Glass Onion: Knives Out esce su Netflix il 23 dicembre

Ci sono ruoli, per un attore, da cui è difficilissimo discostarsi.

Si tratta di quei ruoli che, per un singolo film o come più spesso accade per grandi saghe cinematografiche, sono diventati cult fino a confondersi quasi del tutto con l’identità di chi li ha interpretati: Daniel Radcliffe come Harry Potter, Elijah Wood come Frodo Baggins, Mark Hamill come Luke Skywalker, Renée Zellweger come Bridget Jones, Milla Jovovich come Alice di Resident Evil. Se per questi è stato difficilissimo, se non impossibile, discostarsi dai loro personaggi, ci sono però esempi di attori/attrici che tramite ottime scelte (i film da interpretare, l’interpretazione richiesta in tali film, la distanza di tempo tra un film e l’altro) sono riusciti a entrare e a uscire dal loro “storico” personaggio con apparente facilità: tra questi l’esempio più emblematico degli ultimi anni (insieme forse solo a Robert Pattinson) è proprio Daniel Craig.

Mentre era 007, Daniel Craig è stato anche un attore frustrato (Flashbacks of a Fool), un soldato che combatte contro i nazisti (Defiance – I giorni del coraggio), un cowboy (Cowboys and Aliens), un padre alle prese con il soprannaturale (Dream House), un giornalista da noir (Millennium – Uomini che odiano le donne), un galeotto bombarolo (La truffa dei Logan), uno scomodo investigatore inglese in un ruolo da commedia (appunto Knives Out e Glass Onion), un vicino di casa (Kings). Nel giro di quindici anni e con un ritmo di quasi un film all’anno Craig ha indossato i panni attoriali più disparati, percorso generi diversi (horror, commedia, war movie, film sociale) e dato prova di poter essere allo stesso tempo l’agente segreto più famoso del mondo e, semplicemente, Daniel Craig.

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Il peso di essere Bond

Quello di James Bond è un ruolo che grava sull’attore che lo interpreta con un peso gigantesco. Non solo perché si tratta di uno dei personaggi più noti della cultura di massa, ma anche perché l’interpretazione che richiede – di prestanza fisica, di mimica facciale, di gestualità e battute rituali – è una vera e propria colla che si imprime all’istante su chi ne assume le sembianze. Senza contare che già la sola quantità di film e di tempo per cui un attore rimane/viene venduto nella sua immagine come tale personaggio è una condanna ad esserlo sempre, anche fuori dallo schermo.

Come ha fatto quindi Daniel Craig, dal 2006 di Casino Royale, ad arrivare a essere l’investigatore Benoit Blanc in Cena con delitto – Knives Out e poi Glass Onion – Knives Out? Lavorando sull’essere eroe, sul corpo e con l’ironia proprio a partire dal suo 007.

La strategia di Craig è stata quella di intraprendere un percorso di progressiva ascesa verso la commedia e di costante e sottile discostamento da ruoli più fisici e prestanti (drammatici) a ruoli dove il trasformismo si è attuato nell’accento (quello del West Virginia in La truffa dei Logan, poi l’inconfondibile accento del Sud di Benoit Blanc) e in una caratterizzazione estrema verso il grottesco. Per prima cosa Craig ha lavorato sul fisico: un lavoro che già dentro la saga di 007 ha messo in discussione (ma qui c’è ovviamente anche tanto lavoro di sceneggiatura e regia) la mascolinità e l’immagine tradizionale di Bond facendone uno 007 insieme standard e atipico. Basti pensare alla scena con Madds Mikkelsen in Casino Royale dove una tortura ai genitali diventa godimento e scherno, o al fatto che Bond beva la birra e non il classico martini, passando ovviamente dalla dimensione più palese, quella estetica: un Bond biondissimo e dagli occhi di ghiaccio che ci appare come un dio pagano fuori dall’acqua con lo stesso erotismo voyeuristico a cui associamo solitamente Ursula Andress (la famosa scena di Licenza di uccidere, ribaltata in senso di genere sempre in Casino Royale).

Mentre attuava sotto lo sguardo attento degli autori della nuova saga bondiana questo sottile ribaltamento (fedele alla tradizione e insieme innovativo), Craig ha lavorato usando il corpo secondo una mascolinità più tradizionale, dove la performance stava nel fisico e nella capacità di uccidere (che siano alieni o nazisti…) per poi virare con una fluidità quasi impercettibile verso orizzonti psicologici. Sempre perché il nuovo Bond era anche un Bond psicologicamente molto più tormentato dei precedenti, è stato forse più facile per Craig essere un padre apprensivo (Dream House) o un giornalista alle prese con gli anfratti più oscuri dell’animo umano (Millennium – Uomini che odiano le donne). E così non ha sorpreso, se non in positivo, vederlo approdare dall’altra parte del crimine, con una tuta a strisce dentro una prigione statale in un film di Steven Soderbergh dove il suo stesso nome era una presa in giro (Joe Bang) e la sua mascolinità arrogante una caratteristica di cui egli stesso sembra farsi beffe.

