Dopo oltre quindici anni di attesa, Pinocchio di Guillermo del Toro è arrivato finalmente nei cinema americani, e uscirà su Netflix il 9 dicembre (in Italia avrà anche una breve parentesi cinematografica dal 4 dicembre).
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Ma perché c’è voluto tanto tempo perché la visione del regista potesse finalmente prendere forma in stop-motion? Lo ha spiegato lo stesso co-regista (ha lavorato fianco a fianco con Mark Gustafson, animatore qui al suo debutto registico) durante il panel Contenders Film: Los Angeles di Deadline:
Ho iniziato con l’animazione, prima di diventare regista cinematografico live action. Insegnato animazione al liceo, a 17 anni, ai ragazzi di quattordici/quindici anni. Avviai una compagnia che per dieci anni fece effetti speciali e stop-motion, e il mio primo film doveva essere in stop-motion, prima del mio debutto con Cronos nel 1993.
Insieme a quella che all’epoca era la mia ragazza e a mio fratello, costruimmo oltre cento pupazzi in plastilina. Io realizzai le armature, le scolpii, feci il design, costruimmo alcuni set, e poi ci fu il primo giorno di riprese – io animavo i pupazzi. Andammo a cena, e ci derubarono. I ladri, frustrati per non aver trovato nulla di valore, distrussero ogni singolo pupazzo, defecarono sul pavimento. Quello fu il segnale, per me, di dedicarmi al live action. Dissi: devo girare in live action.
Iniziammo a sviluppare Pinocchio nel 2004, dopo Il labirinto del fauno, e già all’epoca qualsiasi grande major cinematografica ci aveva rimbalzato. Tutti lasciarono perdere, ci sono voluti 15, 16 anni per fare questo film.
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