Sono aperte le iscrizioni al nuovo Master Accademico in Screenwriting for Series che inizierà a ottobre 2023 al campus di Roma di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti. Il Master propone un programma didattico intensivo sulla scrittura seriale attraverso il quale, tra teoria e pratica progettuale, accorciare la distanza tra i diplomati e il mondo professionale.

Abbiamo parlato con Vincenzo Cuccia, Media Design and New Technologies e Set Design Area Leader (di cui fanno parte oltre al Master, i Trienni in Cinema e Animazione e in Creative Tecnologies, il Biennio Specialistico in Creative Media Production e il Triennio in Scenografia), e con Francesca Staasch, Advisor Leader del Master e docente del campus di NABA a Roma, confrontandoci con loro sulla didattica e anche su come questo Master intende preparare gli studenti a ciò che dovranno affrontare dopo, e cioè un’industria complessa, internazionalizzata e in costante evoluzione.

Il Master Accademico in Screenwriting for Series nel dettaglio

Come descrivereste questo Master Accademico in Screenwriting for Series?

Vincenzo Cuccia: L’idea del Master nasce in NABA, Nuova Accademia di Belle Arti dalla volontà di ampliare l’offerta formativa dell’Area Media Design and New Technologies, pensando a dei percorsi più specializzanti e professionalizzanti, anche se sempre nel rispetto del DNA dell’Accademia, quindi con una sensibilità particolare verso gli aspetti autoriali e creativi dell’industria dell’audiovisivo. Considerando con Francesca Staasch, Advisor Leader del Master, i feedback che arrivavano dalle associazioni di categoria, in particolare Writers Guild Italia e l’Associazione 100autori, e confrontandoci anche con i professionisti del settore, due anni fa ci siamo resi conto che una delle carenze formative individuate riguardava la parte di scrittura in un momento in cui anche in Italia l’industria aveva una forte richiesta di realizzazione di contenuti seriali. Ecco che nasce l’idea di fare un Master Accademico riconosciuto dal MUR della durata di un anno che fosse dedicato a creare figure professionali nell’ambito della scrittura seriale. L’idea è quella di un percorso che dia a persone che hanno già una base di conoscenze sul linguaggio audiovisivo, o che abbiano una forte base culturale rispetto alle discipline legate a cinema e drammaturgia, gli strumenti che, attraverso un approccio laboratoriale e pratico, conferiscano loro la preparazione per essere inseriti all’interno di realtà professionali, collegate a Writers’ Room o case di produzione. A nostro avviso la cosa interessante era avere da subito un approccio aperto a quelle che sono le tante figure collegate alla scrittura seriale. Non c’è più solo lo sceneggiatore, ma anche figure che lavorano a stretto contatto con editori e Head of development. Persone che scrivono forse di meno e leggono di più, ma che devono capire cosa leggono e individuare la qualità. Nell’ambito della scrittura c’è anche chi si occupa di più della parte collegata alla fase iniziale (legata alla ricerca, all’elaborazione del soggetto, ecc.) e chi lavora più a stretto contatto alla parte di scrittura nella Writers’ Room. Nel percorso per noi è importante inserire questo tipo di consapevolezza, con approfondimenti su regia, produzione, e un corso dedicato alla progettazione della professionalità. Questo è infatti un focus importante anche per comprendere cosa significa posizionarsi come sceneggiatore nel contesto attuale: perché serve avere un agente, quali sono le tutele sul diritto d’autore, a cosa serve la Writers Guild, un approfondimento sul contesto nazionale e internazionale, ecc. E per quanto riguarda il percorso di studi, abbiamo voluto inserire un aspetto fondamentale collegato alla conoscenza sia della serialità che del cinema: pur non trattandosi di un percorso vero e proprio di storia del cinema e della televisione, è importante che ponga le basi per una consapevolezza del mondo della cultura digitale, con affondi sociologici e antropologici allo scopo di identificare dei temi e degli approcci metodologici importanti nella serialità.

