Jackie Chan era il custode della Via Della Seta ne La Battaglia Degli Imperi – Dragon Blade con John Cusack e Adrien Brody. Nel documentario diretto da Morgan Neville Yo-Yo Ma e i Musicisti Della Via Della Seta (2015) è il grande violoncellista americano (di chiare origini cinesi), il cui primo credit cinematografico importante fu la presenza dentro Un’Altra Donna (1988) di Woody Allen, a ergersi come custode di una strada presa metaforicamente come simbolo della comunicazione tra Ovest ed Est del mondo. A partire dal 2000 Yo-Yo Ma ha cercato di unire musicisti provenienti da diverse parti del mondo per suonare insieme all’interno del Silk Project. Il documentario di Neville racconta la storia di questa idea e presenta i vari artisti che hanno accompagnato Yo-Yo Ma in questa esperienza ormai lunga 16 anni. Cristina Pato è un membro importante del Silk Project. Abbiamo incontrato a Roma questa galiziana soprannominata il Jimi Hendrix della Gaita (cornamusa galiziana, N.d.R.). Ma abbiamo subito scoperto una cosa importante.

 

 

Cristina Pato: “Il Jimi Hendrix della Gaita”. Ma a te piace questa definizione?
No! La detesto. Io voglio essere la Cristina Pato della gaita.

Quando sei stata coinvolta nel progetto?
Mi ero trasferita a New York per il mio dottorato circa dodici anni fa. Ero stanca della gaita e sentivo un peso sulle spalle. Desideravo tornare ad essere una pianista classica. In quel momento conobbi il compositore argentino Osvaldo Golijov. Venne nella mia università per una masterclass. Mi diede da suonare al piano una poesia galiziana di Rosalía De Castro. Scoperto che ero galiziana come la poetessa, mi invitò nella sua università per parlare della gaita. Lo feci e poi mi dimenticai dell’esperienza perché ero ancora molto in conflitto con il mio passato di suonatrice di musica tradizionale galiziana. Poi mi richiamò qualche tempo dopo per invitarmi un weekend con mio marito a Tanglewood in Massachusetts dicendomi che stava lì con dei suoi amici musicisti. Mi chiese di portare la cornamusa.

Ma tu non sapevi che Yo-Yo Ma avrebbe fatto parte dei presenti?
No o forse me lo disse fugacemente e io non ci feci troppo caso. Yo-Yo Ma per noi spagnoli non è un musicista così famoso come negli Stati Uniti d’America.

Torniamo a quel weekend a Tanglewwod…
Era un venerdì sera. Yo-Yo Ma era lì. Il capo della Carnegie Hall era lì. Il capo delle pagine della cultura del New York Times era lì. Il rettore della Julliard era lì. Ho fatto una jam session con altri musicisti e alla fine Osvaldo mi ha detto che la settimana prossima si sarebbero esibiti alla Carnegie Hall. Mi chiese: “Sei disponibile?”. Non si fanno audizioni dentro il Silk Project. Ho scoperto con quella mia esperienza che si entra nel gruppo attraverso raccomandazioni interne ai musicisti. Io ero stata notata da Osvaldo.

Perché arrivò quel tuo rifiuto della gaita?
Perché c’erano state troppe polemiche in Galizia circa il mio modo di suonare la gaita. Avevo 18 anni quando divenni famosa e l’ho presa troppo sul piano personale. Questo mi ha spinto a lasciare quel peso e a lasciare la Galizia. Il progetto di Yo-Yo Ma mi ha convinto a riconsiderare l’utilizzo di questo strumento in un ambiente più protetto.

C’è un’idea nel documentario molto forte degli Stati Uniti come luogo di possibile sintesi culturale di diverse esperienze. Che ne pensi vista la situazione attuale?
Sono d’accordo. Ho speranza e penso che gli Usa abbiano questa apertura nel loro dna e nessun Presidente, per quanto potente, potrà cambiarla. C’è anche da dire che noi stiamo soprattutto a New York e Los Angeles e New York e Los Angeles, pur importanti, non rappresentano tutti gli Stati Uniti.

Io conosco la Galizia solo attraverso il cinema grazie a Mare Dentro (2004) di Alejandro Amenábar e Julieta (2016) di Pedro Almodóvar. Viene presentato come un luogo duro, freddo e in un certo senso molto poco latino nel senso di caloroso e sentimentale? Tu che ne pensi?
È proprio così. Siamo molto duri, è vero. Siamo molto attaccati alla nostra identità. È un paese di emigranti nel senso che siamo emigrati molto verso gli Stati Uniti. Mia madre è andata in Venezuela a 16 anni ed è lì che ha conosciuto mio padre. C’è una grande comunità di galiziani a Cuba e in Argentina. Si spostarono dalla Galizia non perché lo volevano ma perché erano costretti. Ora io sono molto più a mio agio con la Galizia e sono diventata una sorta di promotrice turistica. È una cosa che faccio con grande entusiasmo. Un film molto interessante per come rappresenta la Galizia è Il Cammino Per Santiago (2010) di Martin Sheen.

È stato un problema essere una donna quando scoppiò la polemica sul tuo uso rock della gaita?
No. Non è mai stato un problema di gender. La cultura galiziana è molto matriarcale e i problemi che ebbi io con la tradizione galiziana furono più di natura musicale che non per il fatto che io fossi una donna.

Yo-Yo Ma sostiene che non si più essere grandi, nel senso di maturi, e musicisti allo stesso tempo. Eppure questo Silk Project mi sembra intelligente, organizzato e maturo. Non la trovi una contraddizione?
Noi ci basiamo su curiosità, generosità e flessibilità. È il gruppo che ci dà una diversa percezione del nostro lavoro di musicisti. È come se ci obbligasse organicamente ad essere più razionai e aperti alla maturità. Perché non siamo soli ma insieme. E stare insieme… non permette la follia come stare da solo. Sopratutto se sei un musicista. Yo-Yo Ma è il nostro mentore. È lui che gestisce e guida questo equilibrio.

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