Upgrade è su Netflix

Prima di cominciare, promettiamo che questo pezzo sarà come Upgrade: rapido, essenziale, senza fronzoli, persino a basso budget. Un breve momento di economia giornalistica che speriamo possa convincervi a guardare un film che sembra uscito dagli anni Ottanta e che ha avuto la sfortuna di arrivare al cinema poco tempo dopo l’uscita di un’altra opera apparentemente distante ma con parecchi punti in comune con il film di Leigh Whannell.

Primo punto in comune con il film accennato sopra, che per amore di chiarezza è Venom: Logan Marshall-Green. Logan Marshall-Green versione barbuta ha un’inquietante somiglianza con Tom Hardy, somiglianza accentuata dall’enorme quantità di primi piani che il film gli riserva. E come Tom Hardy in Venom, anche LGM in Upgrade viene posseduto da un’entità in grado di comunicare con lui e di controllare il suo corpo, dotandolo di poteri eccezionali.

 

Erin Fisk

 

Nessun alieno o simbionte, però, e soprattutto niente che possa far impennare il budget con effetti speciali vistosi: Upgrade è un film Blumhouse, costato 3 milioni di dollari, che si affida esclusivamente alla mimica di Logan Marshall-Green e ai virtuosismi di Leigh Whannell per costruire il suo spettacolo. E così, in una svolta cyberpunk che giustifica l’utilizzo di una palette quasi monocromatica per gran parte del film, il povero Grey Trace (letteralmente “traccia grigia”, per un film che usa le metafore con la delicatezza di una palla da demolizione) viene posseduto da un’intelligenza artificiale. Sviluppata da un genio recluso e visionario, Eron Keen, sorta di versione emo-sanremese di come ci immaginiamo che sia Elon Musk, il classico svalvolato convinto di avere tra le mani il futuro dell’umanità e che non si è fermato neanche un istante a pensare se dare autonomia di pensiero e azione all’IA più potente e avanzata mai creata sia una buona idea o no.

Sempre nel solco delle metafore sottili, Grey si ritrova il chip nel cervello perché è vittima prima di un incidente, poi di una rapina e infine di un tentato omicidio. Lui fa il meccanico e ama le cose analogiche, gli piace sporcarsi le mani e riparare auto d’epoca; e Keen è un suo affezionato cliente, che gli presenta il suo magico chip nel corso di una visita di cortesia. Al ritorno a casa succede tutto quanto: la macchina (elettrica e autoguidata, e della quale quindi Grey non si fida) sulla quale sono lui e la moglie Asha finisce fuori strada, e la coppia viene aggredita da un gruppo di brutte persone che sembrano volerli rapinare.

 

Asha

 

Va invece molto peggio: Asha muore, Grey sopravvive nonostante una pallottola nel collo si ritrova tetraplegico e confinato su una sedia a rotelle. È qui che Keen gli offre l’opportunità di provare il chip, chiamato Stem. Ed è grazie al chip che Grey acquista i poteri che gli servono per trovare i suoi assassini. In sostanza Upgrade è (anche) Il corvo, ma senza l’elemento soprannaturale e con meno cappotti di pelle.

È una storia vecchia come il mondo e declinata da Whannell nel modo più semplice possibile. Ci pensa quindi Logan Marshall-Green a darle tutto il pepe che le serve. Mettiamo in chiaro una cosa: la prestazione di Tom Hardy in Venom e il modo in cui viene gestito lo sdoppiamento di personalità è uno dei punti più alti del film. Quello che fa LMG in Upgrade, però, è forse anche meglio: senza l’appoggio di una creatura in CGI deve caricarsi sulle spalle il peso di un personaggio completamente paralizzato che ritrova la mobilità quando le sue azioni vengono controllate da un’avanzatissima intelligenza artificiale. È vero, passa tutto il film con la stessa espressione tra lo stupito e il rapito, ma possiamo perdonarglielo: è quella che avrebbe chiunque si trovasse nella sua situazione.

 

 

Quello che conta è che quell’espressione è perfetta per scene come questa qui sopra, nella quale Whannell frulla insieme movimenti di macchina assurdi e cafonissimi, coreografie chiare e godibili e ultraviolenza, facendo ruotare tutto intorno alla faccia allucinata del suo protagonista. Ce ne sono un po’ di scene del genere, tra risse, torture e inseguimenti in macchina, che fanno parlare i movimenti e le espressioni e la fisicità degli attori invece di usare le parole: Upgrade è un film d’azione nell’anima, che sa che le cose si possono spiegare, oppure si possono mostrare, e il cinema esiste prima di tutto per fare la seconda.

Fine, tutto qui: ve l’avevamo detto che saremmo stati brevi. Upgrade è un film senza pretese (nonostante qualche accenno a questioni di identità e umanità tipicamente cyberpunk, che viene però presto abbandonato in favore di altri omicidi) se non quella di intrattenere per un’ora a mezza a suon di schiaffoni, raccontando la complicata amicizia tra un tizio e un pezzo di silicio. Non è costato nulla, regala almeno tre o quattro sequenze di quelle che ti fanno tornare immediatamente indietro per rivederle, e finisce con l’arroganza di chi sa che volendo ci sarebbero ancora tante cose da dire. Da qualche tempo si parla di una serie TV; staremo pazientemente a vedere, ma a dirla tutta ci accontenteremmo dell’uscita di altri film “tipo Upgrade”: ne sentiamo tanto bisogno.

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