Francesca Staasch: L’idea, insomma, è quella di avere un Master che non sia solo legato alla scrittura ma anche alla componente editoriale, che permetta la conoscenza di tutta la filiera di sviluppo e produzione. Naturalmente sono previsti laboratori volti a sviluppare e incoraggiare la propria creatività, ma allo stesso tempo l’obiettivo è quello di restituire delle indicazioni su come posizionarsi per approcciarsi al mondo del lavoro. Acquisendo una consapevolezza dei player di settore, di come i differenti prodotti vengono sviluppati e delle dinamiche dell’industria, diventa più semplice per lo studente capire dove collocarsi. Una consapevolezza della filiera, un’esplosione della creatività (che conduce a fine corso alla creazione di progetti da presentare ai diversi interlocutori) e poi c’è una parte di stage o shadowing dove mettere tutto questo in pratica. Il corso lo fanno i docenti e, in questo senso, noi abbiamo docenti di altissimo livello e dotati di esperienze professionali variegate. È vero che da una parte c’è un boom e si cercano in continuazione progetti, e quindi anche un ragazzo o una ragazza giovani possono portare un’idea e vederla realizzata. Ma se poi porti un’idea e vieni travolto dalla tempesta… è meglio essere preparati e avere una mappa di come funziona questo mondo. Insomma, non insegniamo solo a scrivere una sceneggiatura, ma anche dove e come proporla. Per esempio non ha senso portare un horror alla Lux Vide, per esempio, o un cinema verità a Groenlandia. È importantissimo conoscere gli interlocutori e la filiera dove ci si va a inserire.

ugly betty
Ugly Betty

In Italia il ruolo dello showrunner è emerso solo negli ultimi dieci anni, se non di meno, come presenza che viene citata proprio nei credits. È un ruolo di cui parlate nel Master?

Francesca Staasch: Raramente si vede il ruolo di showrunner esplicitato in Italia. Una delle uniche persone ad avere questo titolo per ora è Barbara Petronio, visiting professor NABA, per un progetto che ancora non è uscito. Però sì, ne parliamo assolutamente. Sono previste lezioni con il regista David Warren (che nasce con Broadway e poi si specializza nelle serie tv, come Ugly Betty e Desperate Housewives) che si occuperà dei moduli di regia e di produzione, per spiegare l’approccio americano. Sia Petronio che Warren hanno partecipato a Story First, una serie di incontri promossi da NABA dedicati alle narrazioni seriali, a cui hanno preso parte alcuni protagonisti del settore audiovisivo durante lo scorso Anno Accademico. Nella Faculty del Master è per esempio presente anche Tobias Pausinger, sales agent e esperto di sviluppo nelle co-produzioni europee, un’altra tipologia di lavoro con declinazioni professionali e operative ancora diverse. Naturalmente sono anche coinvolti docenti italiani. Considerando la transizione più lenta nel nostro Paese verso la figura dello showrunner, il più delle volte si tratta di un titolo e non qualcosa di legato al reale potere. Ma a volte, invece, ci sono esempi in cui si è riusciti a ottenere voce in capitolo su cast o altri aspetti non legati strettamente alla scrittura. Non è però un processo automatico.

Sempre citando le varie istanze che vengono portate avanti durante lo sciopero, sentiamo parlare moltissimo di come a Hollywood ci sia questo ruolo di mentorship con i giovani sceneggiatori, e di quanto sia fondamentale che essi siano presenti sul set, possibilmente con stage pagati. È fondamentale insomma che queste persone vedano come lavorano i producer e gli showrunner, perché in America c’è questa scala professionale, una scala che negli ultimi anni in maniera poco lungimirante sembra sia stata affossata. Nell’ottica di questo anno di Master, sono previste delle giornate sul set?

