Dopo più di qualche flop (Admission – Matricole Dentro o Fuori, Being Flynn, Aiuto Vampiro) e più di qualche successone (diretti in coppia con il fratello Chris: American Pie, About a Boy), la filmografia del cinquantenne newyorchese Paul Weitz si presenta oggi come una delle più bizzarre di Hollywood. Regista in grado di passare da commedione grossolane come Vi Presento i Nostri (2010; 100 milioni di budget) a minuscoli progetti indy come Grandma (2015), commedia agrodolce dove Lily Tomlin (nominata all’Oscar nel 1976 per Nashville di Robert Altman, N.d.R.) è una scorbutica poetessa lesbica ultrasettantenne andata in soccorso della giovane nipote alle prese con una gravidanza indesiderata. Si unirà a loro in questa pazza giornata losangelina di incontri bizzarri e fantasmi del passato anche la madre della ragazza incinta, nonché figlia rancorosa ed in carriera della scorbutica poetessa hippie. Questo trio di generazioni di donne americane animerà un film che ha di fatto rianimato la carriera di Weitz avendo già incassato dieci volte il suo budget (6,6 milioni di dollari al box office solo in Usa a fronte di 600 mila di budget) e avendo generato già un discreto Oscar Buzz. Non è da escludere che il regista nominato per Miglior Sceneggiatura Non Originale nel 2003 per About a Boy, dividendo la nomination con Peter Hedges e il fratello Chris, riesca nel colpaccio di tornare in cinquina stavolta per Best Original Screenplay ai prossimi Oscar 2016. Abbiamo incontrato Paul Weitz alla Festa del Cinema di Roma dove Grandma è stato presentato in anteprima italiana dentro la sezione Alice nella Città. Sarà nomination per Lily Tomlin come Miglior Attrice? Ecco il resoconto della nostra chiacchierata in esclusiva con Paul Weitz. Il film al momento non ha ancora distribuzione italiana.

 

alo weitz

 

Come sei arrivato a decidere di voler fare Grandma?
Ho imparato dai miei errori. Da giovane volevo essere un drammaturgo e volevo sostanzialmente lavorare nel teatro. Invece ormai mi ritrovo ad essere un regista arrivato alla decima pellicola e purtroppo ho scoperto di non essere quel tipo di regista che fa sempre un film più bello rispetto a quello precedente. Nel mio caso… ho imparato dagli errori e ho imparato a non sprecare l’energia. Si trattava di capire cosa volessi fare e come potessi cambiare linea rispetto ai miei errori del passato. E così sono arrivato a Grandma.

L’impostazione così produttivamente pauperistica era chiara fin dall’inizio?
Sì. Sapevo che l’avrei fatto con 600 mila dollari che per i miei standard… era come non avere budget. Una volta calato così tanto il budget ero libero di fare quello che volevo perché il film non era desiderato da altri se non da me. Ero solo e libero. La semplicità era essenziale. Con l’esperienza sono arrivato a pensare alle inquadrature di cui non avevo bisogno e alle scene di cui non avevo bisogno. Avevo già capito che non mi sarei dovuto perdere più di tanto con gli attori nel cercare di sperimentare qualcosa di diverso ogni giorno. Avevo imparato a fidarmi degli attori. Una volta fatto il cast… il film cambia e ho imparato sulla mia pelle ad accettare il fatto che gli attori possano modificare il film che ho in testa. Avevo chiaro anche il fatto che non avrei voluto manipolare più di tanto lo spettatore per cui al montaggio era già arrivato un film senza grandi climax o scene madri che portassero lo spettatore volutamente in una direzione. E’ questa forse la novità maggiore per quanto riguarda il mio modo di essere regista: aver cercato meno di prendere per la mano lo spettatore.

Al montaggio dunque hai lavorato molto poco?
E’ stato il montaggio meno faticoso di tutta la mia filmografia. Ho tagliato delle gag che magari erano divertenti e sono sicuro che erano divertenti… ma rendevano la situazione troppo paradossale e grossolana. Ho tagliato molte battutone da risata.

Mi dici come nasce invece il soggetto Grandma nella tua testa?
In relazione a uno dei miei ultimi fallimenti ovvero Admission – Matricole dentro o fuori (2013; in Italia uscito nel mercato homevideo nel 2014, N.d.R.).

Avrei pensato più in relazione a Being Flynn (2012), il film che sembra il fratello gemello di Grandma visto che un’altra icona anni ’70 come Robert De Niro fa il parente idiosincratico con un lato letterario di un esponente della nuova generazione. Sembra un dittico. Non lo è?
No. Anche se è vero che i due film si somigliano. Anche Being Flynn è stato un bel fallimento commerciale. No… diciamo che la voglia di pensare alla storia di Grandma è nata come reazione a come erano andate le cose con Admission ma in realtà il film me lo portavo dentro da qualche anno ma con delle variazioni.

