I film di David Leitch sono spesso in lotta. Ci sono i personaggi che si menano tra di loro, certo, ma il conflitto più interessante è quello interno al film stesso. Fast & Furious – Hobbs & Shaw faceva a braccio di ferro tra un action fantascientifico e i canoni semi trash di Fast & Furious. Bullet Train non sapeva se puntare su una scrittura a incastri con uno stile eccentrico da primi anni 2000 o diventare uno showreel di esplosioni, camei e azione vistosamente coreografata (quindi fintissima) ed esagerata. La stessa cosa succede con The Fall Guy dove le due strade sono quelle della commedia romantica e quella dell’action. Ci sono entrambe e si dividono quasi equamente la durata del film. Solo una di queste due componenti funziona.

The Fall Guy è un film (troppo) consapevole

Un film sugli stuntman deve prepararsi a cadere e rialzarsi. Anche più volte. Il trucco è non farlo capire al pubblico. The Fall Guy cade molte volte, alterna scene brillanti come il piano sequenza iniziale ad altre completamente fuori fuoco (la sequenza in discoteca che rallenta il ritmo e non arriva mai dove vorrebbe). Provasse almeno a mascherare le sue debolezze, ci sarebbe la possibilità di immersione nella storia. Invece David Leitch fa più volte la captatio benevolentiae più usata nel cinema postmoderno: rompe la quarta parete e parla agli spettatori. Verso metà film la regista Jody Moreno si rende conto di avere dei grossi problemi con il terzo atto del film che sta girando con lo stunt Colt Seavers. Nel dialogo parla di Metalstorm, che lei sta girando nel film. Noi sappiamo che intende The Fall Guy stesso. 

Si capisce che a questo si riferisce quando poi il terzo atto arriva veramente. La sottotrama dell’attore scomparso, Tom Ryder, diventa la linea principale. È noiosissima perché vista mille volte. Sembra venire proprio da quelle opere di serie B che The Fall Guy prende bonariamente in giro all’inizio. Non manca la dettagliata esposizione del piano del cattivo di turno, un’ulteriore scena che ammazza il ritmo. Sono i personaggi stessi a lamentarsene. Dicono esplicitamente che “con le trame troppo involute si perde l’attenzione del pubblico”. Si dovrebbe ridere di questa autoreferenzialità. Parlano tra di loro, ma parlano a noi. Invece la domanda che viene è: perché il film dovrebbe sottoporci proprio quello i personaggi dicono di odiare?

The Fall Guy

Gli effetti di C’era una volta a… Hollywood su Drew Pearce…

Brad Pitt e Leonardo DiCaprio. Ryan Gosling e Aaron Taylor-Johnson. Cliff Booth e Rick Dalton in C’era una volta a…Hollywood. Colt Seavers e Tom Ryder in The Fall Guy. Il secondo film guarda molto al primo, quasi di più di quanto guardi alla serie che lo ispira: Professione pericolo. C’è una gag molto simile con un cane che risponde ai comandi e difende il protagonista. C’è la voglia di esplorare il dietro le quinte dei film e il rapporto di simbiosi\rivalità tra l’attore e il suo stuntman. Il “volto” che fa le scene semplici e si prende il merito, che va sul set insieme al “corpo” che rischia la vita senza che nessuno lo sappia. Celebrità vs anonimato.

Senza avere nemmeno la pretesa di sfiorare la profondità del film di Tarantino, i primi minuti del film di Leitch sono promettenti. In mezzo c’è una regista, Jody Moreno di Emily Blunt, che in passato ha avuto una storia con Colt. I due si sono lasciati male e si sono ritrovati sul set. Lei si sfoga su di lui bruciandolo in più ciak e scaraventandolo contro una roccia. È la scena migliore per come usa il contesto per spiegare la dinamica tra i due.

