Predators è su Star di Disney+

Quella di Predators è la storia di un sogno che ci ha messo una quindicina di anni a realizzarsi, e che ha portato un uomo a un passo dal poter girare il film della sua vita – salvo poi vedere questo stesso uomo tirarsi indietro per andare a inseguire un’altra visione, e lasciare l’incombenza a qualcun altro. È la storia di un film che avrebbe voluto essere per Predator quello che il sequel di James Cameron con la S in fondo fu per Alien; e che avrebbe dovuto far dimenticare quello che dallo stesso uomo di cui sopra era percepito come un passo falso, cioè il povero Predator 2. Ed è anche, purtroppo, la storia di un film che quando uscì faceva esattamente tutto quello che doveva fare – e proprio per questo non era abbastanza.

L’uomo senza nome protagonista del paragrafo precedente è ovviamente Robert Rodriguez, che, come racconta lui stesso, nel 1994, quando stava lavorando a Desperado, ebbe l’ispirazione per scrivere un sequel di Predator, l’originale, quello di John McTiernan del 1987. Rodriguez presentò questo script, intitolato Predators con la S in fondo per richiamare l’Aliens di Cameron, a 20th Century Fox, che però lo respinse dicendogli che il film che aveva in mente sarebbe costato troppo. Siccome però certi franchise sono duri a morire come i loro protagonisti, lo script di Rodriguez tornò di moda quattordici anni dopo: il creatore di Spy Kids racconta che nel 2009 ricevette una chiamata da un exec della Fox che gli disse (parafrasiamo) “ehi Rob, abbiamo ritrovato il tuo vecchio script per un terzo Predator e ora che abbiamo più soldi e la necessità di resuscitare un franchise di sicuro affidamento abbiamo deciso di farlo! Ti va?”.

 

Predators il Predator

 

Il resto della storia è presto riassunto: Rodriguez dice di sì a patto di mantenere il controllo creativo sull’opera, il che prevede tra l’altro il fatto che il suo Predators ignori completamente sia il già citato Predator 2 sia Alien Vs. Predator, e funga da sequel diretto dell’originale – talmente diretto che anche il design dello Yautja è ripreso pari pari da quello di Stan Winston del 1987, e che il film contenga zero Predator in CGI e relativamente poco green screen. Dopodiché, quando tutto sembrava apparecchiato per il più classico dei film della vita (torneremo su questo concetto parlando di The Predator), Rodriguez cambia idea e decide di mettersi a fare Machete, e affida il film a Nimród Antal, che negli anni precedenti si era ben comportato con Blindato e soprattutto Vacancy.

L’idea geniale da cui era partito tutto era la seguente: Predator nella giungla, solo che in un’altra giungla, nel senso di “la giungla di un altro pianeta”. Che è già di base un po’ un problema soprattutto se decidi di girare il tuo film il più possibile in location: sulla Terra non esistono giungle aliene, e vedere la nuova squadra di carne da macello soldati atterrare su quello che sembra il set dell’originale non aiuta a vendere quest’idea del film ambientato su un altro pianeta. Di fatto, per quanto Rodriguez e Antal al tempo avessero venduto il film come un’idea nuova e fresca, un punto di vista rivoluzionario sul franchise, Predators è un’opera che per lunghi tratti si adagia sulla fama del proprio mostro cacciatore e non fa granché per distinguersi.

 

Teschi

 

Forse definirlo un remake dell’originale è eccessivo, nonché inesatto dal punto di vista narrativo visto che i personaggi, in particolare Isabelle (Alice Braga), parlano apertamente degli avvenimenti del primo film. Ma non è c’è dubbio che Predators ricalchi molto fedelmente sia i presupposti, sia gran parte dei beat narrativi del film di McTiernan. C’è una giungla, un’ambientazione ostile e claustrofobica pur trovandosi all’aria aperta. C’è un predatore alieno meglio adattato alla caccia di quanto lo siano le sue vittime. E c’è un gruppo di umani che sta a metà tra la squadra speciale in un film di supereroi e la collezione di carcasse di uno slasher classico: Predators segue le orme di Predator nell’impegnarsi molto per farci affezionare a una serie di figure che poi moriranno in maniere più o meno orribili.

