After Work, il nuovo documentario di Erik Gandini, dal 15 giugno in sala, immagina un futuro in cui l’uomo sia liberato dalla necessità del lavoro. La base teorica, su cui il film espande al sua idea, è quella del pensiero di Noam Chomsky, professore dell’MIT, linguista, filosofo e teorico della comunicazione. 

Nel mirino del suo pensiero politico vi sono i centri corporativi delle società industriali come un soggetto che altera il mercato e il mondo del lavoro in loro favore, lasciando indietro le persone. Il lavoro come uno strumento di controllo, in cui l’uomo è costretto a rinunciare a una parte di sé, ovvero l’ingegno libero, per uno scambio. Tempo e azioni in cambio di un salario. Ma se la tecnologia potesse liberarci dal bisogno di compiere azioni, dando così più tempo per concentrarci sull’innovazione e sul piacere, cosa succederebbe alle nostre società?

Per fare ordine nel pensiero chomskiano, presente in After Work, bisogna partire da un’idea controintuitiva. Perdere il lavoro per “colpa” dell’avanzamento della tecnologia potrebbe essere la via per una nuova umanità. 

After Work: ripensare la società e ripensare il lavoro

Perché questo avvenga occorre ripensare la società e il mondo del lavoro, proprio alla luce dei cambiamenti che avverranno in futuro. Il sistema entro cui viviamo deve indirizzarsi a garantire la piena realizzazione umana. In questo rientra come elemento centrale il mondo del lavoro che crea schiavi e schiavisti. Questi sono inconsapevoli del proprio ruolo in un sistema indottrinato, controllato e disciplinato. Colpa dell’insieme di regole e obblighi tacitamente accettati all’interno della società.

In After Work, Gandini prende questi concetti per mostrare attraverso i suoi intervistati quanto la professione sia talvolta parte integrante dell’identità. È così incastonata nell’io che, quando viene rimossa, crea dei vuoti che distruggono. Come nel caso della società della Corea del Sud, incapace di immaginare del tempo libero. Volontariamente gli impiegati si sottopongono a turni di 14 ore, abbandonando di fatto affetti e famiglia. 

Alle stesse costrizioni devono sottostare i “wage slave”. I lavoratori costretti alle condizioni più umili e dure, disposti a tutto pur di ricevere il salario da questa occupazione perché da essa dipende l’interezza del proprio sostentamento. Questo impedisce qualsiasi tipo di ribellione, se non una passiva accettazione per la sopravvivenza. Questi lavori sono quelli che nessun altro vuole fare, i più duri o i più rischiosi. Vengono mostrati da Gandini in Kuwait come la forza lavoro che permette la totale inattività di altre fasce di popolazione. Quella del Kuwait, paese arricchitosi alla svelta, è una distorsione. Lì molti dipendenti pubblici non servono. Nonostante questo vengono chiamati in ufficio e ricevono uno stipendio pur nell’inattività.

Lavoro e formazione

Statistiche indicano che, per valutare un’assunzione, il livello di istruzione conta poco per i datori di lavoro statunitensi. Il fattore determinante è l’etica del lavoro del sottoposto. La posizione di Noam Chomsky verso il sistema educativo è critica e lega sia l’aspetto etico che quello puramente cognitivo. La scuola, dice, è un sistema che stimola la passività e un atteggiamento acritico. Lo studente, per riuscire, deve fare ciò che gli viene detto dall’istituzione (scuole, università). 

La scalata ai vertici del sistema educativo si fa rispettando le regole, uniformandosi alle azioni impartite in maniera acritica. Questo permette di creare lavoratori che diventino esecutori di azioni. Si prende una parte del proprio tempo vigile e la si scambia per uno stipendio. Questo concetto del lavoro come scambio di tempo si ritrova in After Work nei lavoratori del Kuwait. Non importa che si debba fare o non fare qualcosa. L’importante è esserci, essere in ufficio anche se non si serve.

