Lorenzo Vigas è atterrato dentro la Mostra del Cinema di Venezia del 2015 come un fulmine a ciel sereno. Erano gli ultimi giorni del Concorso e nessuno conosceva questo esordiente venezuelano nel lungometraggio dalla scarnissima filmografia.

Poi, all’improvviso, ha vinto il Leone d’Oro assegnatogli dalla giuria presieduta da Alfonso Cuarón, generando anche qualche polemica visto che si trattava comunque di un esordiente sconosciuto. Ti Guardo parla dello strano rapporto tra Armando (il grande Alfredo Castro attore feticcio di Larraín) ed Elder (Louis Silva), rispettivamente un altolocato e un ragazzo di strada di Caracas. Il film è un dramma psicologico ma anche un thriller erotico ma anche un giallo ma anche un melodramma. Abbiamo incontrato in esclusiva Lorenzo Vigas a Roma e abbiamo cercato di affrontare alcuni degli aspetti più affascinanti del suo folle, bellissimo, film. Si è cercato di andare in profondità per cui si consiglia la lettura dell’intervista esclusiva a chi ha visto Ti Guardo, nelle nostre sale da giovedì 21 gennaio.

 

 

Perché la scelta di giocare con il fuoco e il fuori fuoco quando entra in scena Armando?
Quando ho cominciato a pensare a come girare il film ho cominciato a pensare ad Armando. Perché Armando guida tutto e la sua psicologia è centrale dentro tutta la pellicola. Capire come filmare Armando mi avrebbe quindi aiutato a capire come girare tutto il film. Armando doveva essere contemporaneamente presente come un borghese realistico e doveva quindi possedere una concretezza fisica ma poi, allo stesso tempo, doveva diventare un simbolo e un po’ un fantasma del passato. Le sue emozioni sono bloccate nel passato. La memoria di sua madre, così importante per lui attraverso le foto che mostro dentro la sua casa, fa costantemente a botte con la pessima memoria del padre. Volevo presentarlo quindi davanti agli occhi dello spettatore come contemporaneamente presente e assente. Come un fantasma, diciamo. Doveva apparire e scomparire. Ho raccontato queste idee al mio direttore della fotografia Sergio Armstrong e abbiamo fatto delle prove. Il concetto era: Armando è un fantasma perché emotivamente non vive nel presente.

E poi?
E poi… è capitata la cosa rara di rendersi immediatamente conto che il gioco con il fuoco-fuori fuoco funzionava piuttosto bene e così l’abbiamo tenuto fino alla fine.

Quindi prima è venuta l’idea e poi avete lavorato tu e il dop per ottenere specificamente questo risultato?
Sì, è andata così.

Il tuo personaggio protagonista è sempre in posizione dominante. Economicamente, geograficamente e sessualmente (anche se qui, diciamo, che è invitato ad esserlo). Ma vogliamo parlare un po’ del fatto… che possa aver pianificato tutto fin dall’inizio? Tu che ne pensi?
Interessante. E’ nato una sorta di dibattito dopo la visione del film tra chi pensa che Armando abbia pensato a un piano fin dall’inizio e chi invece ha un’altra interpretazione. Ma non era calcolato, devo essere sincero.

In che senso?
Nel senso che quando ho scritto la sceneggiatura… non ho pensato alla possibilità di più di una lettura. Devo essere sincero.

Ma per te… Armando vive una reale storia d’amore con Elder… o no? O è tutto strumentale?
Per me… Armando vive una fantasia che però finisce male perché lui… è ferito. Armando ha subito cose atroci che tu non vedi nel film ma che spero tu possa sentire da spettatore.

Da bambino?
Sì, certo, da bambino. Ha subito qualcosa che ha lasciato profonde ferite e quindi non è assolutamente in grado di avere una relazione, diciamo, minimamente equilibrata con Elder. Quello che fa nel finale è figlio del fatto che lui sia terrorizzato dal vero amore perché… non lo conosce. Io non penso che sia un piano. Io penso che lui viva una fantasia bella… che finisce male.

Un tempo l’omosessualità dei personaggi sarebbe stata trattata da un regista come una scelta di vita più marcata… di natura quasi politica. Oggi invece mi sembra che sempre più film la propongano come un possibile sbocco sessuale di un scelta in prima battuta di natura emotiva. Anche il tuo film mi ha fatto pensare a questo. Tu che ne pensi?
Sono d’accordo. Io posso parlare solo per il mio film… ma sono d’accordo. Non è un film sull’omosessualità. Assolutamente no. Armando ha bisogno di dare ad Elder quello che suo padre non ha dato a lui. Allo stesso tempo… Elder ha bisogno di un padre. Il film penso che sia un film sui bisogni emotivi prima che sessuali. Trascende non tanto l’omosessualità quanto piuttosto la sessualità stessa. Se Armando fosse stato una signora di 60 anni… penso che Elder si sarebbe innamorato di quella signora e avrebbe fatto l’amore con lei.