Purtroppo, ed è un limite quasi insormontabile quando ci si getta senza pensarci in un confronto così impietoso, il cast di Predators non riesce a farsi volere bene quanto quello di Predator. Non è solo perché manca Schwarzenegger, o perché alle battute e alle frecciatine manca il quid che nel primo film veniva garantito dalla mano di Shane Black. C’è un problema di fondo nella selezione: dopo i soldati senza paura e i poliziotti senza macchia, Predators ci propone “il peggio del peggio dell’umanità”, un gruppo di personaggi che sono fatti apposta per suscitare antipatia, sia per quello che sono e rappresentano, sia per quello che dicono e fanno (in particolare Stans, il personaggio di Walton Goggins). Questo Peggio è stato accuratamente selezionato dagli stessi Predator, che li hanno prelevati dalla Terra e catapultati su un altro pianeta che è di fatto la loro gigantesca riserva di caccia.

 

Goggins

 

Non è necessariamente un male scegliere un gruppo di antieroi come protagonisti, come ha dimostrato di recente The Suicide Squad; il problema è che in Predators si scontrano con uno dei mostri più iconici e amati della storia della fantascienza, un guerriero semi-onnipotente del quale non sappiamo mai abbastanza e per il quale è molto difficile non fare almeno un po’ il tifo. È uno dei segreti del successo di Predator: intimamente sappiamo che Schwarzenegger vincerà e l’alieno verrà sconfitto, ma una parte di noi sogna comunque di vedere le parti ribaltarsi (anche se ovviamente ci spiacerebbe per il povero Dutch), perché è difficile voler del male a uno Yautja.

Per cui quando se ne prende non uno, ma un intero gruppo, e li si mette contro un branco di soldati senza troppo carisma, diventa quasi impossibile empatizzare per i secondi, il che ci mette automaticamente contro il film che invece si impegna il più possibile per spingerci in quella direzione. Ma chi mai sceglierebbe di tifare per un seriosissimo Adrien Brody che cita Hemingway invece che per un mostro alto tre metri con il mantello dell’invisibilità? Persino i personaggi che sembrano più interessanti, come il dottore interpretato da Topher Grace, si rivelano alla fine essere solo specchietti per le allodole, o generatori di pessime idee narrative. E si torna quindi al discorso di prima: perché mai dovremmo tifare per loro?

 

Alice Braga

 

Questo schermo impermeabile all’empatia è l’ostacolo più grosso tra chi guarda e Predators – quello, e un Laurence Fishburne un po’ a caso protagonista di quello che di fatto è un cortometraggio staccato dal film; è perfetto, e di gran lunga il personaggio del quale vorremmo sapere di più, ma esiste come un corpo estraneo all’interno della narrazione, e sembra inserito giusto per aumentare artificialmente il minutaggio (e inoltre attendiamo ancora un prequel interamente dedicato a lui e ai suoi dieci anni passati a sopravvivere agli Yautja). Come se Rodriguez e tutti coloro che hanno partecipato a scrivere e riscrivere la sceneggiatura si fossero a un certo punto ritrovati tra le mani un calco quasi 1:1 del film del 1987 e avessero deciso di aggiungerci dei pezzi per camuffarlo da sequel.

Per fortuna che Antal è un regista più che competente quando si tratta di girare l’azione – non McTiernan, ma neanche Stephen Hopkins che era uno dei pochi veri punti deboli di Predator 2. E che la giungla, i fucili, i tre pallini rossi, la visione a infrarossi e tutti gli altri tratti caratteristici di ogni Predator che si rispetti fanno sempre e comunque la loro figura, anche in un film minore, un sequel che voleva essere una rivoluzione e che si è invece rivelato essere poco più di una reiterazione. Il punto è che poche cose sono più belle da reiterare che uno Yautja che squarta esseri umani inermi: è soprattutto grazie a questa considerazione che Predators si salva, e non annega sotto le sue sproporzionate ambizioni.

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