Proprio qui c’è la migliore commedia romantica. Quella che usa il cinema e i suoi meccanismi per sviluppare i conflitti tra il “ragazzo e la ragazza che si amano ancora, ma non lo sanno”. Tutto questo sembra un’idea nata dopo aver visto C’era una volta a…Hollywood e diventata qualcosa d’altro, sfumata e diluita, ma ancora vagamente presente. Tarantino faceva una masterclass su come il cinema potesse permeare tutto. Jody riguarda i giornalieri come Sharon Tate si guardava sullo schermo. La storia di finzione che sta girando, fatta di cowboy e alieni, è una riscrittura di quello che ha vissuto. Il cinema è terapia, sfogo, pulsione, rabbia e storie che possono essere manipolate, finali che si possono cambiare

È la parte migliore della sceneggiatura di Drew Pearce. Quella che apre un mare di possibilità. Ve ne diciamo qualcuna. Nessuna è però mai sfruttata nel film. La regista poteva essere la mente, lo stuntman il braccio durante la “missione” centrale e quindi dirigerlo indicandogli come combattere proprio come sul set. L’infortunio che ha subito anni prima Colt rallentare l’atleta che, avendo partecipato a molti film, si ricorda le mosse dei suoi personaggi e le applica al momento opportuno. Un uomo potenziato dal cinema (questo c’è ma è solo accennato). L’intera sfida poteva essere strutturata per ricalcare di quella che si vive nel fare un film. Attori e regista contro produttori e distributori. La ricerca ossessiva di spazio nell’inquadratura, le gelosie tra chi deve essere la vera star.

Tutto questo sembra passato per la testa dello sceneggiatore, restando a tal punto che chi guarda se ne può accorgere, ma non finendo mai sulla carta.

emily blunt fall guy

The age of stuntman

Era ora che ci si accorgesse degli stuntman. In attesa di vedere assegnata una categoria degli Oscar a queste figure professionali è corretto che il cinema si butti su di loro per trovare nuove storie. In fondo sono di gran lunga le persone più interessanti sul set! Gente che opera lontano dai riflettori e che quindi può essere di tutto: un silenzioso autista nella notte come in Drive. Un romantico eroe action come in The Fall Guy. Il volto è sempre di Ryan Gosling, il personaggio non può essere più diverso. 

Sarebbe stato gentile mettere in bella vista sui titoli di coda i nomi degli stuntman (un po’ come ha fatto Cameron con gli addetti agli effetti visivi di Avatar – La via dell’acqua), ma ci accontentiamo del fatto che David Leitch abbia girato questo film palesemente per potersi sfogare con stunt incredibili.

Un proposito nobile che stride però con quello che è stato il film fino a metà del secondo atto, ovvero una commedia brillante contro una seconda parte dove l’azione esplode in tutta la sua insensatezza e nella più esagerata finzione. Un peccato che quanto fatto di buono prima si perda nell’ordinarietà. Perché la chimica tra Gosling e Blunt funziona alla grande, prima di dimenticarsene. Il set dentro The Fall Guy è uno spazio dove è affascinante stare. Si vorrebbe sapere di più sulle persone che lo popolano, tenere la scala della storia più limitata, magari entro qualche giorno di riprese e solo nel luogo dove si gira. Potenziare insomma la sofferenza, il dramma, le relazioni e il lavoro collettivo che servono per fare un film… e per sconfiggere il nemico. 

Invece The Fall Guy cede e fa quello che il suo regista sa fare meglio: girare l’azione, provare soluzioni estetiche (a proposito, facciamo partire una petizione contro le esplosioni colorate?) che  appaghino sul grande schermo per essere poi dimenticate ai primi passi mossi nei corridoi del cinema. Non si è fidato della sua idea di partenza. Ha annacquato tutto ciò che stava facendo in maniera fresca e brillante, per riproporre sul finale quello che si vede in tanti altri film. Tutto fatto correttamente, ci mancherebbe. Però nella lotta tra la commedia romantica e il film d’azione, The Fall Guy aveva trovato il suo cuore nel primo. È un peccato che decida di essere il secondo.

Il salto (il primo tempo) è stato ben fatto. La caduta è rovinosa. Il ciak è da rifare.

BadTaste è anche su TikTok, seguiteci!

Classifiche consigliate