Una delle frasi che si sentono più spesso pronunciare nel corso di 1997 – Fuga da New York è (una qualche variazione sul tema di) “ah, pensavo fossi morto”. È la prima reazione che tre quarti del cast ha quando si trova di fronte il protagonista Snake (o Jena se preferite) Plissken, ex eroe di guerra diventato criminale e ritenuto morto da più o meno chiunque, compresa un sacco di gente che non l’aveva mai incontrato prima e ne conosceva solo la leggenda. Questo dettaglio ci è tornato in mente leggendo alcune recenti dichiarazioni di Kurt Russell sul film di John Carpenter, che a loro volta ci hanno scatenato una serie di riflessioni sull’importanza del cominciare bene i film, e anche quella di riconoscere quando qualcosa (un’idea, una battuta, un’intera sequenza) è dannoso, e va quindi espunto dall’opera senza pietà.

1997 – Fuga da New York, Nixon e Reagan

Prendiamola alla larga, prima di arrivare a quell’incipit. 1997 – Fuga da New York è uno dei film più politici di John Carpenter, ma a differenza di altri suoi film politici (pensate a Essi vivono) non viene sempre riconosciuto come tale: come il precedente Distretto 13 – Le brigate della morte, il secondo lungometraggio della carriera di Carpenter, anche 1997 è prima di tutto un action, con un ritmo e una densità di azione da film di genere. La politica è (relativamente) nascosta, e resa esplicita soprattutto nelle sequenze iniziale e finale. Questo perché il film venne scritto per la prima volta nel 1976, subito dopo il famigerato Watergate: Carpenter decise di raccontare una storia che parlava della sfiducia del popolo statunitense nei confronti delle istituzioni, anche di quella massima rappresentata dal Presidente.

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Il film però uscì cinque anni dopo, a meno di sei mesi dall’elezione di Ronald Reagan e dunque da un cambio di prospettiva sulle questioni istituzionali che prometteva, almeno all’inizio, di rivoluzionare la politica e la società americana tutta. Poi le cose andarono un po’ diversamente e Carpenter ne riparlerà a modo suo nel succitato Essi vivono; ma al tempo Reagan rappresentava una novità, un modo per voltare pagina dopo gli scandali di Nixon. E quindi Carpenter lavorò ulteriormente al suo script, smussando un po’ questo specifico angolo politico e arrivando a girare quella che secondo lui era una versione futuribile e distopica di film “da giungla urbana” tipo Il giustiziere della notte.

Un film dove fanno tutti schifo

Una delle conseguenze di questo lieve slittamento di senso fu che alcune idee che erano state programmate, e in certi casi anche già girate, si rivelarono fuori posto, e se fossero rimaste nel montaggio finale avrebbero snaturato il senso del personaggio di Snake, e pure di tutto il resto del film. Questo senso è, per riassumere all’estremo: 1997 – Fuga da New York è un film di gente che fa schifo. È popolato (quasi) interamente da personaggi negativi, immorali ciascuno a modo proprio, in un contesto nel quale se per qualche motivo mantieni ancora una scintilla di positività la cosa più probabile è che diventi vittima, o nella migliore delle ipotesi tappezzeria senza personalità.

1997 - Fuga da New York grossone

È (relativamente) difficile individuare i cattivi in un film nel quale non ci sono buoni: 1997 – Fuga da New York è una storia di gente con un’agenda, e di agende che inevitabilmente si scontrano. È ambientato in un mondo per il quale ormai non c’è più speranza, che ha superato il punto di non ritorno: nessuno, e sicuramente non Snake, pensa più che sia possibile invertire la marcia. Certo, magari il mondo fuori dall’isola-prigione di Manhattan ha ancora, qui e là, i suoi angoli di pace e amore. Ma tanto noi questo mondo non lo vediamo, e il suggerimento più subdolo del film è quello che quanto succede a Manhattan sia in realtà un’anteprima del destino dell’intero pianeta.

Crime, it’s the way I fly to you (Snaaaaake)

(scusate, quella era un’altra cosa)

Spiegato il contesto, arriviamo quindi alle dichiarazioni di Kurt Russell, che potete leggere qui. L’attore parla di una cosa già nota ai fan del film: l’esistenza di un’intera sequenza iniziale, girata da Carpenter e poi tagliata dal montaggio finale, e rimasta custodita fino al 2003 nella miniera di sale di Strataca, in Kansas (ora la trovate nelle edizioni home video del film, ma solo come extra). È una scena che avrebbe dovuto servire per introdurci il personaggio di Snake: una rapina in banca alla fine della quale il protagonista viene beccato e portato in carcere a Manhattan. Non solo: viene beccato non perché non sappia fare il suo mestiere, ma perché, invece di scappare quando arrivano le guardie, si ferma a soccorrere un compagno ferito.

Professore

È un classico incipit che oggi rimarrebbe al suo posto, perché permette di dare subito una connotazione positiva al personaggio e qualificarlo quindi indubbiamente come “eroe”. Magari imperfetto e un passo dall’avere il prefisso “anti-“, ma pur sempre un eroe, che ha sacrificato la propria libertà per non lasciar morire un amico. “Lo stavamo mostrando con una sorta di qualità salvifica” dice Russell. “John Carpenter decise, giustamente, che Jena non doveva essere caratterizzato da qualità di questo tipo, non desiderava alcuna redenzione”. Lo Snake che finisce in galera per altruismo e buon cuore è uno Snake più vendibile a livello mainstream, ma è anche un personaggio completamente diverso dal solitario amorale ed egoista che ci viene presentato dal momento in cui mette piede a Manhattan.

Ecco perché, per quanto si tratti di una bella sequenza, concordiamo di cuore con Russell e Carpenter: 1997 – Fuga da New York è un film nel quale non c’è spazio per eroi dal cuore d’oro. Quello che fa Snake in quella scena non è solo fuori personaggio: è fuori dallo spirito dell’intero film, o se preferite è contrario al worldbuilding. È un bene che sia stata tagliata: il film ne guadagna in crudeltà e cattiveria, e quindi in capacità profetica.

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