Alive – Sopravvissuti è su Netflix

Un aereo che trasporta una squadra di rugby uruguayana sta sorvolando le Ande diretto in Cile quando una turbolenza lo porta a scontrarsi con il fianco di una montagna e a improvvisare un atterraggio di emergenza. Molti passeggeri muoiono nell’impatto o poco tempo dopo a causa delle ferite riportate, mentre chi si salva è costretto ad affrontare la terribile sfida di sopravvivere tra i ghiacci nell’attesa, forse nella speranza, dell’arrivo dei soccorsi. Spiegato così, Alive – Sopravvissuti potrebbe sembrare un film già scritto: un survival movie sotto zero, un The Revenant di gruppo, o se preferite La cosa senza l’alieno. E invece il film di Frank Marshall, uno dei registi meno prolifici della storia recente del cinema, riesce nell’impresa di risultare complicatissimo da affrontare e da analizzare, perché parte da un presupposto che divide più o meno nettamente l’intera popolazione mondiale in due gruppi.

Questo presupposto è: credete in Dio? Non necessariamente il Dio cristiano ovviamente, una qualsiasi divinità, monoteista, politeista, animista che sia. Credete all’esistenza di un’entità superiore, alla trascendenza, al fatto che la realtà che vedono i nostri sensi è solo una parte di un tutto più grande e ineffabile finché siamo legati alla nostra prigione di carne? Perché se la risposta è sì, Alive – Sopravvissuti è un’opera ispiratrice, una profonda esperienza spirituale che potrebbe farvi venire pessime idee riguardo alla vostra prossima meta vacanziera. Se la risposta al contrario è no passerete i 120 minuti del film a farvi domande tangenziali tipo “ma è possibile che non abbiano perso neanche un chilo dopo due mesi senza mangiare?”. Comincia tutto con questo monologo di un non accreditato John Malkovich

 

 

che mette subito in chiaro che Alive – Sopravvissuti vuole sfruttare una situazione estrema per parlare d’altro in un contesto che amplifica la chiarezza e l’incisività di questo altro. La storia dell’aereo precipitato sulle Ande è vera, ed è stata raccontata da varie parti ma soprattutto in questo libro, che è servito come ispirazione anche per la sceneggiatura del film. La differenza è che la versione cartacea della storia, pur essendo parzialmente romanzata, si concentra molto sia sul realismo della situazione, descrivendo nel dettaglio le strategie usate dai sopravvissuti per continuare a campare, sia sulla psicologia del gruppo e sui rapporti umani – che non degenerano in eccessi in stile Signore delle mosche, ma sono comunque abbastanza complessi e stratificati da facilitare l’immersione durante la lettura anche a chi non ama particolarmente le variazioni sul tema Robinson Crusoe.

Alive – Sopravvissuti è scritto da John Patrick Shanley, premio Oscar alla miglior sceneggiatura per Stregata dalla luna e premio Pulitzer per Il dubbio, la cui sceneggiatura (sempre opera sua) sfiorò a sua volta un Oscar nel 2008. Non sappiamo perché Shanley abbia letto il libro di Piers Paul Read e abbia deciso che era perfetto per parlare di fede e di spiritualità, ma a un certo punto intorno al 1992 dev’essere successo. All’inizio non ce ne si accorge neanche: le prime sequenze post-incidente di Alive sono ancora concentrate su questioni pratiche, ferite da chiudere, provviste da razionare, decisioni da prendere. Molto presto, però, ci si rende conto che il film non è davvero interessato a questi aspetti della situazione, e che tutta la parte prettamente survival viene compressa nei primi, frenetici minuti. Dopodiché la situazione si stabilizza e, tra un boccone di carne umana e l’altro, arriva Dio.

 

Sopravvissuti

 

L’idea di Shanley è che la solitudine, la lontananza dalla civiltà, il contatto diretto per quanto forzato con la natura più selvaggia, siano la miglior scorciatoia verso l’infinito; e che nonostante la gente continui a morire e i soccorsi a non arrivare, contemplare una montagna innevata immersi nel silenzio delle Ande sia il modo migliore per confermare l’esistenza di Dio (o di un dio) e rivalutare e ribaltare dunque la propria vita da cima a fondo. Alive – Sopravvissuti non fa neanche finta di nascondere la sua opinione: più un personaggio è animato dal fervore divino maggiori probabilità ha di sopravvivere, mentre coloro che non sono riusciti a trovare Dio in mezzo alla neve sono condannati alla depressione e allo spegnimento esistenziale, o ancora peggio alla morte.

È un metodo di conversione un po’ estremo e decisamente rischioso, ma Alive sembra suggerire che non è necessario cascare da un aereo per vivere un’esperienza spirituale così forte: quello che conta non è tanto l’incidente quanto la solitudine, il ritrovarsi all’improvviso lontani dalla pazza folla a contemplare l’immensità del creato e la sua perfezione. Con il passare dei minuti Alive diventa sempre più rarefatto, sempre meno interessato alla corporeità di questi poveracci che stanno morendo di fame in mezzo alle Ande e sempre più concentrato su quello che succede nel loro cuore e nella loro anima.

 

Montagna

 

Ed è per questo che dicevamo che è difficilissimo parlarne: la vostra personale esperienza con il divino e il trascendente determinerà in maniera decisiva il vostro gradimento nei confronti del film – perché se lo guardate con l’idea di godervi un survival movie tra i ghiacci dovete prepararvi a una grossa delusione. Ed è inutile che proviate a ribattere dicendo che ci si può godere Alive come semplice esperienza estetica senza andare a scomodare quella spirituale: potete concentrarvi quanto volete sulla bellezza delle Ande, sullo sfondo resterà sempre una voce che vi sussurrerà il nome di Dio. Insomma, il film ha visto la luce; e voi?

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