Lo scopo dell’educazione, per Chomsky, è invece aiutare le persone a pensare in autonomia. Stimolare il pensiero critico, e quindi anche la ribellione verso questi sistemi. E soprattutto a valorizzare naturali propensioni di un individuo invece che frustrarle. Sono queste che dovranno essere il centro di un mondo senza lavoro dove l’unico lavoro potrà essere volontario e libera espressione di sé. Ma come raggiungere questa utopia?

Noam Chomsky After Work

Macchine, rubateci il lavoro!

Secondo il linguista Wilhelm von Humboldt, a cui si rifà Chomsky, la condizione necessaria per cui un’occupazione, anche la più soddisfacente, possa produrre un effetto positivo è la libertà. Qualsiasi azione non scelta dalla libera volontà dell’uomo, qualsiasi costrizione, gli impedisce di diventare parte della sua natura. L’occupazione rimane a lui aliena. Se l’uomo esegue questi compiti li fa non con energia umana, ma con idee meccaniche. 

In una delle conferenze più recenti (mostrata anche in After Work) Chomsky usa questo esempio: se un artista producesse qualcosa di bellissimo sotto il controllo diretto di qualcuno, potremmo ammirarlo, ma lui disprezzerà ciò che è. Uno strumento nelle mani altrui, non un libero essere umano. 

Secondo Adam Smith un’azione meccanica e ripetuta rende stupido l’uomo. L’unica condizione sociale accettabile è quindi usare il proprio potere creativo. In questa prospettiva allora il progresso tecnologico deve venire guidato perché le automazioni vadano a occuparsi dei lavori necessari al sostentamento, liberando l’uomo da questo bisogno. Quanto lavoro è serve per il funzionamento minimo della società? Una volta quantificato si dovrebbe indirizzare il progresso ad assolvere questi compiti. Il fine ultimo: non rendere più nessun lavoratore necessario. Liberare così l’ingegno dalla necessità e aumentare il piacere e la soddisfazione del lavoro. 

I pericoli dello schiavismo 2.0 raccontati da After Work

Le macchine però oggi stanno andando nella direzione contraria. After Work mostra un’autista che lavora per Amazon. È controllata da cinque cineprese durante le sue azioni lavorative. Ogni ritardo o distrazione le viene notificato da una IA. Una condizione simile a quella mostrata da Ken Loach in Sorry We Missed You. In occasione della presentazione di quel film, Noam Chomsky e il regista hanno dialogato al Cinema Troisi sui temi dello schiavismo 2.0. Invece che liberare, l’intelligenza artificiale è diventata un sistema di controllo.

In quell’occasione Chomsky ha attaccato anche le parole del tempo presente: la flessibilità vuol dire lavorare da casa, ma di fatto significa farlo sempre. La modernità è spesso usata per mascherare la perdita di diritti. Nell’economia 2.0 prezzo e tempo interessano più del benessere del lavoratore.

After Work era già concluso quando sono emerse le nuove IA come ChatGPT e Midjourney. Il loro impatto sul mondo creativo è stato netto. Ne abbiamo parlato con Erik Gandini che invitava a chiedersi perché usare queste tecnologie per sostituire lavori creativi ed espressivi che magari piacciono a chi li esegue.

La posizione di Chomsky a riguardo è quella innanzitutto accademica. Ritiene che ChatGPT sia uno meccanismo Hi-Tech di plagio e un sistema che elude l’apprendimento. Sottolinea poi come il pensiero umano sia ben diverso da un motore statistico per la corrispondenza di schemi che si approvvigiona a infiniti dati per trarre conclusioni. Al contrario, dice, la mente umana è sorprendentemente efficiente nell’operare con piccole quantità di informazioni. Non inferisce correlazioni tra punti, ma crea spiegazioni. 

Il futuro del lavoro può, insomma, essere ancora a misura d’uomo.

Classifiche consigliate