Arriva oggi al cinema Diabolik – Chi sei?, il terzo e ultimo film della trilogia dei Manetti Bros. con Giacomo Gianniotti, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Pier Giorgio Bellocchio, Chiara Martegiani, Massimiliano Rossi, presentato alla Festa del Cinema di Roma.

In occasione della passata edizione del Lucca Comics & Games abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con i due registi, Marco e Antonio Manetti.

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Tre film in tre anni non deve essere stato affatto facile: ora che il film sta per uscire in sala, come giudicate l’esperienza generale? Si può dire che vi siate tolti un bel peso?

Sì, anche se ce lo siamo tolti da un po’, nel senso che nel frattempo abbiamo già fatto un altro film, quindi dal punto di vista della nostra lavorazione, diciamo, ci siamo “liberati” di Diabolik da un anno, più o meno. Il rapporto con un film è molto stretto quando lo giri, ma ora siamo curiosi di vedere che effetto fa al compimento di tanti anni della nostra vita.

Sicuramente quello di cui ci liberiamo di più è il fardello di una cosa più grande di noi. Non lo dico per retorica, ma il peso di qualcosa che la gente vive anche più di te, magari da tanti anni, lo senti. Ogni cosa che abbiamo fatto, ogni tentativo è sempre stato fatto con l’obiettivo di essere fedeli al fumetto. Qui il discorso si fa complicato, ma quando si parla di fedeltà al fumetto, molti la interpretano come aderenza alla forma d’arte, ma non può essere così. Se faccio un film sui Promessi sposi e dico che voglio essere federe al libro, non è che poi il film si sfoglia.

Ma siccome in Italia non c’è proprio una cultura di dare del “tu” al fumetto, quando diciamo che vogliamo essere fedeli a fumetto dicono: “Ah, ecco perché…” e iniziano a unire puntini che non esistono. Nel terzo film ad esempio c’è una parte in bianco e nero, ma non è che l’abbiamo messa perché il fumetto è in bianco e nero. Ultimamente con un amico parlavo di una recensione in cui dicevano che per essere fedeli al fumetto nel primo film avevamo usato lo split-screen. Ma non è così.

Comunque, per rispondere alla tua domanda specifica, il nostro rapporto con Diabolik è particolare perché è stato per noi qualcosa che volevamo fare da sempre, siamo riusciti a farla e ci siamo rimasti dentro per anni. Uscirne è una grande soddisfazione, siamo riusciti a finire la nostra trilogia e adesso il cerchio si chiude. Diabolik però è unico: rispetto ad altri nostri film scritti da noi, Diabolik rimane. E non parlo del nostro film, ma del personaggio, che è destinato a restare. È come se non finisse mai. 

Noi continueremo a seguire la storia, a vedere Diabolik, i fumetti, i poster, gli accendini! Diabolik ha tanti media diversi, noi ricorderemo per sempre il nostro lavoro su Diabolik, ma nulla vieta che al cinema non possa continuare. 

E a tal proposito, cosa preferireste? Cedere le redini del vostro “mondo” a qualcun altro, con stesso cast e squadra creativa, o un reboot con un’altra visione?

Guarda, domanda interessante.. adesso al volo mi viene una risposta doppia, ma è sincerissima e verissima. Da spettatore mi piacerebbe tanto che qualcuno facesse qualcosa di completamente diverso con Diabolik per vedere il risultato, e lo dico non solo da spettatore puro, ma da spettatore che ha fatto Diabolik e che ha incontrato le sue difficoltà. Però dal punto di vista dell’orgoglio personale non sarebbe male vedere continuare la narrazione con altri registi. Non credo succederà, a questo punto ci sarebbe già dovuto essere un progetto. Ma diciamo che entrambe le prospettive sono interessanti. 

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Il secondo e il terzo capitolo sono stati girati in contemporanea, che non è una cosa così frequente in Italia. Come vi sete trovati? Com’è stato gestire insieme due progetti?

