Ci sono alcuni film che sembrano nascere per un vezzo di chi li fa. Nel 1982 usciva Creepshow ed era palesemente il parco giochi di Stephen King e George Romero che si toglievano la soddisfazione di lavorare insieme. Cinque episodi che attingono a piene mani dall’immaginario delle leggende metropolitane, tutti in bilico tra un tono horror e quello di commedia camp. 

Ad incorniciarli c’è un esilarante dramma famigliare: un padre scopre i fumetti del figlio. Si arrabbia oltremisura. Ma non è l’unico a farlo e il giovane reagisce proporzionalmente: ne nasce una lite durissima con il figlio che risponde a tono. I suoi fumetti, gli risponde, non sono peggio delle riviste erotiche che lui legge di nascosto. Seguono botte e minacce che sfociano in maledizioni e torture con bambola voodoo ad opera del ragazzino. È lui a dare inizio al film pregando i personaggi dei fumetti di prendere vita e vendicarlo.

Creepshow è la fantasia di un lettore di fumetti

Dentro Creepshow c’è di tutto. C’è Ed Harris con i capelli che viene ucciso da una lapide posseduta mentre la famiglia di sua moglie fa i conti contro un vecchio parente risorto. Era stato ucciso per sfinimento della figlia, e ora si vuole vendicarsi festeggiando in santa pace la festa del papà.

C’è una casa asettica e isolata dal mondo che si riempie di scarafaggi fino a uccidere l’unico abitante. C’è una cassa ritrovata in uno scantinato che contiene un terribile mostro antico. Sarà per due uomini la scusa perfetta per sbarazzarsi di alcuni “problemi” in famiglia.

Concept che potrebbero essere delle simpatiche creepypasta, versioni dozzinali e cartoonesche di Ai confini della realtà. Ma ci sono anche idee di casting straordinarie. Nell’episodio Alta marea Ted Danson duetta con Leslie Nielsen. Quest’ultimo stava attraversando il mutamento della sua carriera d’attore, specializzandosi di lì a poco nella comicità. In Creepshow è muscolosissimo e cattivissimo. Tortura le sue vittime seppellendole vive nella battigia, lasciando fuori solo la testa e li osserva da casa sua filmandoli mentre la marea si alza e li soffoca. Straordinario. L’episodio che più sembra nato dalla penna di King, sia per tensione che per struttura.

A proposito del re del terrore, è imperdibile il secondo capitolo La morte solitaria di Jordy Verrill in cui Stephen King interpreta un contadino ingenuotto. Recita come un performer consapevole di non essere in grado di fare quel mestiere. Così butta dentro facce assurde, imprecazioni e occhi strabici. Un meteorite arriva nel suo giardino. Sbagliando tutte le procedure possibili Jordy risveglia una sostanza aliena e se ne infetta… continuamente! Sulla pelle inizia a crescere un muschio alieno che si diffonde inesorabilmente su di lui e in tutto il circondario. 

Creepshow

La storia è basata sul racconto Weed, pubblicato sulla rivista Cavalier. Non tutti gli episodi sono basati su storie già raccontate, ma sono costruiti per omaggiare un mondo molto caro sia a King che a Romero. Quello dei fumetti underground, delle letture fatte di nascosto dai genitori sotto le coperte.

Un omaggio a ciò che faceva paura agli adulti

Così Creepshow, al netto delle sue ingenuità nel racconto, è un omaggio sentito ed esaltante al mondo dei fumetti. Stephen King rende omaggio alle pubblicazioni come Vault of HorrorHaunt of Fear, Tales from the Crypt che hanno spopolato tra il 1950 e il 1955.

Furono loro tra le maggiori fonti che scatenarono le ire del libro La seduzione dell’innocente. Il saggio dello psichiatra Fredric Wertham che associava (anti scientificamente e in malafede) gli atteggiamenti criminali della gioventù alla lettura dei fumetti. I fumetti horror erano un bersaglio assai facile.

L’inchiesta fu devastante per l’industria del fumetto. Diede vita a una durissima campagna di censura contro i fumetti. Le case editrici reagirono cercando di tamponare il problema creando l’organo di autocontrollo della Comics Code Authority. 

Così, se si guarda Creepshow sotto questa prospettiva, viene da tifare fortissimo in favore di King e Romero. Il loro più che un film è un atto di protesta, un dito medio fatto al perbenismo, una presa di posizione netta: noi siamo il bambino a cui volete impedire di leggere “zozzerie”. Noi ci vendicheremo.

Creepshow è un film intriso di nostalgia?

Certo, negli anni ’80 il clima era decisamente cambiato, e il tutto appare un po’ fuori tempo massimo. Eppure Creepshow fa tenerezza (e fa godere moltissimo) per come ci riporta nostalgicamente agli anni delle proteste adolescenziali di qualsiasi epoca. Naviga con una bussola ben sicura per farci rivivere il senso del proibito che si prova in quell’età. Lì dove tutto è da scoprire e dove ancora le irrazionali paure ci portano a pensare che tutto possa diventare pericolo. 

A tutto questo si aggiunge il tentativo di replicare l’aspetto visivo dei fumetti: didascalie e vignette, split screen coloratissimi che stemperano il tono del film. Un cinecomic ante litteram, quando ancora si riteneva che per trasporre le tavole si dovesse adottare lo stesso linguaggio grafico. In ogni momento ci si sente dentro a un film, o meglio, ad un’operazione audiovisiva. È questo che rende il film indefinibile. L’incontro tra due giganti della paura che di brividi ne dà ben pochi, di risate molte. Un film raffazzonato, che sceglie però volontariamente di non inseguire la qualità, per mandare però il suo messaggio a chi, probabilmente, in quegli anni non avrebbe mai visto Creepshow

Suona, più o meno, così. La delegittimazione dei racconti popolari e di paura non ha effetto su chi li fa. Più i ben pensanti li nasconderanno, più questi emergeranno dalla terra per afferrare i vivi. Gli autori continueranno a scrivere e a raccontare fatti incresciosi, personaggi mostruosi e a “deviare” la mente dei giovani. Lo faranno divertendosi un mondo. E divertendo. Gli altri siano maledetti.

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