Se fossimo in atletica la figura ginnica compiuta negli ultimi anni da Adam Sandler sarebbe chiamata il “salto McConaughey”. Si fa assecondando l’andamento del proprio corpo, la spinta gravitazionale derivata dall’esercizio immediatamente precedente, per poi trarne giovamento e andare con più energia nella direzione opposta. Nel cinema questa mossa viene chiamata, più banalmente, “svolta di carriera”.

Nello specifico è il passaggio dai film senza pretese, in cui Matthew McConaughey era il belloccio, Adam Sandler l’urlante uomo incazzoso, al cinema di qualità. Una trasformazione prima di tutto fisica, dove il primo ha perso la perfezione vitruviana dei muscoli. Il secondo ha perso i tratti divertenti del volto, quelli che ispirano la risata, ed è diventato malinconico. Perfetto da compatire. 

Sandler ha passato il decennio tra gli anni ’90 e il 2000 destreggiandosi tra il Saturday Night Live e le commedie sopra le righe. Prima ai margini, a farsi le ossa, poi con ruoli di primo piano senza particolari difficoltà. Cantante di matrimoni in crisi di nervi dentro Prima o poi me la sposo, portatore d’acqua ad una squadra di football con il talento per il placcaggio in Waterboy. La figura è quella dell’emarginato che per pulsione naturale o per destino ritorna al centro delle sue storie. Con Billy Madison inaugura una formula a cui ancora oggi, nonostante il successi da attore-autore, sembra voler tornare. Cioè il successo nazional popolare del moviegoer casuali e di bocca buona, con buona pace della critica. Se gli va bene viene ignorato, se gli va male viene premiato con i Razzie, gli Oscar al peggior attore. 

Adam Sandler sa benissimo chi è

Sembra la premessa una favola motivazionale. Quella in cui una carriera sottovalutata viene finalmente amata e portata in palmo di mano dopo anni difficili. Non è così. Quello che è stato Adam Sandler in passato lui lo sa bene, l’ha scelto senza avere margine di fraintendimento. Non l’ha mai fatto amare dal mondo del cinema “alto”, ma l’ha portato ad essere per anni tra gli attori più pagati dell’industria. 

Si può definire una battuta ben riuscita quella che, sulla punch line, sovverte di colpo le aspettative. Adam Sandler ha sempre gestito la sua carriera così, come una commedia standup. Ha alternato risate facili (Zohan) a momenti rosa (50 volte il primo bacio). Ad intervalli regolari è stato imprigionato da se stesso. Fermo nello stesso tono, con la sensazione di avere raggiunto il pieno potenziale comico. Ogni volta Adam Sandler ha fatto il salto. Ecco quindi Ubriaco d’Amore, sempre una commedia, ma diretta da Paul Thomas Anderson che gli regala la malinconia della vessazione. E poi Reign over me, dove è piegato dal dolore dell’11 settembre che l’ha alienato. 

Ogni volta che il cinema si convinceva che quella faccia era adatta solo alle risate sguaiate, arrivava una dimostrazione di forza nel dramma. E ogni volta tutti a dire: finalmente, o a sorpresa, Adam Sandler si dimostra un buon attore. Come se si potesse non essere bravi per scelta o esserlo quando è utile. La risposta a questi “fenomeni naturali inspiegabili” viene guardando i suoi film. In ogni commedia stroncata sembra che si diverta mille volte di più rispetto ai film più strutturati con un regista che ha mano ferma.

Oggi non è più così. Oggi il rapporto si sta invertendo. Il salto McConaughey. Cioè quel momento di rivelazione, in cui un attore si guarda allo specchio e capisce che l’età ha cambiato la sua fisionomia. Un naturale progredire del tempo e dell’esperienza, come se i muscoli si irrigidissero dopo avere provato infinite volte le stesse espressioni e fossero diventate qualcosa d’altro. L’opposto agli stati d’animo che erano abituati a simulare.

Adam Sandler

Nulla da rivalutare, tutto da lanciare

Così oggi Adam Sandler non ha nessuna carriera da rivalutare, quello che è stato continuerà a piacere a chi l’ha amato e a non piacere a tutti gli altri. Ne ha invece un’altra sul trampolino di lancio. In parallelo alla maschera comica corre quella malinconica. Oggi, dopo l’impatto di Diamanti Grezzi e quel ruolo indimenticabile di Howard Ratner, il suo sorriso è quello a denti stretti. Sono personaggi generalmente positivi di spirito (non di morale), che però non hanno chissà che motivo per essere allegri.

I fratelli Safdie raccolgono il fastidio che sa trasmettere e lo sparano al massimo. Prendono la sua fragilità mascherata sotto l’ironia e la trasmettono per la prima volta sotto pelle allo spettatore. L’esito è un uomo perfetto. Perché è totalmente inverosimile, intimamente cinematografico. Nasce dal montaggio, dai dialoghi fulmine, dalle corse allucinate nella città. Eppure è il più comprensibile che abbia mai interpretato, il più vero.

E mentre la maggior parte si stupiva nuovamente, dopo essersi dimenticati di The Meyerowitz Stories, Adam Sandler decideva di puntare l’all in e provare ad esplorare la sua seconda età, o nuova giovinezza cinematografica.

Ma il passato non si abbandona, e così per non dimenticare da dove viene ha girato il dimenticabile Hubie Halloween. E poi si è buttato subito dall’altra parte con Hustle. Questa volta così vicino a Diamanti Grezzi, e così solido, imponente, e consapevole da non poter essere ignorato. Amatissimo, con un consenso di critica e di pubblico unanime. Un bel film di basket girato con amore per la materia. L’ha prodotto lui infatti, grande tifoso dei Lakers, con la sua compagnia Happy Madison Production (nato dalla crasi tra i suoi primi due successi: Happy Gilmore e Billy Madison). Così come ha prodotto anche Hubie Halloween. La commedia stroncata.

Adam Sandler è questo: un attore che sa essere tutto. Il peggiore sulla piazza e il migliore contemporaneamente. Il più pagato e il più sbeffeggiato. Rotto, scisso in due come i suoi personaggi. Solo che ora l’ha capito anche lui, l’ha accettato e ci ha costruito un piano. E se nei prossimi anni si consacrerà come uno dei più grandi, succederà proprio grazie al suo passato da cui tutti scapperebbero e in cui invece ama ancora restare.

BadTaste è su Twitch!

I film e le serie imperdibili

Classifiche consigliate