Una cosa simile a La moglie del soldato si può provarla ad una di quelle cene tra amici che si ricordano a lungo. Ad un certo punto, quando le pietanze sono già abbondantemente consumate, e l’ora è tarda, qualcuno prende la parola nel momento più allegro della serata. Si mette a raccontare un aneddoto, un piccolo fatto di vita che gli è capitata e che sicuramente strapperà un sorriso agli ascoltatori. Solo che non finisce lì, pian piano si trasforma in qualcosa d’altro. Una scusa per raccontare un altro fatto, più personale e pieno di dubbi. Alla fine, quello che doveva essere un discorso affermativo, si conclude con una domanda lasciata agli interlocutori. 

Trent’anni fa Neil Jordan donava gli spettatori con la stessa domanda: di che parla il film? Cosa voleva dire in realtà e perché ci ha girato così intorno? La moglie del soldato ha almeno tre colpi di scena (continuate la lettura solo se non volete rovinarveli). Ognuno di questi cambia radicalmente il film. 

Forest Whitaker interpreta Jody, un militare inglese nero in Irlanda. La prima impressione che ci è restituita è che sia un donnaiolo. È al Luna Park in dolce compagnia di una ragazza che sembra fremere per fare sesso con lui. Lei lo porta lontano da sguardi indiscreti e, aiutata dai complici, lo rapisce.
Sono membri dell’IRA, entro tre giorni lo uccideranno. Jody capisce che l’unico modo che ha per sopravvivere è la compassione umana. Un aggancio emotivo, un’amicizia, che possa generare in chi vuole premere il grilletto un dolore simile a quello di chi riceverà il proiettile. Il lutto, la perdita di una persona cara.

Il secondo film dentro La moglie del soldato inizia alla morte del soldato, investito in fuga da un camion militare. Fergus, il clemente rapitore, decide di tener fede alla promessa fatta a colui che ormai è diventato un amico. Si prenderà cura di Dil, la sua ragazza.

Quando Neil Jordan descrisse a Kubrick il film, originariamente intitolato The Soldier’s Wife, l’amico gli consigliò di cambiare il titolo. Divenne così The Crying Game, mentre nella traduzione italiana fu mantenuta l’idea di titolazione iniziale. Il punto è che La moglie del soldato descriveva per Kubrick un film di guerra, quando invece era ben altro.

La moglie del soldato 2

Che cos’è La moglie del soldato?

Una storia d’amore? Sicuramente. Lo stesso gioco di seduzione della vittima, che vuole sopravvivere ad un’esecuzione, verso il carnefice si rispecchia nel graduale innamoramento tra Dil e Fergus. Tutti i personaggi però sono radicalmente spezzati: c’è un uomo buono, rispettoso, e fedele, che invece conosciamo solo durante una sua rara scappatella. C’è un terrorista compassionevole, incapace di condurre con durezza le azioni che la sua ideologia e la sua battaglia imporrebbero. E infine c’è Dil, che entra nel film prima attraverso una fotografia, nei racconti, poi letteralmente accendendo i riflettori di scena e poi come dama in pericolo. 

La sua vita è fatta di scossoni: ha perso l’amore della sua vita, fa due lavori, è in costante pericolo. Ma in questa discontinuità lei trova una linearità nelle sue giornate e un modo per andare avanti. È Dil però che sconvolge Fergus (diventato Jimmy sotto falsa identità). Era andato da lei seguendo le sue convinzioni, immaginandosi una parte da eroe nella tragica sorte. Si immaginava una confessione drammatica, tanto che, quando confessa di essere stato parte della morte del soldato, si dispiace della reazione composta. 

La scoperta che Dil è in realtà una ragazza transessuale lo distrugge. Aveva visto solo quello che voleva lui. Non aveva capito nulla di lei, e forse nemmeno di Jimmy, la sua nuova identità. Così La moglie del soldato è un film di costumi che cambiano, di maschere che ognuno si impone e ruoli che restano appiccicati. Solo Dil ha il coraggio di essere veramente ciò che è. Non si nasconde, semmai sono gli altri che non la vedono, che le impongono il proprio sguardo. 

Costruire se stessi

Neil Jordan costruisce così un film con una struttura che rispecchia quella dei suoi personaggi. In continua ricerca di un’identità. Ma è proprio questo il punto. La moglie del soldato colpisce così forte proprio perché non è un’opera chiusa. È composta da una serie di linee spezzate che si uniscono a fatica. Questo è il suo ritratto umano.

C’è chi occupa due ore per cercare di delineare dei personaggi che siano coerenti, plausibili, conoscibili dallo spettatore come degli individui scritti in ogni loro sfumatura. Neil Jordan, che ama cercare nella sessualità definita dall’esterno uno stato dell’essere ancora più intimo, chiede ai suoi protagonisti di fare l’opposto. Di mostrarsi nella loro natura contraddittoria. Di farci partecipi della loro ricerca di un’identità che non è mai chiusa. Si forma semmai grazie alle influenze delle persone che si incontrano.

È grazie a questa idea ben chiara in testa che ne viene fuori un film così appassionante in tutte le sue tre parti, nonostante ognuna sia di per sé piuttosto convenzionale. In fondo è come siamo tutti noi: maschere già viste molte volte, copiate da altri, che conservano un io che è fatto più di domande che di risposte. Anche se ci piace raccontarci l’opposto. Come durante una cena tra amici. 

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