Francesca Staasch: Si chiama shadowing, non so quanto sia frequente in Italia. Si tratta di stare accanto alla persona che fa il lavoro che tu vuoi fare, guardando e imparando ciò che fa. Ovviamente è molto faticoso anche per il professionista in questione, ma vorremmo fare esperimenti in questo senso. Invitare i ragazzi sul set è previsto, dobbiamo trovare le occasioni precise ma è nei nostri piani, magari coinvolgendo i docenti.

Vincenzo Cuccia: La mentorship si può sviluppare nel periodo di tirocinio e internship, quando non ci sono lezioni. È importante per noi trovare nuove sinergie tra chi scrive e chi fa la regia. Questo in Italia e in Europa è diventato un tema molto importante, soprattutto per quanto riguarda la serialità, perché serve strutturarsi di più. Il Master è disponibile nella doppia lingua, e questo ci porta ad avere dei docenti che si riferiscono a mercati internazionali come quello americano e tedesco. Per noi è fondamentale per creare un contesto di maggiore internazionalizzazione, perché le piattaforme di riferimento sono globali e spesso vogliono storie che abbiano un appeal più ampio.

Intelligenza artificiale e sceneggiatori

Negli ultimi anni il ruolo dello sceneggiatore è cambiato moltissimo. Lo sceneggiatore italiano, rispetto a 20 anni fa, deve misurarsi moltissimo anche con il contesto globale e sull’evoluzione degli strumenti di comunicazione. Si parla molto di come gli strumenti dell’Intelligenza Artificiale possono essere utilizzati da un lato per aiutare la scrittura e l’editing, dall’altro “sostituire” lo sceneggiatore… Pensate che verranno affrontati questi argomenti durante il Master?

Francesca Staasch: Uno dei cartelli che abbiamo visto durante lo sciopero della WGA recita: “Chat GPT non ha avuto traumi infantili”. È vero! Almeno per il momento, l’Intelligenza Artificiale non è di per sé creativa e originale, dipende esclusivamente da come si inseriscono i prompt. A mio avviso è importante insegnare il metodo “tradizionale” di creatività e sviluppo, anche perché senza la ricerca, cosa mettiamo in questi prompt? Anche l’IA prevede che ci sia una relazione con persone che sono educate. È chiaro che noi ne possiamo beneficiare quando sappiamo bene cosa chiedergli. Mi preoccupo relativamente per un’eventuale sostituzione nel lavoro creativo, perché l’input sarà sempre umano. Quell’input creativo, come un muscolo, richiede allenamento. Detto questo, stiamo pensando di integrare nella didattica anche queste funzionalità, stiamo studiando come farlo anche in collaborazione con Writers Guild Italia: sono processi che si fanno in collaborazione con il sindacato, ovviamente.
Vincenzo Cuccia: La cosa interessante è che abbiamo fatto un incontro tra i docenti dell’Accademia in cui alcuni sceneggiatori hanno riportato i loro primi esperimenti sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in una Writers’ Room. È chiaro che da qui a qualche anno l’impatto sarà notevole, ma ci dovrà sempre essere qualcuno che abbia una responsabilità sull’aspetto creativo. E poi c’è il problema del diritto d’autore che non è cosa da poco. Per quanto riguarda la formazione è fondamentale che iniziamo da subito ad affrontare questo tema, da cui potrebbero scaturire anche nuove professionalità. Nel design del corso ragioniamo a obiettivi formativi e contenitori: abbiamo la capacità di adattarci a quello che succede, per cui non ha senso pensare a percorsi troppo ingabbiati di fronte ad un mondo in rapido e continuo cambiamento. Quindi se nella parte applicativa arriveranno nuovi strumenti, più potenti di prima, diventa importante conoscerli e governarli.

six feet under
Six Feet Under

Cinema e televisione oggi

Il Master si chiama Screenwriting for Series ma è dedicato sia alla scrittura seriale che a quella per lungometraggi. Come descrivereste la differenza tra scrivere per una serie e scrivere per un film, a parte la lunghezza?

