Per festeggiare i trent’anni di Schindler’s List Hollywood Reporter ha raccolto le parole di chi ha realizzato il film in un articolo fiume pieno di testimonianze. Si chiude con le parole di Steven Spielberg: “è il miglior film che ho mai fatto. Non significa che è il miglior film che mai farò. Ma al momento è il lavoro di cui sono più fiero”. Tutto ciò che precede questa affermazione, cioè la storia di quanta responsabilità abbia sentito nel portare al cinema Oskar Schindler, le persone che l’hanno aiutato a farlo, ciò che è accaduto dopo, spiegano perché il regista la pensi così.

Un cambio di tono per Steven Spielberg

Fu Sid Sheinberg, l’allora presidente della Universal Pictures, a recapitare a Spielberg, nel 1982, il libro Schindler’s Ark. E.T stava brillando nella seconda settimana di sfruttamento e lo scritto di Thomas Keneally era un invito esplicito, verso il regista, a riflettere su quale storia da adattare nel film successivo. Il problema, dice Spielberg, è che il libro era pressoché infilmabile: dati, nomi, fatti senza una struttura narrativa. Ma soprattutto aveva una domanda irrisolta: perché Oskar Schindler ha fatto tutto ciò? Quale spirito l’ha animato nel salvataggio di più di 1200 ebrei, rischiando tanto a sua volta? Mancava, a detta del regista, il “momento Rosabella”. Iniziò così un periodo lungo un decennio in cui il progetto passò sotto gli occhi e le mani di molti per poi tornare a Spielberg.

Quando ricevette il libro era considerato ancora un autore di storie dall’ampio pubblico di giovani e famiglie per film dalle emozioni forti e commerciali. Un salto nel cinema con minor budget, ma “di spessore” adulto lo spaventava. Fermare la storia nelle sue mani, in attesa del momento giusto, non era la cosa corretta da fare. Cercò qualcuno a cui passarla. Si consultò quindi con Sydney Pollack, il quale provò lo stesso smarrimento. Gli disse di non essere in grado di filmarlo. Passò la palla anche a Barry Levinson e infine a Martin Scorsese. Quest’ultimo era intrigato, ma anche in una posizione difficile. 

Scorsese aveva bisogno di un successo economico laddove il plauso critico non mancava. L’ultima tentazione di Cristo aveva però creato scossoni, e polemiche anche contro la comunità ebraica. Nelle sue mani Schindler’s List poteva ottenere un consenso unanime, ma i produttori pensavano non sarebbe stato il trionfo al boxoffice che gli serviva a quel punto. In più Scorsese non era ebreo, l’amico invece sì, non voleva arrecare altri danni alla comunità ebraica rischiando di sbagliare a maneggiare un materiale delicato. In quel periodo Spielberg stava sviluppando il remake di Cape Fear in aria di successo, ma troppo violento per lui. Ecco la soluzione: uno scambio. Schindler’s List tornò tra le mani di Spielberg e Cape Fear andò a Scorsese. In mezzo Scorsese apportò fu un cambiamento importante: lo sceneggiatore Steve Zaillian era arrivato a bordo.

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Da Jurassic Park a Schindler’s List grazie a George Lucas

L’agente Michael Ovitz aveva legato la realizzazione di Schindler’s List all’accordo con Jurassic Park. Spielberg voleva iniziare a girare subito il film mentre concludeva montaggio, mix audio e la colonna sonora. Tutto questo grazie a un aiuto. Dice Spielberg:

Ho chiamato George Lucas. Gli ho detto ‘George, sono nei guai’. Lo studio è arrabbiato con me perché non farò il mix audio di Jurassic Park per andare in Europa a realizzare Schindler’s List. Vuoi mixare Jurassic Park?’. Avevo già fatto lavorare i suoi tecnici audio sul film, perciò ha accettato di subentrare e l’ha terminato con Kathleen Kennedy.

Da quando ha ricevuto per la prima volta il libro a quando è riuscito a realizzarlo, Spielberg è riuscito a fare incursioni nei generi più “adulti” con Il colore viola e L’impero del sole. Consapevole del suo ascendente da regista ha lottato contro la produzione per girare il film in bianco e nero. Nessuno storyboard, il film andava filmato con fare quasi documentaristico, usando la camera a mano e procedendo con rapidità. Liam Neeson tardò a ricevere l’ingaggio dopo aver fatto il provino. Una volta ottenuta la parte, dovette modellarsi su Steve Ross, l’allora CEO di Time Warner e caro amico del regista guardando alcuni video da lui girati per catturarne il carisma. 

Entra in scena Billy Wilder

Spielberg racconta di avere ricevuto una chiamata da Billy Wilder. Lavorava come consulente per la MGM, rivedendo le sceneggiature e rifinendo le scene comiche. Scontento del lavoro e desideroso di girare altri film lamentava spesso a Spielberg come l’umorismo fosse cambiato rispetto agli anni ’50 e come non riuscisse più a realizzate i progetti suoi. Disse a Spielberg:

Ho letto un libro e ho scoperto che ne possiedi i diritti, Schindler’s List. È la mia esperienza prima di venire in America. Ho perso tutti lì. Devo raccontare questa storia. Mi lasceresti dirigerla per produrla con me?

La proposta, che un paio di anni prima sarebbe stata accolta con grande favore, era arrivata a poche settimane dall’inizio delle riprese. Con la benedizione (e un po’ di delusione) di Wilder, Spielberg si apprestava a fare il film della sua vita. 

Il regista ha raccontato la rassegnazione durante la campagna per gli Oscar, dove credeva di non avere speranza contro la macchina promozionale ordita da Harvey Weinstein per Lezioni di piano. Convinto di essere destinato a diventare uno di quei registi di successo che non hanno mai vinto l’Oscar, aveva chiesto di non mandare VHS per gli screener, bensì di organizzare proiezioni perché il film andava visto per forza insieme ad altre persone. Ha raccontato poi il senso di inadeguatezza che aveva preso John Williams il quale gli disse: “Hai bisogno di un compositore migliore di me per questo film!”. Rispose: “Lo so, ma sono tutti morti”. Racconta poi come il fatto che la cerimonia fosse presentata da Whoopi Goldberg fosse stato un buon segno per lui. E come ricevere il premio alla miglior regia, per lo più dall’amico Clint Eastwood, sia stato un turbinio di emozioni fino quasi alle lacrime. 

Ci sono infinite analisi sul perché Schindler’s List sia un film importantissimo sia da un punto di vista cinematografico che storico, il suo impatto sulla memoria dell’olocausto. La sua eredità si vede in centinaia di film. Quando Spielberg parla di quello che considera il suo film migliore, lo fa menzionando i tanti colleghi e amici che l’hanno accompagnato in un decennio di tentativi e di rifiniture. Per questo film ha sentito il peso della storia, la responsabilità di essere un regista che ha un impatto sulla realtà, sul modo di pensare e immaginare le cose. Non era, come Oskar Schindler, un uomo solo. Insieme a lui ci sono stati, in quegli anni, gli amici con cui ha plasmato Hollywood.

Fonte: HollywoodReporter

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