Pacific Rim compie dieci anni. Lo trovate in streaming su Netflix

Ve lo ricordate il 2013? Che tempi quelli: Fast & Furious era ancora solo al sesto capitolo, Zack Snyder e Henry Cavill portavano al cinema il loro Man of Steel, Barack Obama cominciava il suo secondo mandato da POTUS, Edward Snowden rivelava l’esistenza di un sistema di sorveglianza di massa usato dalla CIA per spiare i potenti del mondo, e Guillermo del Toro non aveva ancora visto un Oscar.

E avrebbe dovuto, se ci fosse giustizia al mondo! Il 2013 uscì infatti Pacific Rim, un film che, per noi appassionati di robottoni, mostroni e del felice incontro tra i due, fu come l’arrivo di un Messia molto grosso e armato fino ai denti.

Milioni di persone videro Pacific Rim, e milioni di dollari (411, per la precisione) entrarono nelle casse di Warner Bros. E questi milioni di persone uscirono dalla sala con un pensiero fisso in testa: “speriamo che sia solo l’inizio”. È vero, il primo Transformers di Michael Bay uscì sei anni prima, e non è che quello di del Toro fosse il primo film con kaiju o mecha della storia, ovviamente. Ma la sensazione era che Pacific Rim fosse un salto quantico di qualità, un film proiettato nel futuro a livello visivo e tecnico. Mai si erano visti robottoni così perfetti, così lenti e macchinosi (… appunto) nei movimenti come si addice a dei colossi di metallo alti 75 metri, così pesanti e tangibili. Mai si erano visti così tanti mostri tutti insieme, e così grossi, e altrettanto ponderosi e preistorici nel loro incedere.

Pacific Rim Jaeger
Coi robottoni in mezzo al mare
andiamo a comandare

Sembrava che Pacific Rim potesse indicare una strada. Nasceva dalla sana e sincera passione di del Toro per anime, manga, kaiju, mecha, cultura giapponese, Godzilla, tutto filtrato dagli occhi di un autore che da anni dimostrava di avere l’immaginazione più fervida e vivida di tutta Hollywood. Era (è) un film pieno di amore: per le fonti di ispirazione, certo, ma soprattutto per le sue stesse creazioni. Tutti gli Jaeger, anche quelli che ahinoi nel film hanno meno spazio, erano stati studiati e concepiti nei minimi dettagli, dotati di una ricca storia alle spalle, caratterizzati in maniera unica e originale. Tutti i kaiju, che secondo del Toro erano ispirati in egual misura a Ray Harryhausen e Ishirō Honda, avevano ricevuto lo stesso amorevole trattamento, erano stati immaginati come creature viventi e non solo come insieme di texture e poligoni spettacolari, avevano una biologia, un’unicità che sprizzava da ogni fotogramma.

Del Toro si ispirò anche al Colosso di (forse) Goya per il look delle battaglie tra mostri e robot; e il risultato fu che in sala ci sentimmo piccoli piccoli, minuscoli, insignificanti come raramente ci era capitato. C’era la sensazione di assistere alla fine di tutto, ma anche a un nuovo inizio: un mondo migliore, nel quale i monster movie e i mecha movie e l’unione tra le due cose sarebbero stati concepiti e realizzati usando come modello quei quadri in movimento. Nel quale usare una portaerei come mazza ferrata per prendere a mazzate un Godzilla alto come un campo di calcio sarebbe stata la normalità, lo spunto di partenza da elaborare per immaginare qualcosa di ancora più grosso e quindi ancora più sublime.

Jaeger

Speravamo che Pacific Rim potesse insegnare a scrivere una storia semplice ma efficace, e anche che i successori potessero imparare dai suoi errori. Perché Pacific Rim è tutto tranne che perfetto, e soprattutto a livello di sceneggiatura ha quegli stessi difetti che oggi ritroviamo, purtroppo amplificati, in una percentuale altissima di blockbuster d’azione e dintorni. Aveva la sua bella scorta di personaggi monodimensionali – indimenticabile la coppia padre/figlio interpretata Robert Kazinsky e Max Martini, cloni l’uno dell’altro ma anche entrambi un copiaincolla del protagonista Charlie Hunnam – e di quelle leggerezze di scrittura alle quali non fai caso durante la visione ma che diventano poi il centro di analisi approfondite che si domandano, per esempio, se davvero mandare in pensione una decina di robottoni giganti per sostituirli con un muro di mattoni sia la soluzione migliore per salvare il pianeta.

Era un film che aveva dei problemi che sarebbero dovuti servire come spinta a migliorare. Con il senno di poi, è successo esattamente il contrario. E non parliamo solo del sequel uscito nel 2018, che invece di essere un upgrade del precedente ne era una versione risciacquata e depotenziata (per quanto a modo suo divertente). Pensate a tutti i tentativi più o meno riusciti di portare avanti il c.d. Monsterverse: i vari Skull Island e Godzilla vs. Kong, pur portando avanti solo una metà dell’equazione Pacific Rim ed escludendo i robottoni, avrebbero potuto e dovuto guardare al film di del Toro come a un modello, sì, ma anche come a un monito: si può fare ancora meglio di così.

E invece tutti quanti, senza alcuna eccezione, hanno nella migliore delle ipotesi replicato lo spettacolo visivo di Pacific Rim senza però davvero superarlo, e nella peggiore ne hanno replicato i difetti di scrittura, amplificandoli a colpi di sciatteria e superficialità. C’è una scuola di pensiero che dice che quella che comunemente chiamiamo “la trama” non debba per forza essere centrale in un film di mostri e robottoni, e che si possano accettare anche certe nefandezze se in cambio riceviamo un elbow rocket. È anche vero, però, che non esistono film che possano venire peggiorati da personaggi meglio caratterizzati e da una scrittura più attenta e raffinata.

Soprattutto, se la strada scelta è quella della semplificazione estrema al limite dell’idiozia (pensate di nuovo a Skull Island, o ancora peggio a King of the Monsters), l’aspettativa è che l’altro lato dell’equazione sia curato all’inverosimile, e ci faccia vedere cose mai viste e mai neanche immaginate che da sole giustifichino l’esistenza stessa della settima arte. Ma per quanto i cazzotti tra King Kong e Godzilla che abbiamo avuto in dono dopo il 2013 siano stati soddisfacenti e a tratti esaltanti, nessuna rissa del MonsterVerse è mai riuscita a eguagliare la maestosità di quella a Hong Kong di Pacific Rim, soprattutto in termini di creatività nelle coreografie più che strettamente tecnici.

Insomma: sono passati dieci anni e stiamo ancora aspettando il vero erede di Pacific Rim, il film di mostri o di robottoni o di entrambi che faccia meglio di quello di del Toro. E attenzione: parliamo di eredi hollywoodiani-e-dintorni, perché se poi usciamo dal nostro tradizionale recinto geografico per andare là dove queste cose sono state inventate ci troviamo capolavori veri come Shin Godzilla, a dimostrazione che quando c’è da fare certe cose conviene quasi sempre rivolgersi agli originali. Pacific Rim riuscì, almeno per un po’, a farci credere che avessimo imparato anche “noi” (… loro, OK, ma provate a negare che, pure se italiani, il nostro orizzonte cinematografico sia comunque Hollywood), e che ci attendesse un futuro radioso. Dieci anni dopo stiamo ancora aspettando che inizi.

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