Per entrare nel mondo del cinema è necessaria, ieri come oggi, la cosiddetta “gavetta”. Un periodo di grande lavoro e poche soddisfazioni che serve a imparare i trucchi del mestiere e a farsi conoscere. Ed è proprio questo termine che lega Roger Corman, James Cameron, Sigourney Weaver e… un disastro scampato sul set di Aliens – Scontro finale.

Andiamo con ordine. La scuola di Roger Corman, cosiddetto regista di “serie b”, ovvero di quelle produzioni di ampio consumo “da cassetta” e dal basso budget, era una palestra per i giovani ambiziosi. Tra le sue fila si contavano anche Gale Anne Hurd, una giovane produttrice e James Cameron, che in quel tempo lavorava come modellista.

L’idea di sviluppare Aliens arrivò in un periodo in cui i sequel non avevano lo stesso successo delle opere originali, ma in cui si poteva sperimentare senza budget esorbitanti. Walter Hill e David Giler avevano lavorato allo script di Alien e stavano cercando di confezionare un seguito. Il nome di James Cameron attirò la loro attenzione.

Grazie a Terminator il regista canadese aveva fatto il grande salto. I finanziatori lo guardavano con interesse per come sapeva creare uno stile perfettamente moderno. Lavorava ottimizzando al massimo i pochi mezzi a disposizione, proprio come Corman gli aveva insegnato: duro lavoro e molto ingegno. Quando si mise al lavoro su Aliens, questa era la sua missione. Insieme a Hurd, che era diventata produttrice – nonché sua moglie – Cameron si stava giocando tutto. Doveva inanellare un secondo successo, stare nei tempi, non sforare il budget, e dare vita a una visione personale. Inoltre, doveva rivaleggiare con uno dei più sconvolgenti film di fantascienza di tutti i tempi. 

Come abbia fatto ad avere successo, è noto. Aliens si distacca dal primo cambiando genere, ampliando il personaggio di Ripley, proponendo effetti visivi all’avanguardia, con un gran senso dell’azione e dell’atmosfera (e molto altro).

 

aliens alien Neil Blomkamp

 

Eppure, fino a pochi giorni dall’inizio delle riprese, Sigourney Weaver, assoluta protagonista del film, non sapeva nemmeno che fosse in lavorazione. Accettò comunque di partecipare dopo avere letto lo script.

Per abbattere i costi tutta la produzione si svolse in Inghilterra. Le maestranze statunitensi lavorarono per molti mesi fianco a fianco con quelle locali, ma non tutto andò bene. E i segnali problematici arrivarono sin dall’inizio.

James Cameron e il suo Aliens non erano visti di buon occhio. Terminator non era ancora uscito in Inghilterra, pertanto per metà dei lavoratori il regista aveva ancora tutto da dimostrare. Era visto con ostilità, come l’americano che prende il posto di un inglese (Ridley Scott). Per fugare i dubbi organizzarono una proiezione del film per far conoscere al team l’uomo da cui avrebbero preso gli ordini. Tutti la boicottarono.

Cameron, dal canto suo, non vedeva di buon occhio le nuove routine lavorative, ben diverse da quelle massacranti di Corman. Gli inglesi non lavoravano come matti 7 giorni su 7. Si concedevano le pause tè e tenevano generalmente ritmi lavorativi più distesi (e umani). Cercava però di forzare la mano, li spingeva a fare sempre di più e sempre più rapidamente. E mentre questo accadeva si iniziava a costruire un muro di ostilità tra le parti. Mancavano totalmente di sinergia. 

Il clima sul set era quindi teso. Cameron si scontrava continuamente con il direttore della fotografia Dick Bush. Arrivati a uno stallo, lo licenziò. Il film stava andando troppo per le lunghe e non aveva tempo di discutere sulle scelte creative, così impose la sua autorità.

Nel frattempo Bill Paxton e Sigourney Weaver cercavano di tenere insieme Aliens. Invano.

James Remar, l’attore che interpreta Hicks, fu trovato dalla polizia londinese con della droga e anche lui fu espulso dalla produzione. Con i tempi sempre più stretti furono costretti a trovare soluzioni creative e a rigirare parte le scene in cui era presente l’attore, poi sostituito da Michael Biehn.

Un duro colpo per un regista super perfezionista che, al culmine della tensione, ebbe un crollo emotivo. Si risentì particolarmente quando, dopo ore che preparavano la scenografia per lo show-down finale, scattò l’ora del tè e tutti si assentarono a pochi minuti dalla battuta del ciak.

A fare traboccare il vaso fu però l’ennesimo licenziamento. L’aiuto regista Derek Cracknell era schierato da parte della troupe, e manifestava un atteggiamento di sfida verso Cameron. Quando quest’ultimo lo fece licenziare, tutti i lavoratori smisero di rispondere alle richieste. Un ammutinamento in piena regola. La produzione era bloccata. Perdere giorni utili avrebbe comportato un esborso improduttivo che avrebbe distrutto la reputazione del regista e della produttrice.

Fortunatamente intervenne Sigourney Weaver. La star di Aliens era amata da tutte e due le fazioni, possedeva la giusta aura da star ed era nella posizione ideale per fare da mediatrice. Si fece avanti a nome di tutta la troupe e chiese un colloquio con la produzione. Il giorno dopo James Cameron si presentò a inizio giornata e fece un discorso in cui spiegava la difficile situazione. Aliens era in ritardo, i costi stavano lievitando e avevano poco tempo. Ma chiese anche scusa ammettendo di avere sbagliato, calmando così gli animi, soprattutto di coloro che erano dalla parte di Derek Cracknell. 

Fu quindi grazie all’attrice e alle sue doti diplomatiche se Aliens fu completato senza tramutarsi in un disastro produttivo senza precedenti.

Si presenta qui un bel what if?. Se Sigourney Weaver non si fosse proposta come mediatrice tra le parti, scongiurando così uno stallo della produzione, cosa ne sarebbe stato del futuro di James Cameron?

Fonte: Netflix 

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