o alleati, che si scaglia contro il memo inviato lunedì:

Il memo di lunedì iniziava con la dichiarazione che la Disney ha una lunga storia di sostegno nei confronti della comunità, ma i Parchi Disney non hanno mai ospitato ufficialmente un Pride prima del 2019, ed è avvenuto solo a Parigi. La Disney ha uno storico di soppressione di Pride creati dai fan nei parchi, e negli anni ottanta impediva alle coppie dello stesso sesso di ballare. […] È difficile far parte di un’azienda che monetizza merchandise del Pride ma che poi fa un passo indietro nei momenti di bisogno, quando i nostri diritti sono minacciati.

Nella lettera si sottolinea poi come la Disney abbia preso pubblicamente posizione sulla situazione in Ucraina anche con azioni economiche (sospendendo le uscite cinematografiche), e aggiunge che soltanto nel 2021 il 42% dei giovani appartenenti alla comunità LGBTQ+ ha preso seriamente in considerazione il suicidio.

La presa di posizione della Disney contro la legge

Le proteste non si sono però fermate, e così mercoledì, in occasione dell’incontro trimestrale della Disney con gli investitori, e quando la legge era già passata nel senato, l’azienda ha preso posizione contro di essa per la prima volta. Chapek ha parlato a favore delle comunità LGBTQ+ in Florida e in tutto il paese, spiegando che Disney ha firmato assieme ad altre 150 aziende una dichiarazione commerciale nazionale contro le leggi statali anti-LGBTQ+ promossa da The Human Rights Campaign e Freedom for All American.

Chapek ha spiegato di aver pianificato un incontro con il governatore Ron DeSantis:

Il governatore ha ascoltato le nostre preoccupazioni e ha accettato di incontrare me e i dirigenti del nostro team in Florida appartenenti alla comunità LGBTQ+ per discuterne. Intende assicurarsi che nessuno strumentalizzi questa legge per prendere i mira bambini e famiglie LGBTQ+.

Il rifiuto delle donazioni da parte di HRC

The Human Rights Campaign (la più grande associazione nazionale a difesa dei diritti civili LGBTQ+) ha deciso però di rifiutare la donazione, chiedendo che l’azienda prenda una “posizione significativa”:

Non accetteremo denaro dalla Disney finché non li vedremo lavorare sul loro impegno pubblico e lavorare con attivisti LGBTQ+ per assicurarsi che proposte come la legge “Don’t Say Gay or Trans” in Florida non diventino leggi a tutti gli effetti. Disney purtroppo ha scelto di stare in silenzio mentre in Florida venivano attaccate politicamente le famiglie LGBTQ+ – alcune delle quali sono impiegati Disney – oggi hanno preso la giusta posizione. Ma è solo il primo passo. […] Ogni studente merita di essere visto, ogni studente merita un’educazione che li prepara per avere una vita di successo e in salute, a prescindere da chi sia. Questo dev’essere l’inizio dell’impegno di Disney, non il punto di arrivo.

La Disney ha quindi risposto:

Abbiamo sottoscritto la dichiarazione di HRC contro le leggi anti-LGBTQ+ e ci siamo impegnati a sostenere economicamente i loro sforzi. Siamo sorpresi e delusi dal fatto che non abbiano accettato il nostro sostegno finanziario, ma continueremo a impegnarci per intraprendere azioni significative per combattere leggi che prendono di mira le comunità LGBTQ+.

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