La cosa curiosa che mi sta venendo in mente adesso è che abbiamo fatto tre film, di cui uno da solo e due insieme, però in realtà i due che abbiamo girato insieme sono molto diversi tra di loro, e anzi il secondo assomiglia più al primo che al terzo. E questa è stata una difficoltà aggiuntiva. A posteriori direi: “Mai più”, è stato veramente faticoso.

La cosa strana è che abbiamo fatto delle serie tv, quindi non era una cosa nuova, però l’effetto è stato diverso. È stato molto faticoso, difficile, a volte ci fischiava la testa, ci sono stati momenti in cui non ricordavamo esattamente cosa stavamo facendo. Alla fine visto che sono progetti molto diversi siamo riusciti a mantenere viva la nostra attenzione, ma in generale è stato stancante.

Dal punto di vista della responsabilità, il motivo per cui Rai Cinema ha scelto di realizzarli insieme è stato per farli costare di meno, quindi in quel senso la pressione è diminuita.

Al montaggio com’è andata?

Abbiamo assolutamente tenuto distinte le due sessioni, altrimenti saremmo impazziti. Anche perché non abbiamo girato tutto insieme, ma in maniere consequenziale. Diciamo che abbiamo montato durante lo stesso “sforzo produttivo”, quello sì, ma il secondo è l’unico dei tre film che abbiamo montato mentre giravamo. 

Vista l’esigenza di organizzare tutto il carico di lavoro nella stessa sessione, avete avuto l’esigenza di tornare sul set per delle riprese aggiuntive? In America, per progetti di un certo spessore, è una pratica decisamente comune.

Sì, sì, assolutamente, è stato fatto, noi lo facciamo abitualmente. Non so se lo fanno tutti, ma ci capita spesso di rigirare certe cose, ma non nel senso che una scena viene male e allora la cancelli e la rifai. Sono per lo più dettagli, cose nuove o cose che non si sono potute fare per qualche motivo durante le riprese principali.

Ricordo bene che per il primo film stavamo montando il film a Roma, ci siamo resi conto che mancavano delle cose e siamo tornati a Bologna. Quindi abbiamo dovuto rimettere mano a tutto, al trucco, agli attori, ai costumi, abbiamo dovuto rimettere in piedi la baracca, ed è sempre più faticoso farlo dopo. A volte come dicevo sono dettagli, come l’inquadratura della mano di Eva che spara nel primo Diabolik, quella l’abbiamo aggiunta dopo. Comunque sì fa anche qui, sì, non è una cosa solo americana… magari gli americani la fanno con più soldi. Fanno tutto con più soldi. 

In realtà per alcuni film le sessioni aggiuntive vengono addirittura già previste in fase di definizione del budget, ma sono macchine produttive completamente diverse.

Ecco, magari qui è previsto meno dal sistema produttivo. Quindi spesso ci arrangiamo per come possiamo. Ricordo che per il primo film abbiamo fatto delle riprese nel Grand Hotel dove si incontrano Diabolik ed Eva, ci servivano dei dettagli da aggiungere e siamo tornati lì un po’ di tempo dopo, chiedendo praticamente un favore. 

Però posso dire dire che da produttori ci siamo ritrovati a dare più budget proprio per girare altre scene. C’è un film intitolato The End? L’inferno fuori di Daniele Misischia. La scena finale non ci piaceva, così l’abbiamo fatta rigirare. Il film era a basso costo, lì da produttori non l’avevamo previsto, ma alla fine abbiamo deciso di dare al regista più budget per girare un finale più incisivo, con più comparse e tutto il resto.

È servito, alla fine?

Assolutamente, il regista è stato contentissimo e alla fine ne è valsa assolutamente la pena.

Ricordo che al Comicon di Napoli, diversi anni fa, mostraste il primo test degli effetti visivi della maschera di Diabolik. Come siete arrivati a quell’effetto e come si è evoluto nel corso dei tre film?

Ha avuto una strana evoluzione, quello che volevamo era mostrare dal vivo Diabolik che si toglieva la maschera, però per farlo serviva per forza un effetto digitale. Non eravamo sicuri di come fare, poi il nostro responsabile degli effetti speciali, Simone Silvestri, ha trovato un tutorial su Youtube di un tizio che si era inventato un sistema per replicare la maschera di Mission: Impossible. Noi lo abbiamo provato e abbiamo deciso di usare quello stessa sistema.