Per quanto riguarda il finale scioccante… è anche come se Armando non volesse condividere la sua ossessione con Elder. Che ne pensi?
Penso che comunque… si trattava di suo padre e quindi… sì certo… è un argomento così delicato che l’invadenza altrui… può generare in persone come Armando reazioni di grande spietatezza.

Sono curioso: quante persone ti hanno detto che il film era tutto un piano studiato da Armando?
Almeno… un 40% del pubblico del film. E’ un’idea molto condivisa.

Possiamo chiederci come mai uno spettatore possa arrivare a questo tipo di interpretazione? Armando è da te ripreso come un villain con sempre la stessa giacca, sempre lo stesso modo di camminare, sempre le stesse camicie a mezza manica, sempre la stessa acconciatura. E’ così definito in modo netto dal punto grafico… che ricorda un villain hollywoodiano. A me ha ricordato molto Travis Bickle di Taxi Driver, soprattutto per quanto riguarda il suo modo di mettere le mani in tasca e camminare compatto e chiuso in se stesso. Un villain hollywoodiano, o uno psicopatico represso come Travis, è di solito un calcolatore. Non pensi che a livello subconscio… uno spettatore mediamente colto possa pensare questo per come tu hai costruito il personaggio e lo fai muovere nel film?
Interessante… può essere. Certamente per quanto riguarda la giacca è accaduto qualcosa che va nella direzione che dici tu.

Cioè?
Alfredo Castro ha preso quel giubbetto e non l’ha più lasciato. Ne era ossessionato. Non permetteva a nessuno di toccare quella giacca. Abbiamo effettivamente creato un personaggio visivamente così definito da acquistare, per un pubblico cinefilo cresciuto con tanto cinema americano, l’idea effettivamente che possa essere una sorta di uomo trascendente come spesso fa il cinema Usa.

E questo mi porta parlare del cinema di genere. E’ un dramma arthouse ma è anche un thriller erotico. E’ lungo solo 90 minuti… come un thriller. Ma tu come ti poni nei confronti del bel cinema di genere hollywoodiano? Penso ai thriller erotici di Brian De Palma dei primi anni ’80 ad esempio…
Li adoro! E’ effettivamente strano che tu li tiri in ballo perché quando ero adolescente… adoravo l’horror e i thriller. E sì… quel periodo di De Palma che va da Vestito Per Uccidere (198o) a Omicidio a Luci Rosse (1984)… ebbe un impatto molto profondo su di me. Quindi può essere che ora io riproduca oggi qualcosa in quel senso cinematografico lì. Può essere. Anche Dario Argento fu molto importante per me.

E finalmente un film arthouse che dura solo 90 minuti. Non i canonici 120 che sembrano necessari per fare un film da festival drammatico…
Ti farà ridere sapere come sono arrivato a 90 minuti.

Raccontacelo…
Sono arrivato in sala di montaggio che non sapevo assolutamente se avrei voluto fare un film lungo o un film corto. Sono arrivato al montaggio e il primo final cut… durava 3 ore e mezza!

Non ci posso credere…
Il film era orribile a 3 ore e mezza. Orribile. Ho deciso di rimetterci le mani con il montatore e dopo 8 mesi di montaggio… sono arrivato a 90 minuti. A un certo punto ho capito quello che capiscono tutti i registi esperti: non è importante la durata ma il ritmo del film. Quando ho capito questo… ho capito che 90 minuti era la durata perfetta per Ti Guardo.

Ultima domanda: ma è vero che stai lavorando alla fine della tua trilogia per il prossimo film?
Sì, è vero. Prima c’è il corto Los Elefantes Nunca Olvidan (2004), poi c’è Ti Guardo e poi punto a The Box.

Che ci puoi dire di The Box?
Un ragazzo va verso una fossa comune dove è seppellito suo padre. In Messico. Lì gli danno una scatola con le ossa. Lui ha 14 anni e ha appena saputo che suo padre era stato seppellito in una fossa comune. Sua nonna lo ha incaricato di andare lì… e prendere le ossa.

E poi… ancora mistero?
Sì, certo. Molto mistero. Infatti non ti dico niente di più. Posso solo confermare che sarebbe la fine di una trilogia per me, che la sceneggiatura è ufficialmente finita e che, se tutto va bene, conto di cominciare le riprese questo settembre 2016.

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