Boris – Il film è su Netflix

La quarta stagione di Boris si avvicina a grandi passi, e il mondo – o almeno l’Italia – si sta preparando a un evento annunciato. Il fandom riguarda ossessivamente per la centoventesima volta le prime tre stagioni, il cast stuzzica l’appetito del fandom, la stampa si interroga su cosa dobbiamo aspettarci, e le piattaforme di streaming contribuiscono alla nostra tossicodipendenza – per esempio, Netflix ha da poco reso di nuovo disponibile Boris – Il film, che sarebbe dovuto essere un fiore all’occhiello e invece si è rivelato quasi una pecora nera, incassando relativamente pochi soldi e non riuscendo a conquistarsi un posto d’onore nel cuore di chi ama Boris. Non che Boris – Il film sia malvisto da chi ama la serie – non stiamo parlando di Sex & The City – ma in quella specie di universo cinetelevisivo condiviso che è il mondo Boris il passaggio cinematografico fa sempre la figura della seconda linea, di quello che non ce l’ha fatta del tutto e non si è meritato di venire citato e memato almeno diecimila volte al giorno tutti i giorni weekend compresi.

È difficilissimo capire che cosa sia andato storto con Boris – Il film, o comunque non dritto come avrebbe potuto – o in altre parole com’è possibile che una battuta come “Non c’è più campo” non trovi posto in un’ideale top ten delle migliori battute partorite da Ciarrapico, Torre e Vendruscolo. L’interpretazione più facile è quella data da Francesco Pannofino al tempo: secondo lui Boris – Il film ha patito un’errata collocazione in calendario e un marketing altrettanto fuori fuoco. È difficile non dargli ragione, soprattutto su certi dettagli: il fatto che nella locandina manchi il cast, sostituito da un gigantesco Boris in una boccia di vetro, elimina in partenza la possibilità di portare in sala chi non conosce già il prodotto ma si fa convincere da un volto noto.

 

Boris - Il film Gianfranco

 

Il problema è che questo ragionamento dovrebbe escludere a priori tutto il fandom di Boris, quello che negli anni e con ripetute visioni ha fatto crescere numericamente la serie fino a trasformarla in un oggetto di culto. Il fandom, in teoria, sarebbe dovuto accorrere in massa al cinema per il film. E i suoi risultati al box office si possono quindi interpretare in due modi: o questo famoso fandom è rumoroso ma meno numeroso di quello che possa sembrare, oppure una parte di questo gruppo, magari quella composta da coloro che la serie se la scaricavano dai torrent, non è disposta a sborsare denaro per darlo alla sua serie preferita. O forse pagare un abbonamento a un servizio che comprende non solo Boris ma anche migliaia di altri film e serie TV è considerato un investimento più intelligente che spendere 15/20 euro per una serata in sala – e questo aprirebbe tutta un’altra parentesi, e significherebbe tra l’altro che l’idea di portare Boris al cinema era sbagliata e destinata al fallimento fin dall’inizio.

Scegliete voi quale di queste spiegazioni para-cinematografiche possano giustificare il flop di Boris – Il film. Da parte nostra non possiamo escludere che il segreto del suo insuccesso sia stato un altro, e cioè che forse, in fin dei conti, quello diretto dal trio non era, semplicemente, un buon film, e che gli mancasse qualcosa per essere promosso a pieni voti nella grande famiglia di Boris. È solo un’ipotesi, non un’affermazione, e ora proveremo a sviscerarla, cercando di capire che cosa fosse questo qualcosa che mancava.

 

Lorenzo

 

Andiamo per esclusione: di sicuro non mancano i personaggi. Come nelle migliori tradizioni dei film tratti dalla TV, anche Boris – Il film regala spazio a più o meno chiunque abbia calcato i set delle tre stagioni della serie, anche a costo di inventarsi soluzioni astruse pur di far vedere una faccia per qualche minuto. I personaggi peraltro, soprattutto quelli che ci sentiamo di descrivere come “veri protagonisti” in virtù del fatto che sono coloro a cui sono sempre stati dedicati gli archi narrativi più complessi, sono tutti presentati nel modo corretto: Boris la serie si chiudeva con lo scioglimento della banda, e il Boris – Il film ognuno ha proseguito sulla strada che era stata tracciata dal finale della terza stagione. Chi ama la serie ritrova nel film le stesse dinamiche e gli stessi rapporti di potere, e può anche godersi l’ulteriore evoluzione di alcuni di questi (v. Corinna e Lorenzo), e almeno in questo senso il film è inattaccabile.

È possibile che il problema sia di tempi e ritmi: Boris è una serie velocissima e sintetica, con episodi che raramente superano i venti minuti e che possono quindi riempire un momento libero nel corso della giornata come diventare oggetto di binge compulsivo serale, senza mai perdere di efficacia in nessuno dei due casi. Boris – Il film deve necessariamente prendere altre strade, perché ha circa un’ora e mezza da riempire senza pause. Eppure si potrebbe rispondere che proprio per questo motivo il film è ancora più veloce e sintetico della serie: devono succedere tante cose, alcune delle quali in TV sarebbero state il soggetto di un intero episodio, e il risultato finale è che il ritmo è ancora più alto di quanto sarebbe se la storia di La casta fosse stata spalmata su un’intera stagione.

 

Ratzinger

 

Un’ipotesi che ci convince di più è che Boris – Il film sia fin troppo “da bolla”, anche più di quanto lo fosse la serie.

Ci spieghiamo meglio.

Boris piace (anche) perché è un dietro le quinte, uno sguardo a come funzionano le cose in TV quando non vediamo; e funziona perché la maggior parte di queste cose che racconta sono cose che il pubblico sa già, o quantomeno sospetta. Boris è una gigantesca conferma di tutti i nostri bias verso la TV italiana, ma anche verso le clientele politiche, le raccomandazioni, una certa idea del servizio pubblico come covo di serpi e fannulloni. Parla di televisione, ma (e qui ci perdonerete la frase che potrebbe uscire dalla bocca di Stanis LaRochelle) nel farlo parla di tutto il Paese, e per questo colpisce anche chi non ha mai visto una stanza dei bottoni e non capisce certi riferimenti più sottili e, diciamo così, specialistici.

Boris – Il film si basa all’incirca sulla stessa sineddoche (parliamo di un pezzo di Italia per parlare di tutta l’Italia), ma si appoggia a un sotto-mondo, quello del cinema, che in Italia è percepito come distante e alieno, molto più di quanto lo sia la TV. Certamente chi lavora in questo mondo, o anche solo chi ci bazzica per le ragioni più varie, riderà molto durante le scene delle riunioni di produzione, ma non siamo convinti che le battute sui fumetti francesi abbiano lo stesso impatto di quelle sugli straordinari d’aprile. A Boris – Il film mancano gli assoluti, gli manca la capacità di ridere di un micromondo per farci riflettere su un intero sistema.

 

Stanis

 

Il direttore della fotografia che aspetta la luce perfetta prima di girare è meno universale di quello che dovrebbe lavorare ma preferisce chiudersi in bagno a pippare. L’attrice scarsa da telenovela RAI è qualcosa con cui prima o poi chiunque si scontra anche casualmente; l’Attrice che sussurra è una gag che arriva meno potente a chi non ha subito anni di Margherita Buy. C’è forse troppo cinema, in Boris – Il film, e troppo poco di tutto il resto. O se la volete detta con una formula facile e un (bel) po’ ritrita, non c’è abbastanza Paese reale. Forse è questo il vero segreto del suo insuccesso: si ride, ci si diverte, ma si vede un po’ troppo ombelico.

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