Il vero sviluppo, però, c’è stato nel terzo film, dove i cambi di maschera sono tanti, quindi nel 90% dei casi abbiamo tolto l’effetto speciale, non l’abbiamo più fatto se non un paio di volte, anche perché ci siamo un po’ stufati. Così abbiamo trovato tante soluzioni diverse, senza l’intervento digitale, tutto sul set.

Per una scena ad esempio abbiamo costruito un armadio proprio davanti alla porta di una stanza, così l’attore apriva l’armadio, la cinepresa poi lo seguiva, gli attori si scambiavano e Diabolik ne usciva togliendosi la maschera di lattice. In un’altra scena lo scambio avveniva dietro una colonna. E addirittura in una delle scene finali, non so se abbiamo osato troppo, ma abbiamo fatto delle maschere molto realistiche con Sergio Stivaletti, sembravano davvero dei volti umani. In quella scena Diabolik ed Eva indossavano quelle maschere e se le toglievano, ma non parlavano, altrimenti si sarebbe scoperto il trucco.

Per il resto, cerchiamo di non esagerare con queste trovate. Cerchiamo sempre di fare in modo che la mano del regista non si veda troppo e che non sia troppo invadente. 

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Diabolik è un personaggio iconico, che si porta dietro certe aspettative da parte del suo fandom. Voi, da registi, come avete trovato quell’equilibrio tra fan service e esigenze cinematografiche?

Ogni film “tratto da” si porta dietro le sue difficoltà. Un film non è un fumetto, altrimenti avremmo visto le tavole, quindi trasporre quel fumetto non è una cosa facile. In più Diabolik è molto famoso, perché tutti conoscono la faccia di Diabolik, la maschera di Diabolik, Eva, la Jaguar, sono iconici, quindi se non vedi quello che ti aspetti è possibile che ci resti male. Noi siamo partiti avvantaggiati perché siamo appassionati di Diabolik, del fumetto, ci piace molto, e quindi non avevamo paura di deludere nessuno, ci bastava accontentarci da soli.

Diabolik è un fumetto particolare. Ha un fandom, che è anche bello hardcore, però è un fumetto a storia secca, non ha la storia di Spider Man, quindi in realtà è un fumetto anche un po’ più facile da questo punto di vista. Ma poi la verità è che io che sono fan di Diabolik da quando sono ragazzino e i punti di vista possono cambiare. Quando ho visto il film di Mario Bava, da giovane, ci sono rimasto male, poi l’ho rivisto da adulto e ho detto: “Che bello questo film, da ragazzino lo odiavo”.

Dopo Diabolik cosa vi aspetta?

Abbiamo fatto un film completamente diverso [U.S. Palmese], forse tra i nostri film è quello che ha più i toni della commedia, è più leggero. È una nuova sfida, come lo sono tutti i nostri film, li scegliamo di proposito perché ci piace metterci in situazioni complicate.

È un film in parte sulla Calabria – noi siamo di origine calabrese – e si svolge nel paese da dove viene la nostra mamma, Palmi. E poi in realtà è una scusa per parlare di calcio perché è una storia di calcio in Calabria. Non è un film proprio sul calcio, ma è un film in cui la storia viene mossa dalle partite di calcio, quindi abbiamo dovuto girare diverse partite che dovessero emozionare in sé. Come un film d’azione, ma con le partite al posto delle scene più adrenaliniche.

Infatti per prepararci abbiamo pensato un po’ ai cartoni animati giapponesi, le cose migliori di calcio forse le hanno fatte loro.

Holly e Benji?

Sì, quello è stato proprio il riferimento costante e ti fa capire quanto il nostro prossimo film sia completamente diverso da Diabolik. Come dicevamo prima, ci serviva una boccata d’aria fresca.

Manetti Bros
Marco e Antonio Manetti al Lucca Comics & Games 2023

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