Quali?
Il protagonista all’inizio era un uomo. Sarebbe dovuto essere un nonno e non una nonna. Poi ho incontrato Lily Tomlin e tutto è cambiato. Dopo averla incontrata una sola volta ho riscritto la scena iniziale: una nipote arriva dalla nonna per chiederle i soldi per andare ad abortire. L’idea che mi stuzzicava era avere due personaggi che non avrebbero mai pensato in quella giornata di poter dare l’inizio a un film. La nipote arriva solo per chiedere i soldi ed andare via mentre la nonna sta addirittura passando un momento di malinconica solitudine dopo una brutta rottura sentimentale. Quello che mi stuzzicava era la battuta della nonna: “Non ho i soldi ma posso rimediarti i soldi”. Questa battuta fa cominciare il film perché la nonna porta la figlia dentro una grande avventura.

C’è l’idea della nonna che ti fagocita in reazione a un tuo rifiuto naturale di voler stare con lei?
Sì. Quante volte ci è capitato di andare dai nostri nonni, pensare di starci solo qualche minuto e poi essere rapiti da questi vecchietti? A me… molte volte. Sicuramente il film viene da queste mie esperienze.

Hai poi adattato questo plot solido alla personalità di Lily Tomlin?
Ho pensato: “La mia nonna è Lily Tomlin. Tutto il film deve adattarsi a lei”. Se fosse stata un’altra attrice, sarebbe venuto fuori un altro film. Lily può essere dolcissima e incavolatissima nel giro di cinque secondi. Hai mai visto il video in cui litiga con David O. Russell sul set di I Heart Huckabees – Le Strane Coincidenze della Vita?

Sì…
E’ chiaro che lei ha dato quella linea. E così è stato. Il momento in cui ho sentito la sua voce nella prima scena che abbiamo girato… ho capito che tipo di film sarebbe venuto fuori.

Mi racconti qualcosa della scena con Sam Elliott perché ho avuto la sensazione che sia stata in parte improvvisata (la nonna e la nipote in cerca di soldi si imbattono in un ex etero della nonna interpretato dal caratterista californiano indimenticabile nel ruolo del narratore ne Il Grande Lebowski, N.d.R.). E’ stata improvvisata come sembra?
Sì… molto. Quando cominciai a girarla quel giorno pensavo che sarebbe stata una scena anche con della minaccia dentro. Non l’avevo finalizzata perfettamente in sceneggiatura e certamente Sam e Lily hanno inserito dei bei tocchi di vulnerabilità dentro la linea della minaccia. Il film si è riscritto da solo mentre stavamo girando. Soprattutto per quanto riguarda quella scena.

Come è possibile che un uomo sia riuscito a raccontare così bene tre generazioni di donne americane. La nonna (una femminista anni ’70), la madre (la figlia della nonna; una working woman anni ’80), la nipote (la generazione y). Hai parlato con delle donne, hai avuto consulenti? Come è sei arrivato a una tale femminilità nella scrittura?
Non lo so… io peraltro adoro i film con i maschi protagonisti. Io non lo so come debba essere un undicenne alienato ma con Chris penso che ce l’abbiamo fatta a raccontarlo bene in About a Boy.

Ma lì c’era anche l’aiuto di Nick Hornby come romanziere di riferimento. In questo caso hai fatto tutto da solo e hai raccontato la donna americana di tre generazioni molto specifiche. Come è possibile?
Ho fatto un tentativo. Possiamo forse dire che ho fatto un tentativo, ho gettato l’amo oppure ho tirato un colpo. Qualche volta proviamo a fare dei tentativi su dei personaggi a noi estranei e qualche volta li facciamo anche su personaggi simili a noi stessi. Quello che voglio dire è che… evidentemente in me c’è in questo momento un bisogno di raccontare queste tre generazioni di donne americane e soprattutto… volerle vedere unite. Oltre non mi spingo. Per scavare più a fondo dovrei andare dallo psicanalista. Anche per quanto riguarda me stesso… a volte non ti saprei dire perché faccio quello che faccio. Io non riesco ad essere così autoanalitico. Nel caso di Grandma sono uscito fuori di me e ho trovato questi tre personaggi di donne. Voglio però continuare a dirti che… nel film non c’è mai la voglia di imporre allo spettatore quello che io penso di aver capito circa le donne. Ecco… penso che non ci sia mai questo atteggiamento. Non penso di averti dato una buona risposta. Io sono solo contento che… sia successo. Lo so. Sembro un idiota. Ma è così.

E ora? Ti rendi conto che Grandma è l’ennesima mossa originale di una carriera molto, molto, molto bizzarra? E’ cambiato il tuo modo di pensare alla regia?
Posso solo garantirti che ci saranno altri fallimenti. Ne sono sicuro. Facciamo così: speriamo che per ogni due fallimenti… arrivi un film come Grandma… così riesco ancora a fare questo mestiere.

Ma come lo vedi il tuo futuro?
Non voglio più essere preoccupato. Ma non voglio più nemmeno essere tranquillo. Non voglio pensare di sapere tutto. Voglio ancora gettarmi in produzioni bizzarre.

Lavorerai ancora a basso budget?
Ecco… se c’è una cosa di cui sono sicuro dopo Grandma… è che non voglio più fare per un bel po’ un film da 100 milioni di dollari di budget. Mi sono trovato benissimo con la cifra di Grandma.

 

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