Lara Croft: Tomb Raider è disponibile su Prime Video

Nel 2001 Angelina Jolie era, per acclamazione popolare, la donna più bella del mondo del cinema, e in piena esplosione di carriera, avendo appena vinto il suo primo (e per ora unico) Oscar per Ragazze interrotte. Non date ascolto quindi alle voci che da vent’anni sostengono che il ruolo di Lara Croft in Lara Croft: Tomb Raider le sia stato assegnato un po’ per caso, e che ci fossero altre candidate più adatte e che avrebbero dovuto ottenere la parte, una su tutte Denise Richards. Fidatevi delle parole del produttore del film Lawrence Gordon: “C’erano tante attrici interessate, almeno stando ai loro agenti, ma nel momento in cui abbiamo visto il nome di Angelina Jolie abbiamo capito che era lei quella giusta”. E se ancora non ci credete e sognate una Lara interpretata da (a scelta) Jennifer Lowe Hewitt, Jennifer Lopez, Rhona Mitra, Ashley Judd, Catherine Zeta-Jones o una qualsiasi delle mille altre presunte Lare che non sono mai state, riguardatevi il film: vi convincerete definitivamente che Lara Croft: Tomb Raider esiste per Angelina Jolie prima ancora che per la sua protagonista dalle videoludiche origini.

La cosa peggiore che si potesse dire al tempo di Lara Croft: Tomb Raider è che c’entrava relativamente poco con il videogioco da cui era teoricamente tratto – c’erano relativamente poche tombe da razziare e nessun T. rex, per esempio. Con la serenità conferitaci dal senno di poi possiamo affermare che in realtà si trattava di un compito ingrato, e Simon West e la squadra di basket che si è occupata della sceneggiatura hanno fatto forse il massimo possibile con i relativamente pochi mezzi a loro disposizione. In realtà non era tanto questione di mezzi (anzi: il film costò ben oltre i 100 milioni di dollari), quanto di fonti.

 

Angelina Jolie

 

Storici, leggendari, bellissimi, rivoluzionari in termini di level design e di gameplay ma anche con la giusta dose di nostalgia Indianajones-esca necessaria da acchiappare la fantasia di un pubblico bello ampio, i primi due capitoli del franchise di Tomb Raider non sono passati alla storia per la scrittura, la genialità della vicenda, l’intricato ordito di archi narrativi che sorregge l’architettura dell’avventura, e neanche, a dirla tutta, per la costruzione dei personaggi. Nel 2001 la serie era già arrivata all’altezza di Tomb Raider: Chronicles e si stava più o meno rapidamente cinematografizzando, gettando i primi semi per quello che poi qualche anno dopo sarebbe sbocciato, con un altro gender swap, nella saga di Uncharted. Ma nel cuore e negli occhi del popolo videogiocatore restavano soprattutto Tomb Raider e Tomb Raider II, dai quali Lara Croft: Tomb Raider prende qualche vaghissimo elemento di ispirazione e poco più.

Il grosso della storia di Lara Croft: Tomb Raider, con il suo triangolo magico che dona poteri straordinari a chi ne riunirà i frammenti e che non assomiglia per nulla alla Triforza della saga di Zelda, non è tratto da alcun videogioco. Una scelta che al tempo si attirò qualche critica da chi sperava invece in una trasposizione 1:1 di una vicenda nota, ma che, e ve ne accorgerete se provate a rigiocare ai vecchi Tomb Raider, era in realtà l’unica scelta plausibile. Lara Croft: Tomb Raider è un film che si regge sulla potenza del brand e sul fatto che la gente nel 2001 voleva vedere al cinema le avventure di Lara; ma si regge anche su un canone che al tempo era limitato e anche un po’ sciocco, e che quindi aveva necessariamente bisogno di venire espanso e approfondito.

 

Lara Croft: Tomb Raider Khaleesi

 

Sempre con il senno di poi non siamo sicuri se questa espansione sia andata bene quanto speravano gli autori. Il film si avvicina fin troppo spesso alla fantascienza dozzinale, e ci si tuffa a pesce per il finale; c’è sempre stato del soprannaturale nelle avventure di Lara Croft, ovviamente, ma Lara Croft: Tomb Raider supera, e pure con una certa decisione, la sottile linea che separa Indiana Jones da Stargate – e in un film su un’archeologa sarebbe meglio che non lo facesse. Anche perché, inevitabilmente e ancora una volta per colpa di nessuno, tutto il comparto visivo e di effettistica del film è invecchiato male in questi vent’anni: è probabilmente l’unico dettaglio sul quale il più recente Tomb Raider con Alicia Vikander batte il suo predecessore ventenne.

Tutti questi discorsi, però, evaporano come neve al sole di fronte a quanto dicevamo all’inizio, e cioè che Lara Croft: Tomb Raider è prima di tutto un film che celebra Angelina Jolie. Più che interpretare Lara Croft (che come dicevamo al tempo era distante dall’avere una personalità definita), Jolie interpretava il modo in cui tutto il mondo si immaginava l’aspetto di Lara Croft se fosse esistita davvero. È molto più provocante e ammiccante di un ammasso di poligoni, ovviamente, ed è ben lontana dalla ragazzina in aria di perdita dell’innocenza che è la sua ultima incarnazione (prima nei videogiochi e poi al cinema). E Simon West lo sa alla perfezione, tanto che dedica parecchio tempo a sequenze che non hanno nulla a che vedere con la trama o con Lara Croft e tutto a che vedere con il fatto che sul set c’è una dèa scesa in terra e noi dobbiamo inchinarci e adorarla.

 

 

Smette quasi subito di essere una questione puramente ormonale per diventare totalizzante. Lara Croft: Tomb Raider è un film su Angelina Jolie e una serie di persone che le girano intorno, e vivono della sua luce riflessa. Vi ricordavate che la simpatica canaglia/love interest di Lara è interpretato da Daniel Craig, e che il villain (il classico villain affascinante con il quale l’eroina è costretta a collaborare, alla Indiana Jones) è Iain Glen che non dice mai una sola volta “Khaleesi”? Fa tutto Angelina Jolie: risolve gli enigmi, spara ai cattivi, salva il mondo, fa impazzire chiunque poggi gli occhi su di lei.

In questo senso Lara Croft: Tomb Raider è anche molto videoludico, un film che esiste in funzione della sua protagonista tanto quanto i vari Tomb Raider esistevano in funzione della Lara fatta di poligoni, dalla quale la metaforica macchina da presa non si staccava mai. È altrettanto videoludico nella messa in scena dell’azione, nelle infinite sparatorie durante le quali solo i proiettili dei buoni vanno a segno, e durante tutte le sequenze acrobatiche nelle quali Angelina Jolie si mette in disparte per lasciare ai cavi il loro quarto d’ora di celebrità. È videoludico nel linguaggio, nella grammatica del racconto e del far succedere le cose – e anche nell’adorabile faciloneria con cui queste cose succedono, nella rapidità da fast travel con la quale si saltella in giro per il globo in cerca di magici artefatti, nel pieno spirito di una bella avventura da primi anni Duemila.

 

Jolie

 

E quindi non può che essere un monologo della sua protagonista, Joliexploitation purissima che purtroppo sfocerà rapidamente nel ridicolo già dal film successivo, Tomb Raider – La culla della vita. Ma questo è un altro discorso, e comunque non è colpa di Angelina Jolie. Tanti auguri Lara Croft: Tomb Raider, e grazie di tutte le piroette.

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