Premi Oscar: come si distribuiranno i film arthouse in tempo di Covid?

La pandemia ha riscritto le regole della filiera cinematografica. In particolare negli Stati Uniti la ripresa dell’industria, pur con numeri incoraggianti, ha fatto i conti con un precedente cambio dei rapporti di forza. I meccanismi di promozione e distribuzione consolidati da decenni di pratiche oramai istituzionalizzate sono saltati. Cambiano sia le forme che i luoghi in cui si propone il prodotto cinematografico.

A farne le spese non sono solo i blockbuster, che si sono dovuti confrontare con la fame di contenuti delle piattaforme streaming, ma anche i film (cosiddetti) d’autore. Quelli che non hanno il privilegio di release ampie con migliaia di schermi nella prima settimana di proiezione, ma che circuitano nei festival e puntano molto su teniture lunghe e un ampio passaparola.

La notizia positiva è che, a differenza di qualche mese fa, Hollywood sta vivendo una lotta all’ultimo schermo. Come un imbuto infatti la pandemia ha sconvolto i listini sovrapponendo le uscite di molti titoli pronti già da tempo. Questo ostacolo per le distribuzioni è però un buonissimo segnale per il mercato degli esercizi a vocazione arthouse, che potranno giovare di una programmazione ricca e variegata. Una concorrenza positiva che avrebbe garantire introiti alle strutture fisiche e dare benzina per rimettere in moto la macchina cinematografica.

Secondo Variety però l’attenzione va posta sulle pellicole che ambiscono a un ruolo di primo piano nella stagione dei premi. Sono loro che dovranno rinnovarsi più di altre. Solitamente infatti per arrivare a vincere un Oscar non si deve mettere in gioco solo la qualità, ma impostare una strategia di lancio ben precisa. Questa serve sia per arrivare ai giurati dell’Academy che per convincere il pubblico ad acquistare i biglietti. The Grand Budapest Hotel ha fatto scuola per come si è diffuso nei cinema degli Stati Uniti partendo da sole quattro piazze (la cosiddetta platform release). Per la prima settimana di sfruttamento scelsero solo due cinema di alto profilo a New York e due a Los Angeles. I risultati furono clamorosi, riempiendo ogni proiezione tanto da stabilire il record di incasso per location da parte di un’opera arthouse.

Il film diventa così notizia, crea passaparola e attesa, espandendosi gradualmente in altri territori. Questa strategia di distribuzione, ripagò The Grand Budapest Hotel con un incasso totale di 179 milioni di dollari globali.

Sarà lo stesso quest’anno per The French Dispatch? Molto probabilmente no.

Gli analisti sostengono che il box office per questo tipo di film lavorerà con il 30% in meno della portata se confrontato con i dati prima della pandemia. Le ragioni sono molte e ovvie: dalla paura dei contagi (negli USA non ci sono le stesse limitazioni che ci sono in Italia, e così i cinema sono più frequentati da giovani che da anziani) al successo delle piattaforme streaming, contando pure le chiusure per fallimento di qualche cinema indipendente.

Le prossime settimane saranno quindi un test cruciale per definire le scelte distributive dei film, soprattutto quelle in odore di Oscar. Come noto infatti c’è una stretta correlazione tra la presenza di un titolo alla cerimonia degli Oscar e il su successo commerciale. Gli Academy Award sono infatti un ottimo strumento per attirare il pubblico e vendere un titolo. 

Per Lisa Bunnell, presidente della distribuzione di Focus Features, il settore si trova in una posizione migliore rispetto a sei mesi fa, ma c’è ancora molta strada da percorrere. In particolare le platform release, non sembrano più adatte a rispondere alla situazione attuale. La prima ragione è che, per scegliere i pochi cinema in cui fare debuttare un film, occorre avere delle strutture rinomate e di alto profilo. L’Arclight Hollywood, storico cinema “di qualità” e storia punto di partenza per queste campagne, ha però chiuso i battenti ad aprile. 

L’idea dietro alla platform release è di aprire su due territori importanti come quelli delle coste: Los Angeles e New York City, per poi generare un passaparola nel resto del continente. Senza i cinema strategici per la copertura mediatica il rischio concreto è di una partenza zoppa.

Tom Quinn, CEO di Neon spiega: “Un grande cinema come Arclight rappresenta dai $90,000 ai $100,000 nei weekend di apertura, e ora non c’è più. È difficile fare questo tipo di release senza grandi sale come questa a Los Angeles e senza un vero ritorno al cinema a New York”.

Le metriche di valutazione adottate per questo tipo di distribuzioni mirate in cinema selezionati non tengono conto tanto dell’incasso totale quanto della media per sala. Quindi non quanto fa un film in un dato periodo ma quanto riesce a riempire di persone la proiezione. Per gli esercenti questo è un grande incentivo a programmare il film, dati gli alti margini di profitto con una singola programmazione. Soprattutto per chi possiede pochi schermi.

Stanno per arrivare molti film che, prima della pandemia, avrebbero risposto bene a questo tipo di operazione. Spencer, Belfast, Licorice Pizza, ma anche thriller ricercati come Last Night in Soho. Gli studios dovranno ritornare a sperimentare nuovi approcci creativi, provando strade mai tentate fino ad ora. Il mese di novembre sarà quindi cruciale per definire il futuro prossimo della distribuzione. 

Fonte: Variety

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