“Andrea, visto che Gabriele ha già fatto le varie classifiche sul meglio e il peggio del 2013, che ne diresti di fare un pezzo sui blockbuster che ti sono piaciuti di più e quelli che ti sono piaciuti di meno negli ultimi 12 mesi”.

La proposta di Andrea Francesco mi è parsa subito ottima, più che altro perché, così facendo, posso evitare d'inserire nella classifica La Vita di Adele senza correre il rischio di venire crocifisso in sala mensa come Fantozzi.

Non male come prospettiva.

Come si suol dire, bando alle ciance ora. 

A seguire potete trovare, in rigoroso ordine sparso, quelle che, a mio parere, sono le migliori pellicole “pop” uscite in Italia nel corso dell'anno.

E le tre più cocenti delusioni.

 


 

Zero Dark Thirty

Una regista con le palle che dirige una delle attrici più brave e belle di Hollywood in un film basato sull'ossessione.

Mi ero fatto questa idea prima di vedere Zero Dark Thirty, lungometraggio che attendevo con un certo interesse dopo la delusione di The Hurt Locker, piuttosto banale nella rappresentazione dell'equazione Guerra = Droga, e premiato con un quantitativo eccessivo di Oscar.

L'idea è stata poi confermata dalla visione del lungometraggio, uno spy-movie che riesce a essere così fortemente personale all'interno della filmografia della regista e, allo stesso tempo, oscuro, controverso nella rappresentazione della cosiddetta “guerra al terrore”. Perché rivedere sul grande schermo le immagini – questa volta fittizie – di torture, attentati dopo il polverone di Abu Ghraib e di altri drammatici accadimenti, fa meno effetto di quello che m'aspettassi e questo dice molto su quanto, ormai, siamo tutti anestetizzati all'orrore.

Quello vero.

 

Django Unchained

Da un revenge movie a un altro.

Tarantino spazia con agilità invidiabile da un Bastardi Senza Gloria a un Django Unchained con riuscendo, per la seconda volta consecutiva, a trattare un tema alquanto spinoso in maniera tanto rispettosa quanto ironica, filtrando il tutto con la lente della sua macchina da presa, dei suoi occhi, del suo data base filmico cerebrale.

Jamie Foxx nel ruolo della vita, ovvio, ma più che altro un Christoph Waltz che pare geneticamente strutturato per dare forma agli iconici personaggi di Tarantino e il lusso di avere un “caratterista” DiCaprio nella parte di villain dai denti marci.

 

Cloud Atlas

Un film che può essere amato o detestato.

Vada come vada, destinato a non lasciare indifferenti.

Vorrei trovare altro da dire su questo film che non abbia già avuto modo di scrivere lo scorso gennaio, ma immagino che finirei per risultare ripetitivo. Quindi vi consiglio di rileggere direttamente The End is the Beginning is the End.

 

L'Uomo d'Acciaio

Ogni volta che rivedo il film mi piace più della precedente. Non è un blockbuster perfetto, non è un film privo di difetti – ma quale lungometraggio lo è? – ma la rinascita di celluloide del padre dei supereroi moderni è connottata da una qualità che mai mi sarei aspettato di trovare in una pellicola del “cafonissimo” Zack Snyder.

Il cuore.

Messi da parte gli stop-and-go che anche in Watchmen riuscivano a fare capolino, Snyder ci consegna una storia sulle origini di Superman che evita di ripassare pedissequamente su dei solchi tracciati in precedenza (Ehi Marc Webb, si, sto parlando con te!) e che, soprattutto, ci mette di fronte a un terzo atto talmente imponente, spettacolare, distruttivo da far impallidire roba come Transformers 3 o The Avengers.

E quando Kal-el, Zod, Faora e compagnia bella cominciano a prendersi a cartonate in faccia, ho provato un livello di esaltazione talmente elevato come non mi accadeva dai tempi della Burly Brawl di Matrix Reloaded.

 

Fast & Furious 6

Vin Diesel che vola da una corsia all'altra di un'autostrada e una una sequenza finale ambientata su pista d'atterraggio che, stando a calcoli accurati, sarebbe lunga in realtà qualcosa come 40 km.

Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.

 

The World's End

Dalle nostre parti, Edgar Wright ha una fanbase decisamente agguerrita che, a giudicare dal riscontro che i nostri articoli sul film hanno avuto nel corso degli anni, si trova tutta sulle pagine di BadTaste.

Attendevo il capitolo finale della Trilogia del Cornetto con un livello di aspettativa smodata, con la consapevolezza che il terzetto Wright/Pegg/Frost non mi avrebbe tradito.

E così è stato.

Umorimo british, cast stellare, citazioni pop, colonna sonora da urlo e tanta nostalgia.

 

Pacific Rim

Avessi tempo, credo che su Pacific Rim potrei scrivere un trattato voluminoso quanto l'Anatomia del Grey.

Guillermo del Toro ha dato forma alle fantasie del dodicenne dentro di lui, dentro di me e dentro molte persone, dando vita al monster/robot movie definitivo.

Tanto di cappello alla Legendary e alla Warner Bros. che in un'epoca fatta di franchise basati su franchise basati su altri franchise hanno dato nelle mani del regista messicano una sacca contenente 190 milioni di dollari dicendogli “fanne quello che ti pare”.

E Del Toro ci ha messo anche un robot alto 90 metri che prende a mazzate in faccia un mostro grande più di lui utilizzando una petroliera come se fosse una mazza da baseball.

C'ho trovato più romanticismo che in un componimento di William Wordsworth.

