Il regista di Crazy Heart (2009) e del più recente Black Mass (2015) era stato già da queste parti. Scott Cooper arriva per la seconda volta ospite della Festa di Roma dopo essere stato nella capitale nel 2013 con Il Fuoco Della Vendetta – Out of Furnace, sempre con Christian Bale protagonista. Il regista più classico operante a Hollywood in questo momento insieme a James Gray apre la dodicesima edizione della Festa di Roma con un western classico ambientato a fine ‘800 in cui Christian Bale un ufficiale nordista obbligato dai superiori a scortare un capo indiano con la sua famiglia verso il Montana. Durante il viaggio il soldato nordista incrocerà il suo cammino con quello di una vedova americana (Rosamund Pike) vittima di un feroce attacco indiano. Il Direttore Artistico Antonio Monda ha introdotto la conferenza stampa di Hostiles citando il suo scrittore preferito Gilbert Chesterton (“Gli angeli riescono a volare perché non si prendono sul serio“) prima di lasciare la parola ai giornalisti e ai tre primi ospiti della Festa Scoot Cooper, Wes Studi e Rosamund Pike.

 

 

Il film ci riporta nel 1892 ma sembra parlare anche dell’America di oggi. Che rilevanza ha nell’attualità del vostro paese?
Scott Cooper:
Il film oggi è ancora più attuale rispetto a quando scrivevo la sceneggiatura. Ora c’è maggiore divisione razziale e culturale nel mio paese. Da novembre la situazione è peggiorata. L’America è polarizzata e divisa in due: sulla costa Ovest ed Est le persone sono abituate alle interazioni con persone disperate provenienti da altre zone del mondo mentre nel centro degli Stati Uniti si è meno coinvolti nel trovare un equilibrio con chi viene da fuori. Il soldato nordista del film è stato obbligato dal suo paese ad odiare gli indiani. Questo film mi piacerebbe facesse partire un processo di riconciliazione e inclusione. In fondo il senso della pellicola è far comprendere al soldato e al capo indiano di essere due persone in grado di provare emozioni e compiere un viaggio fisico e interiore come fossero una persona sola.

Wes Studi (attore di origine cherokee)
Questo film è uno specchio della storia della nostra esistenza indigena negli Stati Uniti. In fondo quello che viviamo noi nativi americani è un processo continuo di adattamento alla situazione degli Stati Uniti. L’America è forse ora più nervosa rispetto a qualche anno fa. Il film parla ali contemporanei e agli storici.

Per Rosamund Pike: cosa ha pensato quando ha ricevuto l’offerta di interpretare il personaggio della vedova?
Ho sentito che Scott avesse scritto qualcosa di molto vivo. La gente la descrive come una donna coraggiosa. È vittima del lutto peggiore del mondo come quello di aver perso tre bambini e un marito. Lei non vive più quando il personaggio di Bale la incontra. Per me è stato importante capire come il mio personaggio potesse imparare a voler tornare a vivere. Lei non è un donna forte come le donne forti del cinema di oggi dove devi avere spade, armature e atteggiamenti violenti degni degli uomini per essere rispettata al loro livello. È un’eroina molto diversa. Una delle motivazioni del mio personaggio è cercare di far capire al personaggio di Bale quanto lui sia, in realtà, una brava persona.

Per Rosamund Pike: è lei che fa il percorso più veloce di avvicinamento al gruppo di indiani prigioniero. Si parla spesso delle donne come più empatiche e che la rivoluzione nel mondo comincerà dalle donne. Che ne pensa?
Ci siamo rese conto recentemente cosa succede quando le donne si uniscono, alleano e parlano (Scott Cooper applaude entusiasta per un passaggio che sembra fare chiaro riferimento all’affaire Weisntsein). La mia donna non fa una scelta. Lei guarda e ascolta più degli uomini attorno a lei. Il personaggio di Bale è un soldato che ha bisogno di avere un nemico mentre lei non è un soldato. La vita di Bale ha un senso solo se ha un nemico mentre per quanto riguarda il mio personaggio il discorso è più sfumato.

Domanda per Wes Studi: lei ha fatto il soldato in Vietnam negli anni 60. Che tipo di esperienze ha avuto con gli indigeni vietnamiti all’epoca ed entrò in empatia con loro?
Posso dire di sì. I vietnamiti che incontravo mi dicevano che io ero come loro perché da nativo americano avevo subito anche io l’invasione dei nordamericani. Non è una questione semplice. È un’ambiguità di fondo che ha riguardato tutta la mia vita e carriera.

Perché l’America ha sempre avuto bisogno di un nemico? Perché la disperata ricerca di un nemico?
Scott Cooper: Abbiamo una lunga storia che ci dice che il nemico per noi è fondamentale. Dai tempi dei nativi americani cui abbiamo strappato le terre, fino al il Re di Inghilterra per la nostra indipendenza per arrivare poi a spagnoli, francesi, vietnamiti, russi e nordcoreani. Non capisco perché non possiamo convivere. Ma questa necessità invasiva riguarda l’imperialismo e lo sfruttamento delle risorse economiche del mondo. Io spero che la situazione possa evolversi e mantengo una sorta di ottimismo come si denota anche dai miei film.

Wes Studi: L’idea è quella di continuare ad avere bisogno di nemici per poter crescere economicamente. Io sono pessimista al riguardo.

Per Scott Cooper: perché fare un western e qual è il suo rapporto con il genere in questione?
Scott Cooper: I western non vanno mai fuori moda. Piacciono per l’appagante manicheismo di gran parte di quei film, il maestoso panorama e l’idea del nemico da sconfiggere che in un western è quasi sempre un nativo americano. Questo film è un western solo per quanto riguarda l’ambientazione ma spero che sia un resoconto umanista che superi i confini di un genere cinematografico per illuminare la nostra esperienza umana. Ho voluto rendere omaggio a John Ford citando Sentieri Selvaggi (1956) ma anche a Cormac McCarthy e al fotografo Edward S. Curtis.

 

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