Timothée Chalamet. È un grande attore, bellissimo look.” Queste le parole di Al Pacino alla presentazione di Heat 2, il libro di Michael Mann che racconta sia il passato che il futuro del film. Gli era stato chiesto chi avrebbe voluto che interpretasse la versione giovane del suo personaggio, Vincent Hanna

Una risposta rapida a una delle tante domande che vengono rivolte agli attori in queste occasioni strutturate spesso per avere un titolo facile. Questo non significa che ci sarà un sequel di Heat – La sfida e nemmeno che, se dovesse esserci, Timothée Chalamet interpreterà quel ruolo.

Divertiamoci a ragionare sul fantacasting

È superfluo dirlo, ma è giusto ribadirlo fino a che non si viene gioiosamente smentiti (come successo nel caso di Blade Runner e il suo sequel, la saga di Mad Max o Top Gun): ci sono film che andrebbero lasciati in una teca senza venire toccati da “numeri due”. Heat è uno di quelli. Una corsa a due, una sfida appunto, che per quasi tre ore è un graduale avvicinamento tra un ladro (Neil McCauley – De Niro) e un poliziotto (Vincent Hanna – Pacino).

Tra una rapina in banca e l’altra ci sono le vite, così simili tra di loro. I problemi con le donne e la stessa voglia di amare frustrata dal proprio mestiere. C’è chi deve essere pronto a lasciare alle spalle tutto per sfuggire alla giustizia e c’è chi invece deve allontanarsi dalla famiglia proprio per catturare chi scappa. Michael Mann non usa solo le pistole come arma, usa anche il cerca persone. 

Heat è l’opera su cui si sono basati tutti i film di rapine successivi. Un fiume d’azione, di quasi tre ore, che alla fine chiude il cerchio in maniera eccellente. Molte trame restano aperte, come la sorte di Chris Shiherlis interpretato da Val Kilmer, che è il focus “futuro” del libro, mentre il passato sarà incentrato su Vincent Hanna 7 anni prima degli eventi del film. Perché dentro a Heat è come se la regia avesse tagliato un momento chiave in una vita ben più complessa che ha portato con sé tanti altri destini. Ed è questo il bello di un’opera che non va intaccata: quella sensazione di essere di passaggio, di non poter comprendere proprio tutto e di doversi abbandonare al film.

Ma Timothée Chalamet sarebbe adatto per Heat 2?

Sotto un aspetto puramente fisico la risposta è semplice. No, non lo è. È chiaro come mai che Al Pacino stimi il collega attore, in particolare il suo “bellissimo look”. Perché Timothée Chalamet incarna una fisicità diversa e contemporanea. Possiede eleganza e innocenza, ma anche una pronunciata superiorità. Uno sguardo distaccato e lucido che l’ha portato ad essere un ottimo Paul Atreides in Dune.

Dune Denis Villeneuve Timothée Chalamet prima foto

Però il suo fisico è anche morbido, giovanile. Dimostra qualche anno in meno rispetto ai suoi 26 anni, ed emana un’impressione di innocenza acerba. Il suo cambiamento può essere integrato nella storia come un passaggio graduale da un poliziotto idealista a quello disilluso e con i propri metodi che ritroviamo nel film. Solo che il personaggio tipo di Al Pacino è ruvido, Chalamet al massimo è spigoloso, non è mai riuscito a essere troppo violento.

Heat potrebbe essere una crescita necessaria come attore per Timothée Chalamet

Proprio la giovane età di Chalamet può giocare a suo favore. In questo Al Pacino ha ragione. Ipotizziamo che il film entri nei pensieri dei produttori dopo il libro. Tempo di acquisire i diritti, progettare e coinvolgere i talent, di scrivere la sceneggiatura e girare, l’attore avrà molte altre pellicole sulle spalle. E più anni.

Nel suo immediato futuro Timothée Chalamet dovrà per forza indurirsi ancora di più, visto il percorso che il Muad’Dib ha davanti a sé in Dune: parte 2. Dovrà quindi saltare da Willy Wonka a un eletto che deve condurre un popolo in guerra. Esattamente lo stesso contrasto tra dolcezza famigliare e violenza che caratterizza Vincent Hanna.

Al Pacino però recita con il corpo aggiungendo movimenti non necessari, in tensione verso l’interlocutore. Schiocca le dita con gran rumore, lavora sui gesti delle mani. Ha un’energia esplosiva, passa da uno stato di apparente quiete alla più furibonda rabbia in pochissimi fotogrammi. Chalamet lavora invece in modo diverso. È più contenuto, rimane più a lungo negli stati emotivi, ama che questi gli richiedano fatica per togliersi. Ai suoi personaggi le emozioni non scompaiono; svaniscono. 

La vera domanda è: chi sarà il suo Robert De Niro?

Comunque la si pensi su Timothée Chalamet bisogna ammettere che non ci sono tanti altri attori della sua generazione sulla corsia preferenziale che sta percorrendo lui. Ha già un volto e uno stile conosciuti e amatissimi dal pubblico, e corteggiati dai registi che lo trovano un attore versatile. Averlo nel cast è un colpo grosso.

Però Heat è così travolgente perché è un film in contrasto. I due personaggi si specchiano, i due modi di recitare si sintonizzano uno sull’altro in un duetto di pura bravura. La regia di Michael Mann è animalesca, nella giungla urbana Al Pacino insegue come una iena. È nervoso, scattante, proteso verso l’alto. De Niro invece è più appesantito e quindi fermo sulle sue convinzioni, comunica sicurezza. È un leone, un re assoluto al centro di tutto. 

Nell’ipotetico mondo mascolino di Heat 2 non si dovrebbe lasciare solo Vincent Hanna. Servono due mani per fare una sfida a braccio di ferro. Così servirà almeno un’altra personalità altrettanto forte e grezza come quell’immaginario richiede. 

Quella di Al Pacino è quindi una pessima idea? Per ora ci limitiamo a dire che probabilmente sì, lo è. Siccome il gioco alla speculazione ipotetica è divertente solo se sul tavolo rimane qualche carta da commentare, noi proviamo a rilanciare. Forse esiste ancora un volto e una personalità che possa vestire alla perfezione il nero della notte di Michael Mann. Risponde al nome di Miles Teller. Guardare Too Old to Die Young per credere. 

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