Francesca Staasch: Secondo me ci sono sostanzialmente due grandi differenze. Una è di tipo metodologico: un film finisce, una serie potenzialmente continua, e quindi c’è proprio una filiera diversa. L’editorialità afferisce molto di più alla serialità e molto meno ai film. L’idea della serialità è la gettata, che prevede un team di persone coordinate. La seconda differenza è strutturale: un film ha un certo tipo di struttura e va a chiudersi in essa, una serie ne ha proprio un’altra. Spesso ci sono concept che si declinano meglio in un formato o in un altro. La maggior parte degli sceneggiatori puri che conosco hanno anche scritto libri, film, serie, spettacoli teatrali… Se abbracci come mestiere la scrittura magari ti specializzi di più su qualcosa, ma sai fare tutto. Nello specifico, la cosa bella delle serie è il fatto che non finiscano: i film hanno quest’illusione del “e vissero per sempre felici e contenti”.

Quali sono i finali di serie tv che preferisci?

Francesca Staasch: Il primo è il finale di Six Feet Under: gli ultimi cinque minuti dovrebbero essere studiati da tutti. La vita continua: è questo che ti dicono le serie. I ragazzi di Friends prima hanno 20 anni e alla fine della serie sono ultratrentenni, la vita è andata avanti, i personaggi sono cambiati davanti ai tuoi occhi. Le serie sono come Boyhood, alla fine. I ragazzini di Stranger Things ora non sono più i bambini che così tanto ci ricordavano quelli di Stand by Me, che invece non cresceranno mai. E anche in Game of Thrones abbiamo visto crescere i bambini… Per anni la serie tv è stata considerata un formato di serie B per via della sua verticalità: quando accendevi la TV dovevi capire subito tutto e questo creava ridondanza e non permetteva reali evoluzioni. L’avvento dell’on demand e delle piattaforme ha creato delle narrazioni molto più innovative. 24 è stata la prima serie che andava vista davvero dal primo episodio, almeno la prima stagione. Era un’ora di quella vita, di quel giorno lì: non ci si poteva perdere dei pezzi. L’altro finale di serie geniale, a mio avviso, è La fantastica signora Maisel. Per motivi completamente opposti a Six Feet Under: è l’anti Six Feet Under. È un finale molto tematico, pensi sia amaro ma non lo è.

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La fantastica signora Maisel

Il grande pubblico conosce il ruolo dello sceneggiatore in Italia grazie a Boris. Da allora i cambiamenti nell’industria sono stati tanti, e forse si sta iniziando a uscire da certe dinamiche raccontate anche da quella serie, soprattutto per quanto riguarda una certa committenza e un certo contesto. Nell’ottica di questo corso, pensate sia comunque importante preparare gli studenti al fatto che può essere che si ritrovino a lavorare in contesti di quel tipo? Per chi ha esperienza in questa industria stanno migliorando le cose? O è il caso di mettere gli studenti in guardia su certi carrozzoni, sulle pressioni della politica, del vaticano, dei centri di potere?

Francesca Staasch: Medical Dimension è una dinamica che conosciamo tutti molto bene. È chiaro che l’Italia è un paese complesso e la produzione culturale è interconnessa con le istituzioni. Questa cosa, insomma, c’è ma con un minore impatto rispetto a una volta: i player sono cambiati, sono cambiate le modalità. Anche gli interlocutori vecchia scuola si sono dovuti aggiornare. Ci sono delle grosse luci in fondo al tunnel. RaiPlay, per fare un esempio, sta producendo tantissime cose molto innovative, con un relativo controllo editoriale. L’operazione Mare Fuori ha funzionato benissimo dopo essere transitata su Netflix e RaiPlay. La situazione, insomma, sta cambiando molto, compresi anche i produttori. Ciononostante, ancora dubito che faremo mai della fantascienza in Italia, ma staremo a vedere!

Foto di copertina: Masterclass di screenwriting, NABA Campus di Roma, 2023. Ph. Cinzia Capparelli

Per maggiori informazioni sul corso potete fare riferimento al sito NABA.

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