In copertina: foto di Lorenzo Burlando

Roger Deakins tiene subito a precisare una cosa: “Non sono un fotografo. Sono un direttore della fotografia”.

La sua filmografia certamente parla chiaro ed è in assoluto sbalorditiva la lista di registi e collaboratori di cui si è circondato lungo la sua carriera (alcune di lungo corso, come quella con i fratelli Coen, Denis Villeneuve, Sam Mendes). È però assieme alla moglie e collaboratrice James Ellis Deakins che questo ha curato un suo progetto più personale, una raccolta di fotografie in bianco e nero che Damiani ha edito in un volume dal titolo “Byways” e che Cineteca di Bologna ha deciso di omaggiare attraverso una mostra dall’omonimo titolo nel cuore di Bologna.

In occasione della conferenza stampa di presentazione di Byways abbiamo parlato con Roger Deakins a proposito della sua carriera nel cinema e della sua passione per la fotografia.

Hai vinto due Oscar per la miglior fotografia, il primo con Blade Runner 2049 e il secondo con 1917, film che sono stati certamente una sfida a livello visivo. Ci sono però altri film che hai fatto che secondo te avrebbero meritato quel riconoscimento?

In realtà non ci penso proprio, non è una questione di Oscar. Però sì, ci sono un paio di film a cui ho lavorato con i giusti registi ma che sono poi non sono andati bene al botteghino – e non ho mai capito perché. Questo vale ad esempio per alcuni dei miei preferiti come Jarhead di Sam Mendes. Non molti l’hanno visti mentre penso che sia un film che meriti. Lo stesso vale per Le alì della libertà di Frank Darabont, quando è uscito al cinema nessuno è andato a vederlo: solo dopo che è stato pubblicato nel mercato home-video la gente l’ha scoperto. 

Io ho amato alla follia L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford di Andrew Domink, che poi è forse un altro esempio di ottimo film rimasto abbastanza di nicchia.

Oh si certamente, è anche uno dei miei preferiti!

Che poi sarebbe impossibile fartene sceglierne solo uno tra tutti quelli che hai fatto…

No, poi è una cosa che dipende anche da giorno a giorno, dal mood in cui sono, come qualsiasi altra cosa. Però uno dei miei preferiti in assoluto è Orwell 1984 di Michael Radford: in parte perché è stato il primo film da grande studio a cui ho lavorato, ma poi perché c’erano John Hurt e Richard Burton, due attori davvero iconici. Amo quel film perché ho un legame sentimentale con esso ma anche perché la trovo un’interpretazione bellissima del romanzo di Orwell.

E per quanto riguarda l’ultimo film che hai realizzato, ovvero Empire of Light di Sam Mendes, puoi dirci qualcosa?

È totalmente diverso da 1917. È un piccolo film di personaggi che parla di una donna che lavora in un cinema di fronte al mare in una piccola città inglese. Parla di molte cose, ma in primis è un film sull’idea di comunità e su come le persone possano sostenersi a vicenda in un piccolo ambiente.

Roger Deakins 2
Foto di Lorenzo Burlando

Venendo però al motivo per cui sei qua, ovvero la mostra delle tue fotografie: rispetto a questo tipo di produzione, ci sono artisti o figure che reputi dei riferimenti chiave?

Quando ero piccolo dipingevo e volevo diventare pittore, così sono andato ad un Art College. È stato lì che ho scoperto di amare la fotografia, tramite un fotografo chiamato Roger Mayne, un famoso street photographer degli anni Cinquanta e Sessanta in Inghilterra. È venuto ad insegnare dove studiavo giusto un paio di giorni, ma conoscerlo e parlare di fotografia con lui ha iniziato il mio interesse per le immagini “del mondo reale” e non più quelle pittoriche. Però potrei nominarti tanti altri fotografi come Tony Ray-Jones, che è morto molto giovane e che è uno dei miei idoli.

A proposito del rapporto tra il suo lavoro nel cinema e la sua produzione fotografica, Deakins ci tiene però a precisare che

Non sono un fotografo. Le fotografie sono obiettivamente il mio hobby, il mio relax dove sono solo io, mentre in un film lavoro con attorno grandi team, dove sì c’è il mio occhio ma anche una collaborazione con altri. Le fotografie sono il mio lato personale. Per me la fotografia è proprio uno stato d’animo, quando lo sento esco con la macchina fotografica appositamente (e non faccio fotografie con il cellulare, non è una cosa che mi interessa), anche come scusa per esplorare dei luoghi. È difficile però che io mi faccia da prima un’idea di un’immagine che mi piace e che voglio fotografare.

Io fotografo solo in bianco e nero perché la composizione dell’immagine “mi suona” proprio in bianco e nero. Ci sono altri fotografi che fanno foto stupende a colori, ma la mia immagine è in bianco e nero.

Quando è uscito il libro Byways”, dice la moglie e collaboratrice James Ellis Deakinslo abbiamo mandato a Joel Coen, nostro amico da tanto tempo. Dopo averlo guardato ci ha detto proprio “Sai Roger? Dopo aver visto questo libro credo di conoscerti un po’ meglio””.

Parlando con Deakins proprio dei fratelli Coen questo ci ha detto di non sapere bene il motivo per cui ora i due non facciano più film insieme, ma che in un certo senso “un po’ è stato Joel a trascinare Ethan in questa cosa del cinema. Diciamo che tra i due Ethan non era proprio il più appassionato“, ma che comunque “ora Ethan sta girando un suo film in Pennsylvania“.

La mostra Byways aprirà a Bologna nel sottopasso di Piazza Re Enzo il 17 novembre e rimarrà aperta fino al 15 gennaio. L’ingresso è gratuito.

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