È risaputo quanto a livello storico Biancaneve e i sette nani rappresenti l’opera a disegni animati più importante e influente mai realizzata. Sebbene non costituisca il primo lungometraggio d’animazione in assoluto, in quanto già precedentemente è possibile individuare esempi di pellicole di durata pari o superiore ai 60 minuti, l’uscita del film Disney nel 1937, rappresenta uno step imprescindibile per il medium. Tutte le innovazioni tecniche introdotte nel corso del tempo dallo Studio, dal sonoro sincronizzato, al technicolor, passando per l’uso avveniristico della Multiplane camera, vengono qui concentrate, portando alle estreme conseguenze quanto elaborato con i cortometraggi e facendo emergere le potenzialità ancora inespresse di quest’arte.

Una produzione lunga e travagliata, cominciata nel 1934, su cui, come spesso è accaduto nel corso della sua carriera, Disney aveva scommesso ogni cosa (a partire dall’ipoteca sulla casa), con al seguito l’eco di chi vedeva nel progetto un suicidio produttivo, un fallimento annunciato, definito dalla stampa come la Disney’s Folly. La storia ha dimostrato quanto mai valutazioni furono più errate e il successo di Biancaneve fu tale da portare il film a diventare tra i più visti dell’epoca. Il raggiungimento di questo risultato, tuttavia, non sarebbe stato possibile senza una preparazione che derivava in larga parte da quanto realizzato in precedenza, specie con le Silly Symphonies. La serie, nata un anno dopo il debutto di Topolino sul grande schermo, nel 1929, fin dal principio si poneva come il ramo sperimentale della produzione disneyana, un terreno libero, distante dalla ripetitività delle serie con protagonisti personaggi ricorrenti, attraverso cui mettere in pratica le novità in ambito tecnico ed artistico. Tra le Sinfonie allegre, un corto in particolare, disponibile su Disney+, ha permesso tanto a Disney quanto ai suoi artisti di prendere le misure, effettuando le prove necessarie per valutare in che modo portare su schermo Biancaneve: La dea della primavera.

persefone

Problemi di anatomia

Tratto dal mito greco del ratto della dea Persefone, per mano di Ade, il dio degli Inferi, il film, diretto dal veterano Wilfred Jackson, con l’art direction di Albert Hurter, vede alla sua lavorazione alcuni dei nomi più celebri della Disney del periodo, come Art Babbitt, Wolfgang Reitherman, Les Clark e Ward Kimball. Biancaneve era già alle primissime fasi di elaborazione, tuttavia, buona parte dello staff artistico di Disney non aveva mai avuto modo di interfacciarsi con l’animazione di movenze umane. Sebbene non ci siano correlazioni dichiarate tra la Silly Simphony e il primo lungometraggio dello Studio, la sua lavorazione è stata in ogni caso utile per testare le capacità degli animatori nel riuscire a infondere realismo ai movimenti di personaggi umani.

L’anatomia umana ha sempre costituito una delle maggiori difficoltà nel campo dell’animazione dell’epoca, tanto da portare i maggiori Studi ad aggirare il problema lavorando su personaggi dal tratto marcatamente grottesco o caricaturale, come Betty Boop o Braccio di ferro dei fratelli Fleisher, oppure, più frequentemente, sui così detti funny animals, gli animali antropomorfi che da sempre hanno popolato l’industria dei cartoon americana.

La mancanza d’esperienza da parte degli artisti portò, infatti, La dea della primavera a risultati tutt’altro che soddisfacenti, in particolare per quanto riguarda le movenze della protagonista. Quelli che nelle intenzioni dovevano essere gesti delicati e aggraziati, finirono per risultare del tutto innaturali, gommosi e respingenti agli occhi dello spettatore, legati eccessivamente allo stile preponderante all’epoca del Rubber hose che mal si amalgamava con il tipo di soggetto animato. In seguito all’insuccesso ottenuto dal corto, oltre a costringere lo staff a seguire delle lezioni di anatomia per riuscire a colmare le evidenti lacune, Disney si rese conto di quanto la soluzione più indicata per donare a Biancaneve dei movimenti realistici fosse l’utilizzo del rotoscopio, ricalcando su carta le movenze autentiche di una modella riprese su pellicola.

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Un’Opera animata

Nonostante quelle che possono essere state le eventuali mancanze nell’animazione, è indubbio quanto nella realizzazione del cortometraggio si sia riposta un’ambizione superiore a quella della media dei film realizzati in precedenza. Questo appare evidente già a partire dal budget stanziato per la sua produzione. Se comunemente il costo di realizzazione di una Silly Simphony si aggirava sui $25.000, quello di La dea della primavera fu di oltre $37.000.

La maggiore ambizione riservata al corto risiede anche nelle intenzioni alla base. L’obiettivo che gli artisti si erano posti, infatti, era di omaggiare/parodiare la struttura tipica dell’Opera lirica, infondendo una maggiore solennità nella messa in scena e inserendo, addirittura, una sorta di divisione in atti. A tal proposito, è impossibile, non riconoscere nel Dio Ade, caratterizzato da un design distante da quello della tradizione classica, panni simili a quelli del Mefistofele del Faust di Charles Gounod.

Proprio questa aspirazione, forse eccessivamente ricercata per un pubblico che, abituato a soggetti più semplici, si è trovato disorientato davanti a una produzione così differente dagli standard tipici dei corti Disney, è stata causa di un generale misunderstanding, diventando, probabilmente, una delle ragioni che hanno segnato l’insuccesso della pellicola. Di ciò era perfettamente consapevole il regista Wilfred Jackson, il quale dichiarò, anni dopo, quanto il principale errore commesso fosse proprio quello di non essere stati chiari con il pubblico, tenendogli nascosto che si trattasse di una presa in giro della grande tradizione Operistica.

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All’origine di un’icona

Seppur fallimentare, quello di La dea della primavera rimane un caso ugualmente interessante nella storia dell’animazione, rivelandosi, a suo modo, antesignano, anticipando un immaginario che costituirà una base fondante non solo per la Disney, ma, più in generale, per l’intera produzione animata occidentale. La figura di Persefone, nonostante l’animazione risultasse decisamente immatura, si distingueva per un design differente da quello comunemente adottato. Già in un’altra Silly Simphony, Il pifferaio magico, del 1933, si era sperimentata la lavorazione su figure umane anatomicamente più realistiche, ma con La dea della primavera si cerca di andare oltre, costituendo un ideale anello di congiunzione tra ciò che è stato realizzato prima e ciò che verrà dopo. Se in precedenza i personaggi venivano concepiti tenendo conto che la testa doveva essere quasi sempre un terzo rispetto al corpo, qui si comincia a ragionare su proporzioni più in linea con la realtà, con la testa che copre un sesto del corpo.

È così che vengono poste le basi per quella che diventerà, a partire da Biancaneve, fino ad arrivare ai giorni nostri, l’iconica figura della principessa Disney, identificando nella protagonista della Silly Simphony un prototipo per tutte le celebri eroine che segneranno i capolavori dello Studio di Burbank.

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