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Le tante facce di Benoit Blanc: un eroe con una missione

Nel momento in cui è arrivato ad essere Benoit Blanc, il regista Rian Johnson sembrava aver capito fin da subito il percorso di Craig, assecondandolo in maniera coerente. Per prima cosa la tipica missione di Bond, ovvero quella di risolvere una crisi – una faccenda seria per il personaggio – diventa una caratteristica divertente per chi lo guarda come Benoit Blanc mentre risolve un caso ristretto a una famiglia o alcuni amici. Benoit Blanc non è accerchiato da criminali o da spie ma da personaggi grotteschi la cui meschinità è però filtrata da toni leggeri e paradossali. Come James Bond anche Benoit Blanc è quindi l’uomo da chiamare per mettere a posto le cose, quello che osserva, giudica e agisce di conseguenza. Non proprio per un fine morale ma per un guadagno personale, senonché Blanc si può anche far intenerire dall’innocenza di un’infermiera cubana (Ana De Armas in Knives Out – Cena con delitto, che poi in No Time To Die invece ritroviamo a ruoli invertiti, mentre ne rifiuta la mascolinità sessualizzata) mentre Bond soffre per degli amori passionali e nasconde i traumi del suo passato, chiari allo spettatore, dietro un’ironia arrogante ma più che seria.

Un corpo fluido

Il corpo di Craig è stato lungo la sua carriera la sua arma più intelligente, il cavallo di Troia da cui costruire continuamente il suo tipo di attorialità. Un corpo che subisce violenza, torturato e torturabile, che porta su di sé lividi e sofferenza (un’altra nuova caratteristica del Bond della nuova saga: quelli precedenti erano surreali nella loro performatività eccellente e quasi intoccabile). Il corpo di Craig è stato esposto e venerato in 007: macho ma anche in chiave queer, performante, un super-uomo che non ha paura di niente né dello sguardo carico di desiderio di qualsiasi tipo di pubblico (Craig infatti sarà il protagonista di Queer di Luca Guadagnino, un personaggio dichiaratamente omosessuale). Dal corpo, perfetto forse nella forma ma reale e consistente nella carne e nel dolore, Craig ha allora potuto plasmare la sua immagine cinematografica secondo qualsiasi tipo di registro fino a sublimarlo, libero di costruirci sopra molto altro. Di costruirci commedia, dimensioni psicologiche e, soprattutto, nuovi paradigmi di genere.

In Glass Onion Daniel Craig è ancora l’eroe ironico ma in fondo buono di Knives Out, ma in questo sequel ancora più che nel primo film Johnson lo carica infatti nella sua immagine iconica con vestiti eccentrici (costumi da bagno e camicie colorate) e con una sessualità dichiarata. Si tratta di un contrasto solo apparente: il detective può essere maschile, fisicato, ammirato e temuto da tutti come James Bond e divertente e a tratti anche ingenuo come un bombarolo di provincia. E, soprattutto, può amare chi vuole.

Quasi in contemporanea all’uscita nei cinema di Glass Onion, Daniel Craig è stato poi protagonista dello spot diretto da Taika Waititi della Belvedere Vodka: un esempio perfettamente in linea con il gioco che Craig sta facendo sul suo corpo. Diretto da Waititi, Craig si lancia infatti in una danza sexy dove è l’autoironia a settare il tono. Il corpo e la situazione sono sempre quelli bondiani: lusso, fama, alcolici di classe. Craig è però ancora al limite di Bond, o meglio ai suoi margini. Il corpo è infatti usato per darsi a una performance dove il desiderio dello spettatore viene al contempo attirato (dai movimenti di bacino) e respinto (dall’ironia).

L’arma dell’ironia

La commedia è il genere per eccellenza in cui il discorso sulla realtà, da surreale a ironico che sia, può permettersi di evidenziare le cose peggiori del mondo con l’apparente facilità che solo una risata sa regalare. Forse è proprio per questo motivo che proprio l’ironia è la caratteristica che Craig si porta dietro da Bond a Blanc: se in Bond serviva per evidenziarne la superiorità mentale rispetto alla gravità delle situazioni che il personaggio stava vivendo (chi sa scherzare nei momenti peggiori, se non il più forte?), come Benoit Blanc Craig usa la stessa ironia tagliente per schernire la meschinità degli esseri umani che lo circondano. Persone spregevoli che il murder mystery carica grottescamente nei loro tratti peggiori, egoisti ed egomani che solo l’ironia e l’acume di Blanc può smontare. Perché prenderli sul serio sarebbe fare il loro stesso gioco.

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