 

Rush

Nelle mani di Peter Morgan anche una cosa becera come la sfida d'ascolti fra Striscia la Notizia e i pacchi di Rai Uno potrebbe, con tutta probabilità, diventare epica.

D'altronde lo sceneggiatore e drammaturgo inglese è abbonato di gran classe alle vicende che fanno dei dualismi, delle sfide, delle antitesi, il centro narrativo, portante dell'intera struttura narrativa.

Frist/Nixon.

I Due Presidenti.

Ma anche Il Maledetto United e L'Ultimo Re di Scozia, in un certo qual modo.

Nel racconto della gara – sulle piste e nella vita, ma visti i personaggi in questione, dove si trova la linea di demarcazione fra questi due concetti? – fra Niki Lauda e James Hunt si ritrova a collaborare di nuovo con Ron Howard.

E come accaduto per Frost/Nixon, il fu Richie Cunningham da il meglio di sé, con il valido supporto di un Daniel Brühl sensazionale e di un Chris Hemsworth ancora un po' troppo Thor. Cosa che, nel momento in cui bisogna interpretare uno come Hunt, non rappresenta di certo un demerito.

 

Prisoners

Magari inserire un film come Prisoners in un “best of” dei blockbuster di stagione potrebbe apparire forzato.

Ma se per blockbuster intendiamo anche quelle pellicole interpretate da un cast capace di attirare il pubblico nelle sale con la semplice lettura dei nomi in cartellone, allora l'opera di Denis Villeneuve merita a pieno titolo di rientrare in una classifica delle pellicole più “popolari” della stagione. Anche se gioca con i meccanismi del thriller e del dramma familiare impiegando degli espedienti ben poco concilianti e rassicuranti, mostrandoci i lati più oscuri di una star come Hugh Jackman e un Jake Gyllenhaal capace di cesellare il suo personaggio più con i non detti che con gli elementi chiaramente espressi.

 

Pitch Perfect – Voices

Arrivato in Italia a quasi un anno di distanza dalla release americana, Voices, o Pitch Perfect, è davvero una commedia che imbrocca, fin dall'inizio, la giusta intonazione.

I membri del cast sono tutti azzeccati e affiatati – su tutti svettano le performance di Rebel Wilson ed Elizabeth Banks anche produttrice del film – i pezzi musicali ottimi e poi si cita a più non posso The Breakfast Club di John Hughes.

 

Delusioni

 

Lo Hobbit: La Desolazione di Smaug

Da qualche parte ho letto un commento tipo “La Desolazione di Smaug è La Minaccia Fantasma di Peter Jackson”.

Sottoscrivo ogni parola.

Ho adorato Un Viaggio Inaspettato (ho dichiarato tutto il mio amore in questo articolo), e ho tentato in tutti i modi di cambiare idea su La Desolazione di Smaug rivedendolo tre volte al cinema, ma, alla fine, mi sono arreso all'evidenza dei fatti: la noia ha sovrastato i – pochi – momenti all'insegna dell'entusiasmo.

CGI eccessiva, una fuga nei barili che sarebbe stata più consona a un platform-game di Donkey Kong, una mezz'ora di film di troppo, ammiccamenti al limite del fastidioso in direzione del Signore degli Anelli ma, soprattutto, l'incapacità di focalizzarsi con la dovuta attenzione sui personaggi. I nani, ad eccezione di Thorin, Kili e Balin, sono solo delle figure sulla carta da parati e lo stesso Richard Armitage non è che si limiti ad altro che un'espressione stile “Boom! You're pregnant!”; il tutto mentre Martin Freeman manda alle ortiche quanto di bello fatto nel primo capitolo. Senza contare la “liaison” fra Tauriel e Kili. Mai stato un talebano del rigore filologico degli adattamenti cinematografici, ma una storia d'amore, seppur accennata, fra un nano e un'elfa e una cosa a cui dico “No!” come se fosse il colesterolo, visto che stiamo parlando di Tolkien.

Ottime le digressioni con Gandalf a Dol Guldur, il Governatore di Esgaroth interpretato da Stephen Fry, il drago Smaug di Benedict Cumberbatch e la secca chiosa finale. Che fa quasi dimenticare la totale mancanza di un climax narrativo rimandato alla prossima puntata.

 

Thor: The Dark World

Dopo l'ottimo Iron Man 3, un drastico passo indietro per i Marvel Studios. Un blockbuster dal sapore televisivo – nell'accezione negativa e passatista del termine – con un villain inutile e del tutto privo di spessore e un MacGuffin che ricalca in maniera troppo smaccato quello di The Avengers.

Solo che qua al posto di un Loki, abbiamo un Malekith che pare semplicemente un tizio che si è alzato la mattina scendendo dalla parte sbagliata del letto.

Se non fosse per i riusciti battibecchi fra Chris Hemworth e Tom Hiddleston, sarebbe una pellicola da gettare completamente alle ortiche.

La Disney dovrebbe seriamente pensare a una serie di spin-off su Thor e Loki tipo quelli di Timon e Pumbaa.

 

Die Hard: Un Buon giorno per morire

In cuor mio, sapevo che il quinto Die Hard sarebbe stata una delusione. Solo che non volevo crederci fino in fondo.

D'altronde, se se una saga cominciata nel 1988 da un Maestro del cinema come John McTiernan e da lui stesso proseguita col magistrale Die Hard with a Vengeance nel 1995 finisce nelle mani di un certo John Moore è normale che a quel punto anche Die Hard: Vivere o Morire di Len Wiseman ne esca nobilitato.

E non basta la citazione finale alla morte di Hans Gruber per fare grande cinema.